Si è da poco conclusa l’annuale Image Expo, evento oramai dotato di vita e autonomia proprie rispetto al resto dell’industria a fumetti statunitense. Seguendo un copione già scritto, quello che vede un’azienda diventata nome di spicco doppiare il tradizionale meccanismo delle fiere allestendone una esclusiva (vedi la Blizzcon a opera della Blizzard o il Macworld della Apple), la Image sceglie di autocelebrarsi con una convention dove è libera di interpretare – nella migliore delle maniere – il ruolo di cui si è investita nell’arco degli ultimi anni: i salvatori del comic book.
E come dare torto a Eric Stephenson e compagnia? Dopo tutto il mercato dei volumi da libreria è dominato dai loro titoli, praticamente ogni serie lanciata sul mercato finisce sold-out, riescono a far fare la figura dei bacchettoni retrogradi allo store online della Apple. Tutto mentre i critici sbrodolano e non smettono un attimo di sbandierare il loro rispetto per la creatività degli autori.
È dura non crogiolarsi dei propri successi, soprattutto se si guarda cosa altro offre la piazza. Dall’altra parte della barricata – quella delle grandi major – abbiamo infatti due universi rigidi, prigionieri della propria storia e dei fan più talebani. Mondi ultracodificati, dove a ogni minima modifica su di una testata corrisponde un effetto domino devastante. Come se questo non bastasse bisogna considerare come, sia DC che Marvel, facciano parte di aziende molto più vaste, con consigli di amministrazione decisamente agguerriti e non per forza di cose appassionati di fumetti. Questo è divenuto palese soprattutto presso la Casa delle Idee, ancora di più dopo i continui fuochi d’artificio dei film tratti dalle sue licenze.
Se prima di tutta questa serie di successi la casa editrice era un bacino di idee eccezionali, che non aspettavano altro se non di essere sfruttate come avrebbero meritato, ora viene considerata poco più che un prolungamento della sua controparte cinematografica. E come tale deve sottostare ai programmi di questa sua sorella maggiore, improntando tutto il suo programma editoriale sul prossimo blockbuster in uscita. Un serpente che si mangia la coda, se ci pensate bene.
E’ ironico pensare come l’immagine fresca e innovatrice della Marvel derivi ancora dalla gestione che l’ha salvata del fallimento, ovvero l’arrivo di Quesada in cabina di regia ormai quasi quindici anni fa. E fa ancora più sorridere realizzare come le testate lanciate in quel periodo così delicato, privo di strategie sviluppate da analisti di mercato, assomiglino in maniera folle a quello che oggi la Image distribuisce ai suoi avidi lettori. Credetemi, ho finito da poco di rileggere l’omnibus della X-Statix di Allred e Milligan. Viene da star male a pensare che una volta quella era la media.
Così succede che uno come Fraction – scrittore che ha sempre garantito vendite corpose – venga allontanato dalla prossima serie di punta della Marvel per divergenze creative. Sostituito da Charles Soule, attivo e valido quanto volete ma non certo portatore sano di nome di richiamo. Tutto questo mentre la coppia d’oro Brubaker e Philips sventola ai quattro venti il loro nuovo contratto da sogno, siglato in accordo con la Image. Per i prossimi cinque anni potranno mandare in stampa praticamente tutto quello che vorranno, senza controlli o problemi di diritti. Un evento senza precedenti, dettato dal fatto che ormai la coppia di autori è diventata una sorta di brand interno, acquistato dai lettori sulla fiducia. Anche senza leggere le sinossi e le preview sappiamo che si tratterà di un noir o di una spy-story, inutile girarci attorno.
Evidentemente la cosa piace a un sacco di gente, quindi meglio prevenire la fuga dei due verso altre case editrici (magari alla Dark Horse, già ricca dello straordinario pulp di Francesco Francavilla) dandogli quello che ogni creativo sogna: completa libertà e il diritto di essere padrone delle proprie creazioni. Senza contare la funzione di specchietto per le allodole. Quale star dell’industria statunitense – conscia di vendere tonnellate di copie solo grazie al proprio nome in copertina- non vorrebbe lavorare in queste condizioni? Sappiamo che uno come Frank Cho ha ammesso di vedere il suo futuro su Kickstarter – vista la cifra esagerata raccolta dal suo corso di disegno – quindi perché non fare in modo che torni all’ovile?
Chiariamo una cosa, nessuno crede che alla Image si siano scoperti filantropi. Dare libertà ai propri autori probabilmente non porterà alle vendite di una nuova serie degli X-Men, di Superman o dei Vendicatori, ma sono comunque soldi sicuri. Con un sacco di problemi in meno. Si tratta di professionisti ben consapevoli che il loro salario sarà commisurato agli ordini mese dopo mese. Difficilmente decideranno di buttarsi di punto in bianco in astruse opere criptiche ed elitarie, di quelle che probabilmente finiremmo per leggere noi soliti quattro fessi che ci beviamo di tutto. Vedo molto più facile che si mettano a scrivere ottimi fumetti, cercando di anticipare quanto basta i gusti del pubblico più smaliziato e mettendoci anche del proprio. Avessero avuto in testa altro avrebbero bussato ad altre porte, più serie e rispettate dai salotti buoni.
A questo punto facciamo mentalmente la lista degli autori che hanno presenziato alla Image Expo: il già citato Matt Fraction, Grant Morrison, Bill Willingham, Scott Snyder, James Robinson, Ed Brubaker, Sean Phillips, Jock, Rick Remender, Greg Tocchini, Nick Spencer. Limitandoci alle superstar. Pensare che ognuno di questi autori è al lavoro su una o più testate in (quasi) completa autonomia è fantastico. Pensare che il loro stipendio a fine mese dipenda da quanto facciano bene il loro lavoro lo è ancora di più.
Non è mistero che Vaughan e la Staples stiano facendo un sacco di soldi (ammesso da loro stessi, in diverse interviste) così come non voglio sapere a quanto ammonta il conto in banca di Robert Kirkman. La cosa che mi interessa è che si siano arricchiti scommettendo su idee in cui credevano, evitando di prendere lavori più sicuri e portando avanti la loro idea di fumetto. Se dopo si trovasse il modo di garantire un introito minimo anche agli autori di quelle serie adorate da noi noiosi ma schifate dal pubblico generalista non sarebbe male.
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