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La magica palla 8

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Sapete cos’è una magica palla 8? È una sfera nera, del tutto simile alla palla numero 8 del biliardo. É un giocattolo usato per prevedere la fortuna. Lo fa grazie a un serbatoio cilindrico contenente un dado a 20 facce triangolari che galleggia in un liquido blu. Ciascuna delle 20 facce del dado ha stampata una risposta affermativa, negativa o neutra. Sul fondo della magica palla 8 c’è una finestrella trasparente, attraverso la quale possono essere letti i messaggi. In pratica: fai una domanda, scrolli la palla e leggi la risposta.

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È un oggetto che mi ha sempre affascinato. Ogni volta che ne sento parlare rimango come ipnotizzato. Nella cultura popolare ricorre spesso, e con una strana aura. La palla ha fatto apparizioni in Bing Bang Theory, in Fringe e nel primo Toy Story. I più attenti l’avranno vista maneggiare da Dr. House o da Bart Simpson. I più audaci – per il solo aver visto quel film – l’avranno notata perfino nel Ghost Rider di Nicolas Cage. Io, invece, la ricordo molto bene nel film Interstate 60 del 2002, dove il protagonista Neal Oliver la usa per trovare la strada durante il suo viaggio lungo l’immaginaria Interstate 60. Quel film è un piccolo capolavoro di ironia e sagacia e, non a caso, è sceneggiato e diretto da Bob Gale.

Ora, tutti – ma proprio tutti – dovreste conoscere Bob Gale. Anche se è un nome che potreste avere notato poco. Gale è infatti il co-scrittore, assieme a Robert Zemeckis, della trilogia di Ritorno Al Futuro. Inoltre ne è anche produttore. Come dire: senza di lui non ci sarebbe stato nessun Marty McFly e il vostro immaginario sarebbe molto più povero – o quantomeno più triste – di quello di adesso. Gale ha scritto sceneggiature anche per il mondo del fumetto: qualche storia per Daredevil e Batman, una graziosa manciata di numeri su Spider-Man e un ironico one-shot natalizio di Ant-Man.

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Leggendo e guardando le sue produzioni si può intuire il suo amore per gli anni Cinquanta. Il primo capitolo di Ritorno al futuro, d’altronde, è ambientato proprio in quegli anni. Non a caso gli stessi in cui veniva perfezionata la magica palla 8. La cui storia, alquanto bizzarra, potete facilmente trovare in rete; vi basti sapere che è stata concepita da un alcolizzato di Cincinnati, che si basò sulla scrittura spiritica utilizzata da sua madre, una chiaroveggente di successo.

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La magica palla 8 è tornata prepotentemente sulla mia strada pochi anni dopo, sotto forma di fumetto. Eightball di Daniel Clowes mi capitò fra le mai quasi per caso, mentre rovistavo fra le rimanenze del retro di una fumetteria. Non ricordo il numero esatto, ma era uno dei primi, e della palla 8 aveva solo il nome. Per stessa ammissione del suo autore, il titolo del fumetto era stato scelto quasi casualmente e solo per il suono suggestivo che emanava.

Eppure, con la palla 8 aveva in comune tutta una serie di cose, come il misticismo, la bizzarria, l’imprevedibilità. E gli anni Cinquanta. Quel fumetto sembrava provenire direttamente dalla metà del secolo scorso, dalle paurose storie d’orrore di Tales from the Crypt – diventate, negli anni Novanta, una serie tv di cui Bob Gale, guardacaso, sceneggiò e diresse alcuni episodi – e dall’immenso talento degli autori EC Comics come Wally Wood, Bernie Krigstein, Johnny Craig e molti altri. Clowes si ispirò a loro per Come un guanto di velluto forgiato nel ferro, la sua prima, spaventosa e incredibile storia lunga (o graphic novel) serializzata su Eightball.

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Che cos’era Eightball? Una rivista, o qualcosa di simile, che noi fumettòfili abbiamo a lungo chiamato – un po’ sbrigativamente – “albi”. Sulle sue pagine Clowes ha pubblicato fumetti importanti come Ghost World, David Boring, Ice Haven e The Death Ray. Un’antologia individuale e aperiodica che è stata una delle più importanti testimonianze fumettistiche della sua epoca. Parliamo della fine degli anni Ottanta e di tutti gli anni Novanta, quando il fumetto alternativo, dopo la spinta data da Spiegelman con Raw e da Crumb con Weirdo, cominciò a vivere di vita propria. Un’epoca in cui albetti del genere nascevano come funghi. E in cui nuovi autori si andavano imponendo in un mercato che in realtà non esisteva, perché lo stavano creando loro, senza troppo rendersene conto.

Love & Rockets dei fratelli Hernandez, Acme Novelty di Chris Ware, Yummy Fur di Chester Brown, Black Hole di Charles Burns, Palookaville di Seth, Optic Nerve di Adrian Tomine, Peepshow di Joe Matt e Eightball di Clowes, tutti albetti dalla periodicità incerta, completamente autogestiti sia graficamente che nei contenuti, settarono lo standard del nuovo fumetto indipendente dopo l’exploit degli anni Sessanta, l’epoca degli undergrounder alla Robert Crumb.

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Oggi, di quegli albi spillati e piuttosto imprevedibili non c’è più traccia. Gli autori citati hanno deciso di concludere o cambiare formato a quelle loro pubblicazioni. Il mercato è cambiato. Solo Optic Nerve di Adrian Tomine e Palookaville di Seth sembrano essere le eccezioni che confermano la regola. Il graphic novel, come formula e come formato, si è imposto. Il “volume unico” ha avuto ragione. Come ha affermato Clowes: «I ragazzi del marketing hanno vinto.» Quegli stessi albetti che han fatto la storia sono diventati oggetti per lo più irrecuperabili, cimeli buoni per collezionisti hardcore, ma quei racconti serializzati 20, 30 anni fa, vivono di nuovo grazie alle raccolte in volume.

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Dato il mio feticcio per Clowes e per la magica palla 8, possiedo tutti i 18 numeri usciti di Eightball e appena ne ho l’occasione rivendico la loro importanza. Tra poco però non dovrò più farlo, perché la benemerita Fantagraphics Books (l’editore originale di Eightball) ha appena pubblicato una raccolta fedele e integrale. La magica palla 8 di Clowes tornerà a disposizione di tutti – ironia della sorte, in volume – al grido di: «state attenti, il graphic novel, come lo conoscete oggi, arriva anche da qua.» Per comprarlo non avrò bisogno di interrogare la mia palla. So già cosa devo fare.

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