Durante il mio periodo autodidatta andavo spesso in biblioteca a leggere vecchi fumetti. Tutti sembravano amare Jack Kirby, per cui ho letto Essential Fantastic Four. L’artwork è fico. Kirby aveva decisamente capito il potere della figura eroica, una forma iconica nata da una millenaria tradizione narrativa. È riuscito a combinare il gusto del graphic design contemporaneo con l’essenza dei testi eroici e biblici alla base del sistema di valori di ogni giovane uomo. Non sarà mai dimenticato, perché chiunque abbia avuto la fortuna di leggere quei fumetti negli anni Sessanta e Settanta, con gli occhi di un bambino di nove anni, userà per sempre la sua arte come chiave per quella segreta stanza della memoria.
Compratevi su eBay una copia di Fantastic Four #48: è il numero in cui Silver Surfer fa la sua prima apparizione. Quando l’ho letto per la prima volta, cercando di capire cosa ci trovassero tutti quanti di così bello, ho visto solo un maledetto fake su una tavola. La mia prima impressione è stata: il vecchio Jack non ha avuto abbastanza tempo per studiarsi le linee dinamiche del surf e delle onde, e la postura di Silver Surfer è semplicemente stupida. Per me era chiarissimo: Kirby non surfava.
Quando le ristampe di Kirby mi hanno annoiato a morte mi sono messo a leggere un paio di fumetti underground, e già mi pareva che quella monocromia maculata avesse un po’ più di senso. Mi ricordo questa pagina di fumetto sul surf disegnata da Rick Griffin. Gli anni erano quelli del Silver Surfer di Kirby, ma lo stile di Griffin era tutt’altra cosa: le immagini delle onde erano così perfette che mi è quasi cascata la mandibola. Era questa la sensazione che cercavo e non avevo mai trovato in Kirby. Un senso di nostalgia che posso descrivere solo come comprensione, istinto: qualcosa dentro alle mie vene, molto più vecchio di me.
I fumetti sul surf cominciano con Rick Griffin. Ha imparato a surfare negli anni Cinquanta a Palos Verdes, California. Aveva quattordici anni e disegnava da dio. Molti lo conoscono come figura chiave dell’arte psichedelica e dell’underground pesantemente influenzati dal design pubblicitario del dopoguerra. Da minimaliste le sue tavole sarebbero diventate via via più dettagliate e complesse, ma non avrebbero mai perso quella certa “sfumatura underground”.
Ora, è difficile parlare di uno sport in astratto senza sembrare un buffone a un contest di poesia, ma mi tocca provarci comunque. Il surf è uno sport e un’arte performativa insieme, e i surfisti migliori sono dotati di grandi qualità fisiche e di una visione particolare. Ti serve una letteratura dell’oceano se devi predirne le onde, e l’abilità di leggere l’oceano diventa sensibilità visiva una volta che torni sulla terraferma. I surfisti passano diverse ore al giorno a studiare la superficie delle onde. Sviluppano una specie di risonanza estetica, che, ne sono certo, ogni surfista sarebbe in grado di riconoscere nell’opera di Griffin.
Quel tipo di arte non è cambiata molto da allora. Persino oggi, cinquant’anni dopo, le forme iconiche delle onde, delle tavole e delle acrobazie su di esse sono il pane quotidiano di ogni fumettista cresciuto in mezzo al kitsch del surf. Ma a fare la differenza, in questo tipo di arte, è la comprensione del modo in cui l’acqua interagisce con la terraferma. Griffin lavorava per la rivista Surfer al tempo in cui il surf è diventato veramente popolare in California – e ha subìto, di conseguenza, la sua prima crisi di autenticità. Il capitalismo americano se l’era inghiottito per intero. I surfisti erano disgustati dal modo in cui la loro cultura era stata edulcorata da film party-in-spiaggia quali Gidget, Beach Blanket Bingo e Ride The Wild Surf, e dall’uso che veniva fatto del loro immaginario kitsch per sponsorizzare qualsiasi prodotto che dovesse avere un appeal “giovane”.
In un documentario del 2004, Riding Giants, al surfista Greg Noll venne chiesto cosa ne pensasse del modo in cui Hollywood dipingeva la cultura surf. “Mi fa vomitare, amico”, rispose. Può sembrare che il fumetto abbia preso immaginario e vocabolario dal mondo del surf underground, ma è vero anche il contrario. Noll vendeva tavole da surf, e al suo picco di popolarità assunse Griffin come designer e illustratore. Non molto tempo dopo i due iniziarono a lavorare a una storia a fumetti del surf. I layout e il design del libro strillavano la loro influenza underground, ma di fatto la anticipavano di almeno quattro anni. Griffin aveva visto la discrepanza tra cultura surf e rappresentazione che ne davano i media, e i suoi disegni tentavano di porvi rimedio, dipingendone la parte sporca e ossessiva ma senza la stupida copertura di zucchero. Più tardi, smesso il minimalismo, l’onda che si infrange divenne uno dei motivi ricorrenti nei poster psichedelici e nei fumetti underground di Griffin: un esempio di questo lavoro era la tavola che mi aveva colpito in biblioteca.
* Pat Grant è l’autore di Blue (Psycho Pop / Edizioni BD); il brano è un estratto dalla sua postfazione al volume, “Genealogia di un cazzone: immagini, ricordi e fumetti australiani sul surf.”