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Cesare Pavese, l’America e Topolino

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La storia editoriale delle prime pubblicazioni Disney italiane è un romanzo che racconta la realtà intellettuale ed editoriale del nostro paese durante gli anni del regime fascista. Una storia che si intreccia, inevitabilmente, con quella degli Stati Uniti. Perché se l’America colonizzava l’immaginario italiano principalmente attraverso il cinema, i fumetti d’oltreoceano e, soprattutto quelli Disney – eccezione molto ben raccontata da Eccetto Topolino, utile saggio di Gadducci, Gori e Lama – ebbero un ruolo decisivo nella resistenza all’egemonia culturale che il regime mussoliniano aveva intenzione di imporre.

Cesare-Pavese-Santo-Stefano-Belbo

Per dirla con le parole di Pavese, erano quelli, gli anni Trenta del Novecento, «i tempi in cui scoprivamo l’America». E quella scoperta «aperse il primo spiraglio di libertà, il primo sospetto che non tutto nella cultura del mondo finisse coi fasci». Non deve quindi stupire che gli intellettuali italiani di matrice antifascista si rivolgessero con tanta insistenza e curiosità alla produzione proveniente dall’altra sponda dell’Atlantico.

In quest’opera di colonizzazione ebbe un ruolo strategico la casa editrice Arnoldo Mondadori di Milano. Nel 1929 venne infatti lanciata la collana di enorme successo dei «libri gialli», che proponeva, fra gli altri, molti autori statunitensi. Il nome della serie derivava dal colore scelto per le copertine – il giallo, appunto.  “Giallo”, per estensione, verrà adottato nella lingua italiana per indicare opere di fiction relative a misteri, storie poliziesche e fatti delittuosi. Ingloberà etichette più specifiche come noir, hard boiled e thriller. Arriverà alla cronaca, per rimarcare crimini e fatti di sangue ancora non risolti.

Inoltre, nel 1935 Mondadori, dopo una serie di complicate traversie riguardanti i diritti sui personaggi Disney – che coinvolsero diversi editori italiani fra cui Nerbini, Lotario Vecchi e Frassinelli – divenne l’editore esclusivo di Topolino. Lo rimase fino al 1988.

giallo
Il primo “giallo” Mondadori

Se i gialli e le pubblicazioni a fumetti incarnavano e veicolavano il lato più largamente popolare della fascinazione statunitense sui lettori italiani, un’altra collana, sempre di Mondadori, soddisfaceva le esigenze di un pubblico più d’élite. Si tratta dei libri Medusa il cui primo titolo fu pubblicato nel 1933. La collana proponeva romanzi di autori stranieri, con una tiratura media di 5000 copie. I libri della Medusa non rappresentarono il primo tentativo da parte di Mondadori di pubblicare una collana dedicata alla letteratura straniera.

Nel 1932 era stata lanciata la serie di fascicoli I romanzi della palma, con una selezione di autori maggiormente popolari rispetto a quelli della Medusa e nello stesso anno, sempre Mondadori aveva iniziato a stampare una collana di tascabili in lingua originale destinati ai turisti americani e inglesi. Si trattava della The Albatross, che avrebbe fornito l’ispirazione editoriale-tipografica sia ai più famosi Penguin Books sia alla serie dei romanzi della Medusa.

In un contesto editoriale come quello italiano, che per quanto riguardava la letteratura estera proponeva solo grandi classici – soprattutto del Sette/Ottocento – i libri della Medusache diversamente offrivano opere moderne, a volte pubblicate quasi in contemporanea con le edizioni originali, si affermarono come un progetto di immediato successo, capace di fidelizzare a lungo il proprio pubblico attraverso un gran numero di titoli: 45 solo nei primi due anni. Questa enorme mole di pagine contribuì a definire quello che Pavese chiamò «il decennio delle traduzioni»:

«Il decennio dal ’30 al ’40, che passerà alla storia della nostra cultura come quello delle traduzioni, non l’abbiamo fatto per ozio né Vittorini, né Cecchi, né altri. Esso è stato un momento fatale e proprio nel suo apparente erotismo e ribellismo è pulsata l’unica vena vitale della nostra recente cultura poetica. L’Italia era estraniata, imbarbarita, calcificata, bisognava scuoterla, decongestionarla e riesporla a tutti i venti primaverili dell’Europa e del mondo. Niente di astruso se quest’opera di conquista di testi non poteva essere fatta da burocrati o braccianti letterari, ma ci vollero giovanili entusiasmi e compromissioni. Noi scopriamo l’Italia, questo è il punto, cercando gli uomini e le parole in America, in Russia, in Francia, nella Spagna.»

Un lavoro, quello del traduttore, certo non facile nel contesto dell’autarchia fascista. In una lettera di Pavese a Luigi Rusca del 1937, emergono le difficoltà derivanti dal dover svolgere il proprio lavoro – col permesso del Duce –  nei limiti di quello che appare come un campo minato:

Egregio Signor Rusca,

eccole come Lei voleva al principio di giugno Quattrini a palate. Ho seguito scrupolosamente i consigli del Ministero cioè inglesizzato i nomi italiani, lasciato cadere gli accenni a Lenin e sovieti, cancellato o sostituito un accenno al fascismo, taciuto o tradotto con dignità wop e dago. Di ognuno di questi interventi ho segnato il luogo nel testo inglese, che Le rimando, chiudendo l’espressione, taciuta o mutata, in parentesi rosse. Così potrà vedere Lei stesso. Restano nel testo italiano il tono demagogico di tutta la storia di Mary French, il viaggio in Russia di Don Stevens e qualche altra cosetta, che – come non segnalato dal Ministero nel dattiloscritto che serbo gelosamente a mia eventuale giustificazione – non ho creduto di dover sacrificare.

