Lo scorso 25 Gennaio presso il Logan Center a Chicago – con il sostengo congiunto di diverse istituzioni universitarie e artistiche, tra cui UChicago Art, il Fondo Adelyn Russell Bogert del Franke Institute for the Humanities, nonché il Centro Studi Ebraici – Art Spiegelman è stato protagonista insieme al sestetto del compositore jazz Phillip Johnston di una doppia performance dall’eloquente titolo: WORDLESS!
In uno spettacolo che mischia musica, parole e, soprattutto, immagini, i due hanno cercato di infondere nuova vita nelle opere di cinque grandi artisti: Frans Masereel, Lynd Ward, Milt Gross, Otto Nuckel e Si Lewen. Il tono compassato e nostalgico dell’orchestrina jazz diretta dal sassofonista americano ben si sposano con le immagini e le parole di Spiegelman. Il fumettista, infatti, ha costruito un percorso di riscoperta e approfondimento di opere affini e confinanti al fumetto, che godettero di ampia fama nei decenni tra i due conflitti mondiali.
Un modo “adulto” e intenso di pensare quella che volgarmente potremmo definire “arte sequenziale” e che ha sollevato in Spiegelman una domanda sul perché ad un certo punto l’attenzione, che avevano suscitato tra intellettuali e pubblico, sia di colpo svanita: dissolta come neve al sole.Parlare di autori come Lynd Ward, la cui opera è stata proprio grazie allo scavo “archeologico” di Spiegelman accolta nella Library of America, serve al fumettista di origini ebraiche per parlare ovviamente di se stesso e della sua opera.
Chi ha dimestichezza con Maus avrà notato la forte influenza che il segno materico ed espressionista di Ward ha esercitato su Spiegelman. Prisoner of Planet Hell, racconto in cui il giovane Spiegelman cercava di esorcizzare il lutto materno, trasuda una violenza e un dolore, figlio delle incisioni di Ward. Un tono gotico che per osmosi pervade anche Maus e che mette in evidenza come per Spiegelman Ward e Gray, ad esempio, esercitassero entrambi un’influenza diretta sul suo lavoro.
Wordless, pertanto, può essere visto come un tentativo di animare e approfondire le sue lectio magistralis sulla storia del fumetto – una tenutasi a Torino nel 2012 – attraverso la musica: un tentativo, come dice lo stesso Spiegelman in un’intervista rilasciata ad Edie Adelstein del Colorado Springs Indipendent, di rifuggire dalla propria cella e dalla propria solitudine creativa.
L’origine del progetto è, infatti, retrodatabile agli anni’90, quando Spiegelman volle metter su una piece musicale dal titolo Drawn to Death: A Opera Three- Panel, in cui parlava dell’ascesa e del declino del fumetto americano. Decenni dopo, grazie anche all’appoggio di Johnston, famoso per le sonorizzazioni del cinema muto, Spiegelman è tornato sul progetto, riflettendo però sul rapporto contraddittorio che unisce forme ormai dimenticate di narrazione grafica come quelle di Masereel, Nuckel e del suo amato Ward e il fumetto popolare.
Con Wordless! Spiegelman, quindi, torna a riflettere ancora una volta in maniera critica e innovativa sul nesso tra cultura alta e bassa, cercando di disegnare una spirale che intreccia i due movimenti. Una sorta di giallo a sfondo artistico, di cui la sua opera sembra diventare, nella sue intenzioni, la soluzione. Spiegelman non sfugge alla tentazioni di celebrare se stesso attraverso la storia del fumetto. Ma, forse, ad un autore non certo prolifico, ma di fondamentale importanza come lui possiamo perdonare certe licenze autocelebrative.