Il primo volume de Le grandi storie – L’opera Omnia di Romano Scarpa, distribuita nelle edicole lo scorso lunedì, è un’ottima occasione per riavvicinarsi al lavoro di uno dei maggiori fumettisti, non solo disneyani, di tutti i tempi. Fra le storie proposte in questa prima uscita, Biancaneve e verde fiamma, fumetto di esordio di Scarpa su Topolino, presenta particolari motivi di interesse.
La storia, scritta dallo storico sceneggiatore Guido Martina, si inserisce in un filone inaugurato da Biancaneve e il mago Basilisco del 1939, che prosegue, che attraverso una serie di avventure apocrife, prosegue le vicende del noto lungometraggio disneyano. Biancaneve e verde fiamma è una classica avventura fantastica martiniana, e contiene tutti gli elementi tipici del postmodernismo dell’autore, caratterizzato da citazionismo e dal gusto per il pastiche.
Il fumetto si apre con una filastrocca “recitata” dal più anomalo dei comprimari della vicenda, il pappagallo messicano Piperito Separé – un probabile riferimento al film Disney ad episodi I tre Caballeros del 1944 – inserito anacronisticamente sullo sfondo medioevale della favola. Piperito parla un italiano commisto ad espressioni idiomatiche spagnole. Già dalla seconda tavola, che mostra un consesso di streghe, o sabba, la lingua di Martina però cambia per adattarsi al tono orrorifico della vicenda. Le streghe, riprese mentre giungono di fronte al trono della loro sovrana e decana, la Strega Mammona, parlano in rima, così come il narratore, che si esprime attraverso una didascalia. Espressioni suggestive ed arcaicizzanti, come “melmose gore” e “notte di tregenda” perfettamente in accordo con il tono del momento narrato e altro tipico elemento distintivo della prosa di Martina, si contrappongono al lessico scanzonato dell’introduzione. In questa tavola doppia Scarpa, che solo poco più avanti mostrerà una notevole capacità di adesione ai model sheet del film del 1937, sembra mostrare qualche debito con il lavoro di Angelo Bioletto e in particolar modo con il suo L’Inferno di Topolino, parodia dantesca sempre sceneggiata da Martina. Debito che si consolida a tavola sette, nell’inquietante vignetta che racconta il sogno di Grimilde e che, a sua volta, sembra rimandare graficamente anche alla successiva Il dottor Paperus, sia per la scelta dell’inquadratura angolata sia per il gran numero di personaggi i quali affollano la scena i quali, disposti su vari piani, sottolineano l’originale uso della profondità di campo.
L’uso di inquadrature, prospettiche o meno, fortemente angolate, caratterizza questa storia, anche se la più interessante e maggiormente elegante la possiamo trovare in apertura di un’altra storia, sempre su Biancaneve, presente nel volume: Biancaneve, la strega e lo scudiero.
E’ sorprendente come, già da questa prima collaborazione, il lavoro di Martina si accordi con quello di Scarpa. Il disegnatore infatti, nonostante una fedele adesione ai modelli disneyani, che si consoliderà nel corso della sua carriera – si veda, a tal proposito, l’ultima vignetta della seconda tavola del secondo episodio – riesce ad adeguare il proprio segno e la propria narrazione grafica alle bizzarrie dello sceneggiatore, aggiungendo a sua volta elementi originali.
Portiamo due esempi. Sempre nel secondo episodio, nella scena della trasformazione dei nani in statuine e in quella della fuga di Cucciolo nel bosco, il passato di Scarpa animatore si fa sentire prepotentemente. Infatti, l’autore veneziano, nello stesso anno di Biancaneve e verde fiamma, aveva realizzato un cortometraggio – a cui lavorò anche Giorgio Bordini – dalle chiare influenze disneyane, La piccola fiammiferaia, reperibile QUI. A seconda delle fonti il film sembra essere stato realizzato fra il 1951 e il 1953. Certo è che fu distribuito nel 1956 insieme al film Attack! di Robert Aldrich. L’anno indicato sul sito dell’Istituto Luce, 1960, è comunque ampiamente irrealistico.
Nella prima sequenza qui portata come esempio l’esperienza e la passione dello Scarpa animatore si fanno sentire nella composizione di scene affollate, quasi “grandangolari”, vignette da cui i personaggi scappano, venendo inquadrati al limite della scena, tagliati dal bordo dell’inquadratura. Scelta questa, se non del tutto originale, per lo meno anomala e che contribuisce a dinamizzare l’azione, caratterizzandola rispetto alla produzione coeva.
Nel caso del secondo esempio, contenute nelle prime tavole della terza parte, Scarpa e Martina mettono in scena una parodia di una delle più famose sequenze del lungometraggio disneyano, con il nano muto al posto di Biancaneve. L’uso insistito delle didascalie, a sopperire alla mancanza di parola del personaggio, e la scelta delle inquadrature dialogano felicemente con il linguaggio cinematografico dell’epoca. Subito dopo possiamo vedere la messa in scena di un’altra delle specificità del linguaggio di Martina. Cucciolo, ormai superato il terrore che la foresta gli incuteva, si trova a dialogare con Piperito grazie a uno stratagemma inventato da quest’ultimo: suonare delle melodie attraverso il proprio flauto. Ma le canzoni che Cucciolo suona, ancora una volta, sono degli anacronismi. In sequenza, infatti, troviamo le parole di Torna Piccina Mia, della romanza della Tosca E lucean le stelle (“io muoio disperato”), della canzone Sono tre parole, cantata da Vittorio de Sica e dell’aria della Madama Butterfly Un bel dì vedremo. Una divertente commistione che se da un lato serviva ad ammiccare al lettore, dall’altro inseriva, senza pedanteria, riferimenti più colti, in maniera tale, anche, da collegarsi ai lettori adulti che avrebbero letto il fumetto in seconda battuta, ormai dismesso da figli e nipoti. Riferimenti alla cultura nazionale questi, il cui inserimento oggi risulterebbe per lo meno stridente e di difficile leggibilità, vista la diffusione internazionale raggiunta dalle storie dei nostri autori ma che testimoniano, ancora una volta, la bizzarria e l’inventiva dei nostri autori. Il tutto inserito in un contesto che, seppur non pienamente horror come quello della già citata Biancaneve e il mago Basilisco – erano passati degli anni e la differenza fra quello che si poteva raccontare e quello che era meglio non mostrare si sente – riesce ad essere anche più che lievemente inquietante.
Martina e Scarpa si ritroveranno di nuovo insieme al lavoro sugli stessi personaggi in un’altra avventura oltre alle due qui citate, forse la più originale e riuscita dell’intera serie, I Sette Nani e la fata incatenata. Una storia, Biancaneve e verde fiamma, tutta da riscoprire quindi, così come il resto della produzione dei primi anni dei Disney italiani.