Davide Toffolo ed io ci eravamo persi di vista da un bel po’ di tempo. In senso figurato, intendo (di persona non lo ho mai conosciuto). Dopo avere letto Graphic novel is dead, però, è facile sentirlo vicino e conoscerlo. O almeno in parte, vista la natura frammentaria del libro nel quale si racconta.
La prima volta in cui lo vidi fu quando il suo gruppo, i Tre Allegri Ragazzi Morti, suonarono in un piccolo festival musicale di una cittadina vicino a casa. Loro non erano ancora famosi e io avrò avuto quindici o sedici anni, l’età adatta per ascoltare i Tre Allegri (“Quindic’anni già”, diceva uno dei loro pezzi…). Era probabilmente il primo concerto a cui assistevo, e la band lo iniziò con un pezzo che per cinque o sei minuti dice quasi sempre la stessa cosa (“non saremo mai come voi…”), con una monotonia che riesce quasi a irritare, un po’ come a voler allontanare spettatori “indesiderati” o non interessati. Così successe, e rimanemmo in pochi. Negli anni seguenti lessi i suoi primi volumi a fumetti, e lo vidi suonare altre volte. Poi ci perdemmo di vista.
Di per sé, quanto spesso abbia avuto a che fare con Toffolo conta ben poco; ma leggere Graphic novel is dead senza qualche trascorso nei confronti dell’autore, in realtà, potrebbe risultare in una lettura a metà, se non sterile, visto quanto il fumettista si apre al lettore, quasi privo di inibizioni.
A maggior ragione, ripercorrere la traiettoria di un autore che ha saputo raccontare con passione e realismo i contrasti e l’alienazione del processo di crescita di un ragazzo, può portare a vedere Toffolo come qualcuno che sa un bel po’ di cose su di te, anche se tu di lui sai ben poco. In questo senso GNID è un passaggio dovuto: un debito dell’autore nei confronti di chi ha conosciuto il suo lavoro.
Nel corso del libro Toffolo si mette a nudo (spesso ci si disegna davvero, nudo, quando non indossa il costume da gorilla dei suoi ultimi live) parlando col lettore direttamente, oppure con lo sguardo rivolto da un lato: quasi a voler sminuire con modestia una vita condotta al margine – orgogliosamente di provincia – e anche, forse, a rappresentare un certo sguardo autocritico.
Graphic novel is dead è uno sguardo all’indietro verso la carriera e la vita di una delle figure chiave degli ultimi due decenni di fumetto in Italia. Eppure è un racconto tutt’altro che autocelebrativo, tanto è pieno di disincanto. Raramente si era visto un tono così dimesso e sincero tra le pagine di un fumetto (italiano) incentrato sulla figura dell’autore stesso. E di proposito non dico autobiografico, perché di fatto GNID non è una biografia articolata, piuttosto un collage di flussi di pensiero che vanno a ritroso in punti più o meno lontani e tornano al presente. Nel mondo del fumetto, dopo anni di opere autore-centriche – si pensi al raffinato Seth, al naif Jeffrey Brown, al realista Harvey Pekar, al Gipi disegnato male, o al recente Blutch delle ossessioni cinefile – Toffolo sembra stabilire una grammatica diversa del racconto di sé e dell’autocritica dell’artista. A cercare un parallelismo fumettistico, Toffolo qui è accostabile solo al Blutch di Per farla finita col cinema, per come si confida con disperata rassegnazione Woodyalleniana di fronte al lettore, nudo, senza tentare di raccogliere simpatie.
Vista la rassegnazione di certi passaggi e l’impronta nostalgica che pervade il libro, alla fine è difficile dire se per Toffolo il graphic novel sia morto per davvero, o se invece voglia proprio dire il contrario, come morto non è il rock ‘n’ roll né lo è il punk, nonostante le enfatiche espressioni giornalistiche e pop che il titolo del libro sembra riprendere. Toffolo, semmai, uccide e rianima il graphic novel, lo scompone e lo ricompone in una forma nuova o perlomeno personalissima, usando tutta la sua vita come campo di battaglia di una guerra interiore che si fa lotta creativa dell’artista “contro” la vita e dentro la vita.