L’uscita di Mauvais Genre non è passata di certo inosservata in patria. Premiata con una rosa di premi di tutto rispetto, l’opera di Chloé Cruchaudet si è aggiudicata uno dei più ambiti premi nello scorso Festival de la Bande Dessinée di Angoulême. Pubblicato dall’editore Delcourt, il fumetto dell’autrice francese ha destato subito interesse per il tema: la vita di Paul Grappe e di sua moglie Louise Landy. Una storia tanto reale quanto complessa, che la Cruchaudet ha raccontato partendo dal saggio La Garçonne et l’assassin di Fabrice Virgili e Daniele Voldman, e prendendosi qualche libertà.
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La vita di Paul Grappe è degna di nota non soltanto per la sua scelta di fuggire dagli orrori della trincea – narrati in maniera superba da Jacques Tardi e, recentemente, anche da Joe Sacco – ma soprattutto per i dieci anni trascorsi sotto l’identità di Suzanne Landgard. Già, perché Grappe – per sfuggire all’arresto – decide, spinto dalla moglie, di abbandonare la sua identità maschile per vestire i panni di una donna. I terribili ricordi delle trincee e degli ospedali di campo convincono il disertore al travestimento. Ma la lunga durata di questo “travestimento” diventerà un problema, aprendogli le porte di un mondo inedito e insolito. E il protagonista incomincerà un percorso dove la contrapposizione classica tra generi sessuali, spinta in una dicotomia violenta e antinomica, perderà rapidamente senso. Il travestimento non è qualcosa che toccherà Paul solo in superficie, ma lo cambierà dall’interno.
Pur iscrivendosi, quindi, di diritto in un filone ricchissimo di narrativa a fumetti che affronta tematiche LGBTQ, Cruchaudet non si limita al tono apologetico o alla mera cronaca, con intenti documentaristici. Bensì, tesse una trama che ha come obiettivo raccontare la parabola esistenziale di un uomo, costretto a ripensare se stesso dinanzi all’orrore dell’esistenza, e scoprendo quanto labili possano essere i confini e quanto inconsistenti possano, d’altronde, essere quelle costrizioni di genere in cui, sin dal suo primo vagito, ogni individuo viene incasellato.
Per tracciare questa difficile parabola, l’autrice sceglie uno stile che si accorda esteticamente con gli anni Venti del Novecento. La paletta cromatica è virata sul grigio e sui toni di seppia, come se ci trovassimo dinanzi a delle vecchie foto o a ricordi sbiaditi. Nonostante le forti analogie con il lavoro di Manuele Fior per L’Intervista, le tavole di Mauvais Genre si reggono su uno spazio bianco lattiginoso, su cui le vignette – prive di una rigida gabbia che le incaselli – si succedono liquide. Questa fluidità narrativa è dovuta anche al metodo utilizzato dall’autrice, che ha disegnato tutto su fogli sciolti per poi ricostruire digitalmente le tavole. Questa paletta morbida, contrappuntata dallo fumosità del tratto, è, comunque, interrotta solo da violente epifanie cromatiche. Un rosso che diviene identità e tonalità emotiva. La nuova identità di Paul Grappe è sottolineata dalla sua irruzione. E non è un caso che il rosso tinga anche gli indumenti di Louise, da cui Paul attinge nei suoi primi impacciati tentativi di fingersi donna, ma anche le trincee. Il rosso di cui Paul/Suzanne si ammanta, è un monito.
Riguardo la liquidità di genere della cultura queer, ha detto Judith Butler in un’intervista a Liz Kotz:
L’interpretazione sbagliata suona pressapoco così: posso alzarmi al mattino, guardare nell’armadio e decidere di quale genere voglio essere oggi. Posso prendere un indumento e cambiare il mio genere, stilizzarlo, e poi la sera posso cambiare ancora divenendo qualcosa di radicalmente diverso. Così alla fine ti ritrovi qualcosa di simile alla mercificazione del genere, con l’idea che la performance di genere sia una forma di consumismo. […] è il problema di come “lavorare” la trappola in cui inevitabilmente ti trovi.
