Veri Amici (Amitié étroite) di Bastien Vivès – senza dubbio l’autore francese “rising star” degli ultimi anni – è il settimo libro del precoce quanto prolifico fumettista, successivo ai più noti Il gusto del cloro e A occhi aperti. Di quei due graphic novel realizzati in giovane età (2008 e 2009, Vivès è del 1984), ma già maturi nella forma, Veri Amici – realizzato durante un soggiorno di studio a Urbino – mantiene le tematiche. Per certi versi si tratta del terzo capitolo di una “trilogia romantica”, che conferma il talento di Vivès nel raccontare l’universo sentimentale contemporaneo, colto nel complesso e disorientante periodo post adolescenziale.
In Veri Amici, Francesca e Bruno sono due studenti universitari italiani confusi da un rapporto di forte e duratura amicizia uomo/donna che li assorbe e trascina più di quanto loro stessi non siano disposti ad ammettere o in grado di gestire. È la cosiddetta “friend zone”, come si è soliti definire ironicamente quel rapporto complicato che molti ritengono “impossibile”, ma che in Veri Amici è mostrato con onesta assenza di pudore. L’autore non risparmia nulla e racconta le difficoltà dei due amici, imbarazzanti insicurezze e attimi di sbando, momenti di lontananza ed espliciti momenti di affetto.
La stessa franchezza è usata nell’esposizione di un contesto sociale del tutto discutibile, composto dalla gioventù di una piccola cittadina che si mostra bigotta o qualunquista sin dagli interessi delle amiche della protagonista (impegnate tra uscite in discoteca e provini per reality), ritratte in espressioni eccessive e colori sgargianti.
L’onestà del narratore non è condivisa anche dai protagonisti, che agiscono invece vittime delle circostanze, o più semplicemente disonesti nei confronti dei loro sentimenti. Due amanti pigri e moderni, compiacentemente liberi, ma soffocati e sofferenti per la stessa libertà che scelgono di vivere.
Vivès non entra mai troppo in gioco nella scelta di cosa mostrare o non mostrare della storia dei due, sceglie solo la storia da raccontare e la racconta in ogni suo aspetto e prospettiva. Non è una storia d’amore con un finale definito, ma di certo è una storia comunissima, come se ne consumano molte.
Nel corso delle pagine, il lettore è posto in una posizione profondamente ‘interna’ ai momenti chiave della relazione, e osserva così uno spaccato di vita quotidiana che tenta un ritratto al microscopio di come, oggi, si vivono l’amore e l’amicizia a una certa età. Non si scopre niente che non sia già noto per esperienza personale, certo, diretta o meno che sia: Veri Amici è solo una storia moderna, senza alcuna pretesa.
A questa posizione penetrante, quasi invasiva dello sguardo, corrisponde una certa deformazione nelle forme, sempre contorte, e nei colori, sempre eccessivi e sovraesposti: come se il tutto fosse osservato dal buco della serratura, o dal filtro di una lente che pare, al contempo, visiva e mentale. E’ l’approccio volutamente voyeuristico dell’autore, attento a indagare momenti privati e intimi per eccellenza, alla ricerca dei dettagli che rappresentano emozioni di per sé irrappresentabili. E forse è proprio per questo che la narrazione di Vivès convince: perché riesce a raccontare fedelmente una generazione e, come ormai suo solito, a ritrarre puntualmente sul volto dei suoi personaggi l’espressione giusta al momento giusto, con gli occhi accesi di una luce viva. Come già ha fatto in maniera estremamente efficace (e forse non replicabile) ne Il gusto del cloro, Vivès crea una storia emozionante per veridicità e profondo sentimentalismo.