Le fasi della realizzazione della copertina di ‘Lumina’, il progetto di Emanule Tenderini e Linda Cavallini, raccontate da Tenderini stesso. Il fumetto è pensato per essere prodotto attraverso una campagna via crowdfunding attraverso la piattaforma Indiegogo.
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1 – Io e Linda Sapevamo che realizzare la cover di Lumina non sarebbe stato per nulla facile.
Avevo chiesto ad alcuni amici quale fosse la loro idea visuale riguardo il progetto, e avevo ricevuto sempre la stessa risposta: “bianco”.
Per molti, e anche per Linda e il sottoscritto, la sintesi perfetta del nostro progetto era il colore bianco (fino ad un certo punto, noi stessi, abbiamo promosso il nostro lavoro attraverso una cover minimale bianca con titolo in nero), ma personalmente non volevamo limitarci a descriverci attraverso l’idea più “semplice” che ci veniva in mente: dovevamo sicuramente approfondire di più.
Che cos’è Lumina, per noi? Lumina è un mondo fantastico, un’opportunità di colori e di atmosfere, è un “big bang” creativo, un “qualcosa” che ti si riversa contro e ti cambia. E’ anche un “ostacolo”, una sfida contro cui combattere: le proprie aspettative sulla possibilità e l’abilità di realizzare, a certi livelli, le proprie idee. Un “nemico” da affrontare e vincere con onore.
L’intuizione decisiva arrivò, come sempre, da qualcosa al di fuori dal mondo dei fumetti. E’ sempre così: alzo gli occhi dal tavolo da disegno è c’è sempre qualcosa che mi “aggancia” e mi traina in avanti, questa volta è stata la “motion graphic”.
Stiamo lavorando con un’artista eccezionale, Leonardo Betti, che ci sta realizzando un video per promuovere il progetto, ed osservare il suo lavoro e soprattutto il suo approccio estetico all’immagine, ci ha fornito degli strumenti necessari per raggiungere il risultato che avevamo in mente.
Il segreto sta innanzitutto nello sfondo. Lavorando in digitale quasi sempre si parte a realizzare la propria illustrazione da uno sfondo completamente bianco (il foglio digitale di photoshop). Tempo fa un amico mi raccontò quanto per lui fosse “angosciante” quel bianco così accesso e infinito della Wacom e che era solito, prima di iniziare a disegnare, applicare allo sfondo una texture di carta in modo da avere un riferimento ottico su cui poggiare la matita.
In questa sua frase avevo colto, personalmente, una parola che mi aveva abbastanza shockato: “Infinito”.
In fin dei conti è vero, il bianco della Cintiq è cosi acceso e brillante da suggerirti una spazio infinito, ancor più di quello si riesce a percepire dai fogli di carta veri e propri. Non volevo, però, “arginare” questo spazio, applicando una texture “materica”, volevo trovare il modo di controllare questa potenzialità a mia disposizione ed è proprio nella Motion Graphic che ho trovato la risposta.
Lo sfondo della cover di Lumina, con quella sua lieve sfumatura grigia, è un universo chiuso, eppure sconfinato. Il mio occhio può attraversarlo completamente, eppure non si perde. Gli “angoli” mi tengono ancorato alla mia “rotta” e io viaggio come su un binario, in qualsiasi direzione.
Nel mio percorso all’interno di questo spazio, incontro il “Big Bang”, la Dea di Lumina, l’essenza del pianeta, io sono il piccolo protagonista che, d’un tratto, si ritrova a fronteggiare l’esplosione dell’universo, un “orizzonte degli eventi”, un ammasso di colore ed energia dalle sembianze organiche e umane: il viso, coperto da una maschera, impassibile e inespressivo, mi fronteggia ed è pronto ad avvolgermi, la “sfera” in cui sono contenuto si frattura, devo combattere.
2 – Una volta definiti gli ingombri, le “pedine sulla scacchiera”, ho dovuto enfatizzare ancora di più il senso di infinito e la grandezza del mio universo.
I colori di Lumina, quella scomposizione del “bianco” che tutti hanno in mente, ramificato in tinte che ne perfezionino il carattere.
Diverse matericità che si confrontano, un caos ordinato di geometrie e flussi che rappresentano, appunto, quella cascata di idee e di creazione che mi si riversa contro. Molecole o pulviscolo, attorno a me, cambiano le carte in tavola: sono estremamente grande o estremamente piccolo? Lo spazio e il tempo smettono di funzionare.