Dichiarato disertore, a Paul viene disconosciuto il proprio ruolo di soggetto storico: in quanto uomo, la logica nazionalistica prescrive un sacrificio necessario. L’identità politica e civile implode nel momento in cui viene meno l’adesione ad una volontà generale. Schiacciato nel luogo della colpevolezza e della conseguente mancanza di diritto, Paul è “costretto” a ripensare la sua stessa identità, arrivando a rifiutare il suo genere biologico: nella necessità di salvarsi dalla stretta schiacciante di uno stato hegeliano arriva a pensarsi come altro da sé, come una donna. Un donna libera dalle costrizioni della guerra. Il suo desiderio di vita, il suo voler essere al di là di quello che la norma vuole che sia, lo conduce a ripensare il genere a cui appartiene di diritto, poiché legato ad esso non solo da un’identità biologica, ma soprattutto da un’identità sociale, che lo designa come semplicemente sacrificabile.
Lo slittamento di Paul lo conduce, paradossalmente, a scoprire la sua vera identità. Paul è un rigurgito di vita che, strappato alla guerra, affronta di petto la sua nuova identità, scoprendo una sessualità sfaccettata e inedita nei Bois de Boulogne. In queste avventure, Paul/Suzanne condurrà anche sua moglie Louise, riscrivendo i confini del matrimonio in un gioco delle parti complesso e, nel contempo, pericoloso. La versione di Cruchaudet è abbastanza leggera, essendo i documenti abbastanza vaghi sulla reale natura degli incontri consumati da Paul nel bosco parigino.
Tuttavia, nonostante i rimandi alle problematiche gender bender, l’autrice sembra non voler calcare la mano, anzi evita di scoprire il fianco spurgando il racconto da questioni problematiche. La vicenda si chiude mentre Louise è in attesa. In realtà, Paul e Louise condussero una vera vita familiare, e fu proprio l’alcolismo e la violenza che Paul maturò verso i suoi figli a spingere Louise verso il tragico epilogo. Ora, la questione del ritorno all’identità maschile dopo l’armistizio è un punto nevralgico che pone sotto le luci certo la complessità della problematica gender, ma al contempo getta una luce universale su quanto Chloé Cruchaudet voleva narrare.
Evitare problemi di scottante attualità, scegliendo di non voler narrare la storia di una famiglia sui generis per la Francia tra le due guerre, pone sotto una luce diversa l’opera dell’autrice francese. Mauvais Genre, se da un lato narra con effettiva naturalezza la storia di uno dei primi trans gender parigini, nel contempo la rende non storia di “genere”, ma di portata universale, acquistando – forse – una maggiore appeal.
Visto l’importanza dell’opera sia nel percorso di Chloé Chuchaudet, quanto nella sua originale peculiarità, non nascondiamo la curiosità di vedere la reazione del pubblico italiano, qualora qualche editore sia così lungimirante da volerlo pubblicare. Certo, a volte la narrativa a fumetti francofona non sempre attecchisce con la singolare forza che la contraddistingue in patria. Un esempio su tutti potrebbe essere l’opera di Blutch, autore pubblicato da Coconino Press e da Q Press e protagonista con mostra e incontri di una splendida edizione del festival BilBolBul, ma che comunque resta ancora relegato in una stretta cerchia di lettori. Bisognerebbe recuperare il suo Peplum, così come l’ultimo Lune l’envers. Ma la lista potrebbe continuare, con nomi come Killoffer, Bézian, Perriot, LeRoy etc etc. Chiudiamo quindi così, con auspicio sentito: vedere una bella edizione di Mauvais Genre – fedele al cartonato di Delcourt – a breve nelle nostre librerie e fumetterie.