Quanto al lato letterario, il lavoro è stato massacrante, ma mi lusingo di avere risolte press’a poco tutte le difficoltà di tono, ispirandomi anche a quanto avevo fatto nel 42° Parallelo.

Molti di questi traduttori erano intellettuali e scrittori come Eugenio Montale, Giacomo Prampolini o Giuseppe Lanza, mentre le carriere e le vite di alcuni di loro s’intrecciarono anche con la storia dell’editoria di fumetto italiana. Se il ruolo centrale svolto da Elio Vittorini nella rivalutazione del fumetto, nel contesto dell’industria culturale del nostro paese, attraverso la rivista Il Politecnico nel 1945 (cui chiamò a collaborare lo stesso amico- rivale Pavese), è largamente conosciuto e riconosciuto, meno nota è l’episodica attività di traduttore di fumetti svolta dallo scrittore cui questo articolo è dedicato.

Per parlare di questo “accidente” professionale, che pure non è incongruo all’interesse che lo scrittore dei Dialoghi con Leucò dimostrava nei confronti dei prodotti dell’industria culturale statunitense, è necessario introdurre la figura di Franco Antonicelli. Antonicelli, una figura di primissimo piano nella storia della nostra editoria, di sette anni più vecchio di Pavese, conobbe lo scrittore piemontese, allora studente, mentre lavorava come supplente al Liceo D’Azeglio di Torino nel biennio 1925-26.

Antonicelli, antifascista, venne arrestato nel 1929 e condannato a tre anni di confino. Dopo la commutazione della pena in due mesi di ammenda lasciò la scuola pubblica, e diventò direttore della collana Biblioteca Europea che, fino al 1935, pubblicherà nove volumi, la traduzione di tre dei quali Antonicelli affiderà all’amico Cesare: i due del Moby Dick di Melville e Riso Nero di Sherwood Anderson. Le copertine dei romanzi della collana furono affidate a un altro amico di Pavese, il pittore, scenografo, designer e ceramista Mario Sturani.

Intanto, nel 1930, sul numero 13 de L’Illustrazione del Popolo, iniziava, a distanza di pochi mesi da quella americana, la prima pubblicazione italiana delle strisce di Mickey Mouse di Ub Iwerks, eccezionalmente accreditato, sul numero 23 dello stesso supplemento, come creatore del personaggio. L’anno seguente, su Il Popolo di Roma, inizierà invece la pubblicazione apocrifa di storie con protagonista Topolino realizzate da Guglielmo Guastaveglia, in arte Guasta.

Antonicelli, confermando la vivace elasticità che gli aveva permesso di ampliare notevolmente i confini del proprio europeismo, includendo, fra quelli della collana Biblioteca Europea autori americani e russi, fiutò l’affare e decise di curare, sempre per Frassinelli, due libri, di cui l’editore aveva acquistato i diritti, aventi come protagonista Topolino. Si trattava di Le avventure di Topolino (Mickey Mouse). Storielle e illustrazioni dello studio Walter Disney. I Pionieri; I militi del fuoco (Vol.1); e di Il Mistero del Gorilla, La festa del compleanno). (Vol.2). Erano i primi volumi dedicati a personaggi Disney pubblicati in Italia. La cura dei volumi fu dello stesso Antonicelli, che per l’occasione si firmò Antony e che ebbe come collaboratore alle traduzioni…Cesare Pavese.

Lo scrittore, visto il tono frivolo del lavoro, preferirà non comparire nei credits. Non deve stupire questa ricerca di anonimia. E’ la stessa che Zavattini, direttore dal 1936 delle testate Disney della Mondadori, e a sua volta importante autore di fumetti, giustificherà come «pudore, discutibile, di letterato». Un pudore che però non escludeva l’entusiasmo, se lo stesso Pavese nel 1929 annotava, spinto certo da un affetto in gran parte nostalgico «Ho passato l’inverno rileggendo Salgari e il ciclo dei moschettieri…e se trovo un Yambo rinverdisco».

La vicenda del Topolino pubblicato da Frassinelli avrà un interessante strascico giudiziario. Poco prima dei due volumi curati da Antonicelli, nelle edicole italiane viene distribuita la prima pubblicazione internazionale dedicata al topo disneyano. Si tratta del primo, famoso, numero del Topolino formato giornale, edito da Nerbini. Frassinelli, convinto di essere l’unico detentore dei diritti di pubblicazione relativi ai personaggi Disney, diffida Nerbini, minacciando di richiedere il sequestro del settimanale. Nerbini, per cautelarsi, dal terzo numero cambia il nome della testata in Il Giornale di Topo Lino, sostituendo Mickey Mouse con una creazione del disegnatore Giove Toppi.

lino

Ma né Frassinelli né Nerbini detengono i diritti sul personaggio. Nerbini, contattato da un furioso Guglielmo Emanuel, agente del King Features Syndicate, si metterà in regola acquisendo l’esclusiva sulle pubblicazioni a fumetti relative al topo d’oltreoceano, per poi intentare una causa nei confronti di Frassinelli per danni materiali e morali. Nerbini però finirà per perdere. E intanto, della piccola avventura (quasi) a fumetti di Pavese, si perderà traccia.

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