Fin qui l’approccio tecnico è puramente emotivo. E’ arte performativa: non c’è “metodo”, c’è vibrazione e musica, e questo mi spaventa perché poi dovrò catturare queste “lunghezze d’onda” e dare loro una struttura solida, non è detto che ne sia capace, anche se è la, tutto già raccontato.
3 – Le grandezze vanno sistemate. L’ “organismo” di Lumina era troppo lontano dallo spettatore, avvicino l’esplosione per sentirne le bruciature sulla pelle. Non è più una cosa distante da me, ora ci sono dentro completamente.
Il cerchio rosso, al centro dell’immagine, mi serve per focalizzare l’attenzione sul “climax energetico” dell’interazione tra l’essere umano e il sovrannaturale: è nella distanza del centro, tra i piccoli protagonisti sulla sinistra e la grande Dea sulla destra, è in quello spazio che si gioca la profondità e l’onda d’urto, dovrò ricordarmene.
Realizzare un’illustrazione, che sia una cover, o una vignetta, è “progettazione”, è calcolo, è controllo. A molti viene tutto spontaneo, naturale, immediato, io ho bisogno di appuntare e “misurare” in continuazione, ahimé non è più “gesto”, ma elaborazione mentale.
4 – Ora che è tutto deciso, ci vuole il “metodo”.
Traccio il disegno per definirne forme e volumetrie, più sono preciso in questa fase, meno dovrò “improvvisare” successivamente. Il “rischio”, con la cintiq e photoshop, è quello di posticipare la definizione del disegno allo step della colorazione, invece è sempre e solo dalla matita che nasce tutto. Più si è precisi, fin dall’inizio, più il risultato sarà completo e corretto alla fine. Tamponare errori, in fase finale, non è un’opzione accettabile.
5 – Studio dei grigi.
Decido da dove arriva la luce, quale sarà la fonte luminosa che evidenzierà le volumetrie delle forme, attraverso la quale farò assaporare la matericità degli elementi rappresentati nella cover.
Qui il “problema” non sono i colori, sono le forme e l’interazione fra esse: ombre proprie, ombre riportate, luce diretta e riflessa, bianco e nero allo stato puro.
6 – Nella fase dello “studio dei grigi”, capisco anche come dovrò strutturare la sovrapposizione dei colori. Quanti livelli mi serviranno per rendere una certa matericità?
Come in pittura, che con lo studio a tratteggio definisco il numero di pennellate che darò sulla tela, qui decido il numero di “layers” di photoshop.
Mi sto costruendo i miei riferimenti e le mie informazioni, sono immerso fino al collo nel “metodo”.
7 – Tinte piatte.
Costruisco le forme, basandomi sul disegno a matita sviluppato in precedenza.
Sarà un lavoro lungo, meglio farlo con ordine e “a pezzi” (onde evitare che il mio computer esploda): inizio dal volto della maschera, sviluppo un ingombro generale disegnando “a mano” con il colore e perfeziono scolpendo i contorni delle forme, in fase successiva con i tracciati.
Voglio la precisione del vettoriale, ma anche la morbidezza della pennellata a mano.
8 – “Hyperflat”
Immaginate di stendere una pennellata di colore sfumato su una tela. Immaginate ora di scomporre questa pennellata, in tanti “layers” sovrapposti, ognuno con un’opacità differente, che otticamente producano l’effetto della sfumatura.
Hyperflat è un metodo che ho sviluppato per avere il controllo a 360 gradi della “pennellata”. Non amo usare lo sfumature “automatiche” del computer.
In questo passaggio comincio a costruire, sopra le tinte piatte, tutte le velature di colore che producono l’effetto materico degli elementi che compongono la mia immagine. E’ una somma di sovrapposizioni di livelli, in trasparenza, uno dopo l’altro che pian piano mi costruiscono la volumetria dell’immagine.
Il tutto, ovviamente, seguendo in modo molto analitico le informazioni che mi ero costruito nella fase dello “studio dei grigi”.
Non c’è mai improvvisazione, c’è sempre un passaggio che ne precede un altro, che ne precede un altro ancora, e alla fine c’è il risultato.
