Fu grazie a un fallimento che conobbi Mutts. Era il 2004 e la Panini aveva dato alle stampe Panini Smile, una collana nata per misurare l’accoglienza del pubblico verso le strip umoristiche. Una di queste uscite era Mutts. Mutts raccontava le avventure quotidiane di Earl, un Jack Russell sui generis, e Mooch, un gatto con la zeppola. Era semplice, ben disegnato e pieno di gag, soprattutto visive. Non poteva non piacermi.
L’esperimento Panini Smile non ebbe seguito e l’idea di proporre qualcosa di nuovo nell’ambito dell’umoristica a fumetti si sfracellò al suolo ancora prima di prendere quota; io raccattai quel poco materiale edito in Italia (sporadiche apparizioni su Linus, Comix o gli allegati della Repubblica) e poi fui costretto a imparare l’inglese. Ma questa è un’altra storia. La cosa importante è che avevo scoperto Mutts.
Nata nei primi anni novanta, Mutts ha come protagonisti Earl e Mooch, cane e gatto, intenti a vivere la loro vita di animali, circondati dai rispettivi padroni Ozzie, un ometto baffuto, e la coppia di anziani Frank e Millie. A questi danno il giro un nutrito cast di comprimari animaleschi, da Guard Dog, un cane da guardia attaccato alla catena, a Jules, gatto che si batte per la difesa delle tigri, fino a Crabby, il granchio scurrile che Earl e Mooch incontrano durante le vacanze estive. Ogni personaggio incarna un aspetto del mondo animale che tanto sta a cuore al proprio autore. Autore che risponde al nome di Patrick McDonnell.
Classe 1956, McDonnell cresce nel New Jersey, negli anni settanta frequenta la School of Visual Arts di New York e inizia a lavorare come illustratore e vignettista per Forbes, Reader’s Digest, Time e Parents; per quest’ultima crea Bad Baby, una strip dedicata a un neonato iperattivo. Dopo dieci anni nel settore, decide di seguire la sua passione e dedicarsi a tempo pieno ai fumetti. Propone la sua idea a svariate agenzie, finché King Features lo accetta. È il 5 settembre 1994 quando sui giornali appare la prima striscia di Mutts.
Graficamente, però, Mutts nasce a insaputa dell’autore, tempo prima, durante gli anni da illustratore per il New York Times: “Lavoravo alla rubrica di Russel Baker” racconta “e disegnavo sempre un personaggio con i baffi accompagnato da un cagnolino. Finì che mi ci affezionai e li feci diventare i protagonisti”. Altrettanto all’insaputa, Mooch, pensato come diversivo per movimentare le giornate di Earl, diventerà di prepotenza il coprotagonista della striscia: “Credo che, essendo un gatto, abbia fatto di testa sua e si sia imposto come comprimario”.
Mutts è frutto dalla passione di McDonnell per gli animali e per i temi più importanti riguardanti l’ambiente, come la salvaguardia di flora e fauna. Molti degli archi narrativi invocano alla sterilizzazione degli animali domestici, all’adozione nei canili, al rispetto per l’ambiente, con le Shelter Stories (“storie del canile”), in cui cani e gatti abbandonati raccontano le loro vicissitudini, o le incursioni di Mooch e Jules in Africa, a supporto delle specie in via d’estinzione.
Per questo motivo una delle caratteristiche salienti della striscia è il suo realismo della trattazione psicologica degli animali. Pur essendo un lavoro che ricade nel genere dei funny animal, qui non c’è il tentativo di umanizzazione dell’animale. Earl è un cucciolo fedele, è la rappresentazione dell’innocenza canina, tartassa il suo giocattolo di plastica, guarda con occhi languidi il padrone seduto al tavolo della cena. Fa quello che deve fare, il cane. Così come Mooch si comporta da gatto, è incostante, si arrampica sugli alberi ma non ci sa scendere, è schizzinoso sul cibo. Spesso il tentativo è di elevare l’animale verso concetti profondi, distaccandosi dalla limitatezza dell’essere umano – perché è quello che McDonnell ci dice ogni giorno, i sovrastrutturati umani hanno perso la selvatichezza e la pura istintività ferina e solo il contatto con un agente della natura ci può ricondurre a essa. Gli scoiattoli, per esempio, sono a prima vista un sfogo comico, una gag fisica: non fanno altro che lanciare le loro ghiande in testa al malcapitato che passa sotto il loro albero. Usando i testi orientali, cari all’autore, si può intravedere nel gesto uno scopo più alto: nel buddhismo zen colpire qualcuno in testa equivale all’illuminazione. Nelle intenzioni di McDonnell, il contatto con l’animale è quindi veicolo verso un mondo spirituale o sensoriale che si è perso nei secoli. L’aspetto meditativo è sottolineato anche dal disegno vecchio stile, perché costruito su quello di Krazy Kat – di cui peraltro Patrick è gran cultore, come dimostra questo volume su Herriman da lui curato – Braccio di Ferro e Peanuts, ma allo stesso tempo spontaneo, essenziale e immediato come un schizzo non rifinito. Ai Peanuts McDonnell è legato da un amore infantile, nato quando, da piccolo, scrisse a Schulz consigliandoli di dare a Snoopy un amico gatto. In seguito Patrick riuscì perfino a stringere amicizia con Sparky – così si faceva soprannominare il papà di Charlie Brown – ed è ora membro del consiglio di amministrazione del museo dedicato a Shulz, insieme alla moglie Karen O’Connell. Ma il simbolo del loro rapporto è appeso nell’ufficio di casa. Si tratta della pagina dei fumetti del San Francisco Chronicle in cui appare la prima vignetta di Mutts. Gliel’aveva inviata Shulz scrivendoci sopra «Ottimo inizio. Firmato: Sparky».
