Cinema Zenit è il titolo dell’ultimo fumetto di Andrea Bruno. Un autore che ha conquistato, nella sua ormai ventennale carriera, una precisa identità, riconosciuta e apprezzata anche all’estero. I suoi fumetti sono come pièce teatrali, che paiono emergere dall’incontro dello Steinbeck di La Luna è tramontata con le decalcomanie post-apocalittiche di un Max Ernst. Nella sua materia grafica, ritroviamo echi del segno sporco e fisico di Stefano Ricci. Dalle sue distopie oniriche, e dai suoi “appunti per storie di guerra”, trasudano invece la curvatura politica e critica della scuola argentina – su tutti Alberto Breccia – ma anche l’espressionismo “realista” di marca Sampayo/Muñoz. L’effetto di straniamento e smarrimento è totale: si respira l’aria asfissiante e mefitica delle cronache croate di Zezelj.
Dopo la prova a colori per Coconino Press insieme al cantautore Vasco Brondi, e dopo l’esperimento/divertissement in formato ‘leporello’ per i tipi di Alessandro Berardinelli Editore, Bruno torna a pubblicare per l’etichetta Canicola nella collana Sudaca, che esordì nel 2009 proprio con un suo lavoro, Sabato Tregua (che gli guadagnò il Premio Micheluzzi 2010, come ‘Miglior Disegnatore’). Cinema Zenit è il primo volume di una trilogia, ed è oggetto di una mostra presso il Centre d’Art Contemporain di Ginevra. Abbiamo raggiunto l’autore per discuterne insieme.
Con Cinema Zenit sembri tornare, dopo il lavoro con Vasco Brondi, a dimensioni più consone e “familiari” per chi conosce le tue opere. Di cosa parla questo nuovo lavoro?
Cinema Zenit è il primo “albettone” di una storia che sarà divisa in tre parti. Segue le vicende di una ragazza che arriva in una città straniera e si confronta con una realtà a lei sconosciuta e vagamente ostile.
L’ostilità dei luoghi e delle situazioni di Cinema Zenit si trasmettono anche e soprattutto attraverso il tuo stile, fatto di macchie e interventi espressionistici, ma anche dall’immaginario con cui componi i tuoi universi. Quale logica hanno queste scelte?
La logica è quella di provare a dare vita a qualcosa che possa risultare alla fine coeso e originale. Inoltre, ho voluto sviluppare in una direzione più narrativa gli scenari e le atmosfere che comparivano nella mia pubblicazione per l’editore ABE, nella serie in ‘leporello’ Biblioteca Onirica.
Cinema Zenit, inoltre, sancisce il ritorno alla collana di ampio formato Sudaca. In che maniera, questo formato condiziona il tuo lavoro?
In questi ultimi anni la collana Sudaca è diventata una sorta di marchio di fabbrica delle produzioni Canicola. Ci piace il grande formato perché ci sembra che possa esaltare l’impatto grafico e visivo dei racconti a fumetti senza sacrificare le esigenze narrative. Per un fumettista disegnare su tavole molto grandi, con tutto ciò che ne consegue sotto il punto di vista del lavoro sul segno, rappresenta una sfida ma anche un piacere.
Nel libro veniamo subito catapultati in un intreccio difficile, fondato su una poetica che potremmo dire “dell’omissione”. Eppure la trovo una scelta funzionale, perché dona concretezza all’ambientazione – ma al contempo la lettura si rallenta, e costringe a tornare sul testo cercando di comprenderlo nelle sue pieghe. Non ti spaventa condurre CZ su una strada impervia, vista anche la sua lunghezza?
Non mi spaventa. Al contrario, il progetto originario prevedeva una complessità narrativa ancora maggiore. Trovo abbastanza seducente l’eventualità che il lettore, un po’ come accade alla protagonista, possa in una qualche misura sentirsi disorientato dentro il racconto.
La pubblicazione di CZ sarà accompagnata da una mostra presso il Cac di Ginevra. Quanto peso ha nella costruzione delle tue tavole la loro fruibilità come opere “in sé”, al di là della loro tensione narrativa?
La mostra di Cinema Zenit verrà ospitata in una project room del Centre d’Art Contemporain di Ginevra. Questo tipo di collaborazioni caratterizzano da tempo il progetto di Canicola: proviamo a portare la nostre produzioni anche in spazi di altra natura, che mostrano attenzione per gli sviluppi del fumetto contemporaneo. Tuttavia, non disegno le mie tavole pensandole in primo luogo come originali da esporre. La fruizione dei disegni in contesti espositivi è un momento successivo all’uscita del libro, importante sotto vari aspetti, ma lo scopo primario del mio lavoro rimane quello della pubblicazione cartacea.
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