HomeRecensioniClassicPetra, il “rondone migratore” di Micheluzzi

Petra, il “rondone migratore” di Micheluzzi

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Nell’Aprile del 1982 con un lettera alla rivista Alter Alter, Attilio Micheluzzi motivava così – lui, che era famoso per l’assiduità e la velocità produttiva – l’ennesimo ritardo nella consegna di una nuova storia di Petra Chérie:

Ho…due figlie con cui non è facile trattare. Una è Agnese. Per vederla, basta che esca dal mio studio, percorra cinque passi e mi infili nel suo, che è giusto accanto. L’altra…, l’altra è una specie di rondone migratore, con il quale la storia del sale sulla coda non ha mai funzionato. Ho passato lunghi mesi della mia vita a correrle dietro, per cercare di parlarle e capire alcune cose, neanche facili. Sarei un vero padre, sennò?

PETRA CHERIE

La seconda figlia – indipendente, irraggiungibile, testarda e volitiva – era appunto la ventitreenne Petra De Karlowitz, «bella, elegante…poliglotta, pilota esperta di aerei…una donna d’affari». Petra Chérie nasceva nel 1977 come personaggio maschile, tale Rupert de Karlowitz, soprannominato “il Vicario”. Tuttavia, la similitudine con un personaggio già famoso e ingombrante come Corto Maltese aveva convinto l’allora direttore de Il Corriere dei Ragazzi, Alfredo Barberis, a proporre a Micheluzzi di farlo diventare una donna. E Micheluzzi acconsentendo si era trovato per le mani un personaggio difficile, ma dalle enormi potenzialità.

Il rapporto profondo che unisce Attilio Micheluzzi e Petra de Karlowitz è ben rappresentato dall’incipit del volume: le tre tavole di In guisa di presentazione ritraggono l’eroina mentre parla di sé controvoglia allo stesso autore. Questo breve passaggio era stavo pensato come introduzione al primo racconto apparso su Alter Alter, Il deserto e le stelle, ma ci mostra anche il rapporto privilegiato che Micheluzzi intratteneva con la sua creatura. Austero e conservatore, aveva profuso – con dovizia di particolari e attente ricerche storiche – tutto il suo amore in un personaggio distante e antagonista dal suo modo di pensare, tratteggiando il ritratto di un’epoca decisiva tra la fine della Belle Époque e i sanguinari eventi della Rivoluzione d’Ottobre.

Le avventure di Petra si svolgono quasi tutte nei 12 mesi del 1917, acquistando mano a mano un tono sempre più adulto e oscuro, sino a culminare nei toni tragici dei racconti caucasici, dove viene intrappolata nel vortice delle vicende della rivoluzione bolscevica. Qua la narrazione di Micheluzzi si ferma, lasciando scivolare la coraggiosa aviatrice nelle brume della Storia: una condanna ai regimi totalitari sovietici e, nel contempo, un’impossibilità palese a continuare le vicende della sua creatura, ormai – forse – non più in linea con i nuovi corsi storici.

La brusca interruzione è un segno dello smarrimento di Micheluzzi: nell’ultima immagine la ritrae in lacrime, mentre scompare nella steppa russa in compagnia di Anatoljj Ivaniĉ. È un commiato dal sapore amaro, e su cui il fumettista glisserà sempre. Di lì a poco, nei pochi anni – troppo pochi – che gli resteranno da vivere si dedicherà instancabilmente ad altre sue creature – Johnny Focus e Capitan Erik – e firmerà quelli che, in maniera unanime, sono considerati i suoi capolavori (Air Mail, Bab-El-Mandeb, Roy Mann, Mermoz etc), eppure Petra Chérie rimarrà il suo personaggio più emblematico, lontano da quel «tipo femminile che andava allora di moda, sguaiato, violento, spesso poco pulito, innamorato dei ‘collettivi’, che credeva di realizzarsi solo dicendo ‘cazzo’ ad ogni istante».

Serializzato su Il Giornalino, la creatura di Micheluzzi finirà la sua corsa, per l’appunto, su Alter Alter nel 1982 con il racconto Aurora! Aurora!. I venticinque racconti sono stati raccolti – per la prima volta integralmente – in un bel volume edito da Comma22, corredato da alcuni testi (di Sergio Brancato, Paola Laura Gorla, Claudio Novelli, Luca Raffaelli) che ben introducono il lettore nel clima storico in cui sono ambientate le vicende dell’eroina del fumettista istriano.

Il bianco e nero rende la lettura ancora più affascinante, non facendo rimpiangere la mancanza del colore, ma anzi donando un senso di austerità e nitore alle tavole, così da far affiorare ancora più prepotentemente i riferimenti di Micheluzzi, su tutti: Milton Caniff, Noel Sickles e Alex Raymond, e utile a gustare l’evoluzione grafica del segno, che si fa sempre più essenziale e, al contempo, denso, prediligendo sempre più «un uso impressionista dell’inchiostro» degno del miglior Alex Toth.

Nonostante la mancanza di studi e schizzi, l’irreperibilità, se non nel mercato antiquario, delle precedenti edizioni rende questa l’occasione giusta per recuperare nella sua interezza e in un formato generoso una delle opere più riuscite – forse LA più riuscita – del maestro istriano.

Petra Chérie
di Attilio Micheluzzi

Comma22 Editore, 2013
352 pagine, € 29,00

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