Non solo a Schulz rimandano gli omaggi disseminati negli anni. La vignetta d’apertura delle strisce domenicali – più grandi e a colori – contiene sempre una citazione in cui i personaggi interagiscono con opere d’arte, locandine, copertine di cd o fumetti. «Succede che scrivo la gag e poi cerco tra le pieghe delle memoria qualche immagine che mi piace e possa abbinarsi con la battuta. Di solito funziona».
Oltre al tratto, uno degli aspetti più raffinati delle strisce è il ritmo. Certo, l’impianto è quello usuale delle strip, tre vignette, quattro al massimo, ma è la gestione delle inquadrature a muovere il flusso. Prendiamo a esempio un lavoro del maggio 2007; la striscia, va ricordato, chiudeva una settimana a tema in cui Mooch si preparava per il discorso ai laureati – uno spunto autobiografico da parte di McDonnell che era stato contattato per chiudere la cerimonia di laurea del Center for Cartoon Studies.
La striscia, rispetto alle sei precedenti in cui Earl e Mooch era seduti alla scrivania, in maniera molto statica, li vede camminare da sinistra a destra. La vignetta centrale è allargata per dilatare il tempo e il corpo di Mooch è messo in posizione contraria rispetto alla vignetta precedente, in modo da interrompere il movimento e fermare l’occhio del lettore sull’immagine. Il trittico si conclude poi con Mooch che, ritornato alla sua posizione iniziale, sembra uscire dalla vignetta, riconsegnando il senso di movimento stabilito all’inizio.
Grazie al successo della striscia, negli anni duemila McDonnell poté permettersi di scrivere il suo primo libro per bambini, The Gift of Nothing, un best-seller che inaugurò una seconda carriera; fecero seguito Art, Just Like Heaven e altri titoli, tra cui Me… Jane, sorta di biografia dell’etologa Jane Goodall che gli fruttò una menzione ai Caldecott Awards, uno dei più prestigiosi premi statunitensi nell’editoria per bambini. Praticante dell’Ahimsa, precetto induista della non-violenza popolarizzato in occidente da Gandhi, McDonnell ha anche collaborato con il maestro spirituale Eckhart Tolle a Guardiani dell’Essere, libro in cui i disegni del fumettista illustrano le massime di Tolle – una delle poche produzioni targate Mutts a essere stata tradotta anche in Italia.
Ironico come destino, se pensiamo che McDonnell ha conosciuto la moglie quando entrambi erano nella band punk Steel Tips e suonavano in locali culto come il CBGB di New York, aprendo le esibizioni dei Ramones. “Sembra un’altra vita, ora mi sveglio alle cinque della mattina per meditare”. Come conseguenza naturale dell’Ahimsa, McDonnell ha cercato negli anni di vivere una vita a impatto zero, estendendo questa filosofia anche al suo lavoro: tutto il merchandising di Mutts è ecosostenibile (le magliette sono in cotone organico, i libri, i poster e le stampe in carta riciclata) e lui stesso si è fatto promotore di attività benefiche, attraverso la Humane Society of The United States, di cui è membro, o prestando Earl e Mooch a pubblicità progresso di vario genere.
Banalità, propaganda, riutilizzo delle stesse idee. Sono queste le critiche che occasionalmente piovono sulla striscia, in procinto di ricevere un adattamento cinematografico, prodotto dai Blue Sky Studio (gli stessi dietro alla saga dell’Era glaciale e al film dei Peanuts). Va tuttavia ricordato che l’idea base delle comic strip è proprio la ripetizione. Il lavoro di un cartoonist, diceva Schulz, è disegnare la stessa cosa ogni giorno, senza – paradosso – ripetersi. Simile a un buon pezzo jazz, uno standard che ogni musicista conosce ma su cui dovrà improvvisare a ogni esibizione, a ogni anno toccherà una nuova battuta sul cambio di stagione, sulle festività, sui compleanni. Giorno dopo giorno, in un movimento parallelo alla quotidianità dei lettori.
Al netto delle critiche, la striscia di McDonnell non ha mai smesso di affascinare in questi vent’anni. Perché sono storie di personaggi che ci affascinano per i loro difetti e le loro imperfezioni: non sono di razza pura, non assomigliano a niente di quello che è in circolazione. Lo dice il titolo stesso, sono Mutts, bastardi. Il peggior nome per una striscia dopo Peanuts. O almeno così diceva Schulz. Vallo a capire.