Il 2 Maggio, nell’ambito di Napoli Comicon, Tito Faraci, Marco Lupoi e Valentina De Poli hanno presentato al pubblico “Topolino Black Edition”, raccolta di undici storie sceneggiate da Faraci e disegnate dai maggiori disegnatori disneyani nostrani: Giorgio Cavazzano, Massimo De Vita, Romano Scarpa, Silvia Ziche, Corrado Mastantuono, Paolo Mottura e Fabio Celoni. Si tratta, com’è noto, della riedizione dell’ormai classico “Topolino Noir”, edito da Einaudi nell’anno 2000, di cui tanto si discusse e che tanto influenzò la generazione di nuovi autori al lavoro sulle pagine del settimanale disneyano.
Nella nostra ricca anteprima, troverete: le prime tavole della storia Dalla parte sbagliata (disegni di Paolo Mottura); tutte le prime tavole delle altre storie contenute nell’albo; la prefazione firmata dallo scrittore Sandrone Dazieri.
Di seguito, invece, una chiacchierata proprio con Tito Faraci.
Il ciclo di storie raccolte in “Topolino Noir” (Einaudi) provocarono una rivoluzione all’interno della tradizione fumettistica disney. Come nacque l’idea di farne un volume e quali furono le prime reazioni degli addetti ai lavori, all’epoca?
All’epoca in cui ho sceneggiato quelle storie, nella seconda metà degli anni Novanta, non immaginavo che avrebbero avuto quella risonanza. Erano ancora tempi in cui a internet ci si collegava con affannosi modem 56K o giù di lì. Lanciavi un sasso senza vedere o sentire dove andava a finire, e che effetto faceva. Non so se rendo l’idea. Ma quel sasso aveva fatto centro, più di quanto sperassi. In particolare, aveva colpito Daniele Brolli, a cui sarò eternamente grato. È stato lui ad avere l’idea di un libro che raccogliesse le storie sceneggiate da un auto che, ai tempi, era soltanto una giovane promessa. E ha proposto l’antologia all’Einaudi, per la collana Stile libero (che fino ad allora, di fumetti, aveva pubblicato soltanto un volume dedicato ad Andrea Pazienza e Lo Sconosciuto di Magnus). Ed è così che è nato Topolino noir. Il titolo non ho mai saputo chi lo abbia trovato. Credo Daniele. Le reazioni, all’uscita del libro, mi hanno stupito. Se ne è parlato tanto, tantissimo. Ma, devo dire (e con un antico dispiacere), quasi più fuori del mondo del fumetto che dentro a esso. Sono usciti articoli su tutti i principali giornali italiani, sono passati servizi in televisione, ha attirato verso di me l’attenzione di autori di noir come Carlo Lucarelli o Sandrone Dazieri (grande amico, conosciuto proprio grazie a quel libro), per non dire di Alessandro Baricco… Mentre la critica fumettistica dell’epoca mi è parsa un po’ spiazzata e poco, come dire, reattiva. Ma niente vittimismi: quelle storie sono cresciute, nel tempo, e oggi le vedo considerate dei classici, addirittura. Cosa che mi stupisce, imbarazza, lusinga e fa sentire vecchio. Non necessariamente in questo ordine.
È innegabile che le storie in questione abbiano contribuito a modificare la percezione dei fumettisti Disney come un prodotto pensato solo per l’infanzia, allargando di conseguenza il target a una buona fetta di adulti (come anche Sandrone Dazieri ammette, nella prefazione di “Topolino Black Edition”). Era un effetto ricercato, almeno in parte?
Io vedevo le storie di Topolino proprio così: non per bambini, ma anche per bambini. Non un limite, ma un accrescimento. Un pubblico in più, per storie pensate per tutti. Guardavo a due stelle polari, che mi guidavano nella rotta: Floyd Gottfredson e Romano Scarpa. Non ho mai avuto l’intenzione di clonarli, però. Mi hanno insegnato l’importanza di fare storie calate nel proprio tempo, che ne rispecchino realtà e immaginario. Per me, questo è importantissimo.
Le storie “noir” sono sempre esistite nel fumetto disneyano (da Gottfredson, a Martina, a Scarpa ecc..). Che cosa aggiungono allora le tue storie alla ricetta della tradizione? Qual è l’ingrediente segreto?
Difficile dirlo. Forse, in parte, ho già risposto. Il noir è un genere che cresce, si evolve, diventa di volta in volta più cattivo, più ironico, più realista… Rispecchia la propria epoca. Del resto, anche il mondo del crimine cambia. Io ho lavorato molto sui poliziotti e i criminali di Topolinia: Manetta, Basettoni, Macchia Nera e il mio Rock Sassi. E, soprattutto, Topolino e Gambadilegno: nemici inseparabili, nati assieme sullo Steamboat Willie, nel 1928. Reciprocamente indispensabili, ormai. Quasi due facce della stessa medaglia, opposte e allo stesso tempo indissolubili. Una coppia molto noir, in questo senso: il detective e il criminale che si specchiano l’uno nell’altro, per trovare se stessi.
Oggi, pensi che sia ancora possibile un cambiamento di stile e di ricerca visiva così forte sulle pagine di Topolino? E se sì, all’interno di quale genere narrativo (ammesso che il noir sia ormai un terreno sufficientemente esplorato).
Bisogna guardare avanti, sempre. Oggi vorrei vedere più autori giovani che, come me all’epoca, si sforzassero di scrivere storie modellate dal e sul proprio tempo. Mi dispiace molto, invece, trovare aspiranti sceneggiatori che si rifanno pedissequamente a modelli narrativi di epoche in cui nemmeno erano nati. Quelle storie esistono già, ragazzi. Non ha senso tentare di rifarle. I personaggi del mondo disney, topi e paperi, hanno la grande capacità di adattarsi ed evolversi senza snaturarsi. È un peccato non sfruttarli in questa direzione. Non so da che parte si potrà andare, ma l’importante è partire con il piede giusto.
La tua storia preferita all’interno di “Topolino Black Edition”.
Per quello che ho voluto raccontare, per l’idea che sta dietro, Dalla parte sbagliata. Per la sua importanza, Topolino e il fiume del tempo, che ho scritto con il grandissimo Francesco Artibani. Ma anche… oh, caspita, le amo tutte. Tutte sono una parte importante di me.