9 – Zoomando sull’immagine, vedete la costruzione vera e propria. Tutto ciò che può sembrare “morbido e sfumato” in realtà è un “illusione ottica”, realizzata sovrapponendo decide e decide di “layers” di photoshop, con opacità molto basse, la cui somma visiva simula il passaggio sfumato dei colori.
Sembra un lavoro estenuante, ma vi assicuro che quando ci fate la mano diventa un “automatismo”, che però vi da il controllo totale sull’ampiezza delle sfumature che volete realizzare.
10 – In questa immagine vediamo in modo più approfondito un dettaglio che inserirò sulla maschera che sto realizzando.
Si vedono ad occhio nudo i singoli layers in photoshop. Attraverso questo ingrandimento capiamo come funziona l’effetto ottico della “sfumatura” (socchiudete gli occhi, se volete percepire meglio la “morbidezza” del colore sfumato).
11 – Ed ecco la “sfera” dell’immagine precedente, inserita nella parte laterale della maschera.
In relazione alla grandezza dell’immagine (un A3) non percepiamo otticamente lo stacco da un layer all’altro, ma il nostro occhio legge la “sfumatura” più morbida, pur avendo noi il controllo sul disegno di tale sfumatura.
12 – Continuo la costruzione dei singoli pezzi, questa volta passo ai frammenti geometrici frontali alla maschera.
13 – E guardiamo l’intero sviluppo cromatico dei “frammenti geometrici” zoomando specificatamente su di essi.
Primo step: tinte piatte (parto sempre dal colore più scuro, quello dell’ombra, per poi aggiungere, via via, le luci).
14 – Alcuni frammenti, quelli che io deciderò di mettere “a fuoco”, vanno già bene cosi, mentre per quelli che deciderò di mettere “fuori fuoco”, “sfocati”, comincio ad aggiungere velature di colore, in trasparenza, in modo che il mio occhio cominci a leggere quelle forme come “non ben definite”.
Aggiungo anche le luci, ovvero un layer di colore che mi indicherà le facciate da cui proviene la mia fonte luminosa. Ora comincio a inserire anche altri pezzi di frammenti che risulteranno essere dietro i primi che ho disegnato.
Questi nuovi frammenti, in secondo piano, saranno ancora più “sfocati”, per cui saranno caratterizzati da un colore meno intenso rispetto a quelli in primo piano. E’ un gioco di “equilibri”, sto dicendo ai vostri occhi che alcuni pezzi sono più in primo piano di altri di altri, e che c’è dello “spazio” fra di essi.
15 – I frammenti in secondo piano, devono essere ancora più “sfocati” di quelli in primo piano, quindi aggiungo velature su velature, in trasparenza, per confonderne i “bordi” e “allontanarli” dai vostri occhi. Il colore piatto, più chiaro rispetto ai frammenti in primo piano, mi enfatizza ancora di più questa distanza.
Anche i frammenti in secondo piano, però, sono illuminati dalla stessa sorgente luminosa degli altri. Devo considerarlo.
E aggiungo un terzo “strato”, altri frammenti, in terzo piano, la cui “tinta piatta” è ancora più chiara rispetto i precedenti.
Colore più chiaro (e più “freddo”, e meno saturo) = oggetti più distanti dal vostro occhio.
16 – I frammenti in “terzo piano”, sono ancora più distanti, e quindi vanno più “sfocati”. Aggiungo “layers” in trasparenza, in modo da “confordene” i bordi, ma soprattutto aumento lo scostamento tra un layer e l’altro, in modo che l’occhio veda un forma, in terzo piano, che è progressivamente sempre meno delineata…e il classico layer con le luci, anche per i frammenti in terzo piano.
Per ora mi fermo qui.
Ci sono ancora un milione di cose da raccontarvi, e un’infinità di dettagli da studiare e capire assieme. Materia, texture, combinazioni di colori, emozioni volumetriche, racconto ed “effetti speciali”, saranno tutti passaggi che analizzerò con voi in una serie di tutorial che inseriremo nella chiavetta USB in regalo per chi acquisterà l’albo su Indiegogo (dal perk “Deluxe” in su!).
Se poi volete seguire un vero e proprio workshop online scegliete il perk “Colour Party”, e affronteremo questi discorsi, assieme, direttamente sul monitor di casa vostra, con il perk “Up Close”, infine, potrete studiare la tecnica Hyperflat, in un workshop “estremo” direttamente a casa degli autori!.