HomeRecensioniNovitàUn Drago a forma di Nuvola: il tentativo di Scola nel fumetto

Un Drago a forma di Nuvola: il tentativo di Scola nel fumetto

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Ettore Scola e Ivo Milazzo sono due nomi che non hanno bisogno di alcuna presentazione. Il primo è da tutti conosciuto come cineasta, ma vale la pena ricordare un punto per noi particolarmente pertinente: la sua carriera creativa nasce nei tardi anni Quaranta sulle pagine del Marc’Aurelio, storica rivista satirica per cui lavorò come vignettista e caricaturista. La collaborazione con Milazzo non dovrebbe, quindi, suonare del tutto inaspettata o inconsueta. Fatto sta che, ogni qual volta un artista di fama legato ad ambienti extra-fumettistici ha a che fare con i fumetti, si forma un capannello di curiosi.

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Anche Un drago a forma di nuvola (Bao Publishing), non poteva non destare la stessa curiosa attesa. Un po’ dettata dal vedere all’opera una matita nobile come quella di Milazzo, un po’ perché da Scola – di certo non estraneo ai meccanismi della narrazione – ci si attendeva un racconto degno di nota. Bene: dopo aver letto quest’opera di fiction, dedicata alle vicende di un libraio parigino alle prese con le turbe della mezza età, e prossimo forse ad un’anticipata andropausa, non posso che consigliarvi di tenervi a debita distanza. Potrei dire che è abbastanza logico che Scola non sia riuscito a riversare su pellicola questa sceneggiatura, perché il solo aggettivo che mi pare efficace per descriverlo è: patetico. Nel senso etimologico del termine, naturalmente.

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Duole dirlo, ma gli eventi e stereotipi inanellati nelle cento pagine del libro potrebbero essere degni, al massimo, di un feuilleton consunto, o della peggiore fiction nazional-popolare. Mi spiego. Il protagonista Pierre è un bibliomane di mezz’età imprigionato nella sua libreria a causa di una figlia resa paraplegica e muta da un incidente, nonché nelle fattezze di Gérard Depardieu, che si innamora di una diciannovenne ignorante e isterica, che recita male e inconsapevolmente la parte della Nasten’ka de Le Notti Bianche di Fëdor Dostoevskij. La relazione tra i due si snoda tra alti e bassi, commentata (in maniera ipertrofica) dalla figlia di Pierre, tenuta ben nascosta e vezzeggiata da un medico piacente, che per fortuna si limita – vista la bellezza della stessa, nonostante la sua paralisi – a baciarla, dopo averla visitata ed essersi preso sputi in faccia in segno di sdegno dalla stessa.

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Dicevo, appunto, patetico: Scola cerca la compassione, più che l’empatia. Obiettivo legittimo, ma con una conseguenza discutibile: la ricerca della lacrima facile. E questo perché sceglie di fare leva su cliché così smaccati da suonare vuoti, quando non triti al punto di suscitare una risata. Ad incrementare la china verso il basso, alcuni stereotipi paiono tanto beceri da ricordare il tono medio che si respira nella peggiore televisione generalista: l’italiano migrante che odia il suo paese e i francesi – boriosi, sbruffoni e “sbuffoni” – artista mancato e che vive facendo il barista; il medico marpione; il ragazzo geloso e debole; etc etc. Una serie di comprimari piatti, simboli di un’umanità che vorrebbe essere viva e reale, ma che invece è bassa e inutile. Così come pare futile la presenza di riferimenti eruditi, sparsi qua e là per vezzeggiare qualche lettore con frammenti enciclopedici poco utili a dare vero corpo alla narrazione.

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Ad accompagnare queste incerte danze, il tratto acquarellato di Milazzo, che riveste il tutto di un tono evanescente, rendendo le vicende – invece che metaforiche – ancora più smaccatamente insipide. Una Parigi da cartolina, oleografica e “periferica” (non nel senso delle banlieue) che neanche nelle peggiori riproduzioni dei bouquinistes che circondano il Pont Neuf. Le piccole nature morte, copie malaticce delle marcescenti opere di un De Pisis, che Tony propina alla piccola paralitica – e che Pierre guarda con compassione – sembrano, in questo contesto, quasi un riflesso visuale del patetismo di cui sopra.

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Dal pathos al patetismo la distanza è breve, si sa, ma dal regista di C’eravamo tanto amati pareva lecito attendersi un’operazione che non cadesse nel tranello. E non senza stupore, qualche volta tocca dirlo: Un Drago a forma di Nuvola è un graphic novel (?) trascurabilissimo, da cui tenersi a distanza se si apprezza il buon Fumetto. Con buona pace del pedigree.

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