Tutti possono fare fumetti è uno di quei libri dalla formula rara e un po’ vertiginosa, che talvolta si affacciano sugli scaffali delle fumetterie: un manuale didattico sul fumetto, realizzato a fumetti. Un lavoro alla maniera di Scott McCloud, diciamo, ma scritto/disegnato dall’italiano Gud, al secolo Daniele Bonomo (edito da Tunué).
Nel titolo, senza alcun dubbio, c’è tutto il senso dell’operazione: dietro al tono democratico e incoraggiante si cela una breve dissertazione, nitida e lineare, sui meccanismi e le regole della nona arte, scandita in 10 chiari capitoli che affrontano per gradi le varie fasi della produzione di un fumetto, mostrando a un pubblico di aspiranti autori quanto sia “semplice” creare il proprio fumetto. Apparentemente, aggiungo io.
Il primo capitolo, ad esempio, mostra come la migliore definizione per il fumetto sia quella coniata proprio dal fumettista statunitense che ricordavo (inevitabilmente) in apertura, ovvero una serie di «immagini e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza, con lo scopo di comunicare informazioni e/o produrre una reazione estetica nel lettore».
In maniera (molto) sintetica Gud dedica il secondo capitolo a porre subito anche un paio di distinzioni utili: con l’illustrazione, in cui il disegno gioca una partita “di servizio” al testo, e con l’animazione, che parlando di immagini “sovrapposte” (e non giustapposte) aiuta a spezzare la diffusa identificazione tra fotogramma e vignetta. Un procedere netto, che pone le basi minime per parlare dei meccanismi specifici che guidano il funzionamento del linguaggio fumettistico.
Tuttavia, proprio collocandosi nella linea di McCloud – e forse andando anche un po’ oltre – Gud sottolinea il ruolo dello spazio tra le vignette, l’elemento tensivo che produce il “movimento” del guardare leggendo – o del leggere guardando – con tutte le peculiarità del caso. Un presupposto che non manca certo di chiarezza (chi, tra gli aspiranti fumettisti, non ha mai sentito nominare McCloud?), ma che porta con sé anche un problema.
Perché la definizione adottata da Gud è equivocabile: rischia di pensare al fumetto come un medium ubiquo e legato solo alla successione logica e narrativa di due immagini. Esempio: una giustapposizione arbitraria di due illustrazioni è (o può essere) fumetto?
Quelle qui sopra sono due illustrazioni di Jim Rugg, la prima apparsa in Foxing Quarterly, la seconda in Sleazy Slice #5. Il sottoscritto le ha giustapposte, creando… una narrazione possibile. Come la storia di un romantico bacio in biblioteca, che si trasforma in una fellatio in un bagno pubblico. In fondo, non ho fatto che seguire la definizione di McCloud (versione Gud), “disegni in sequenza che raccontano qualcosa”. Domanda: l’avere creato questa sequenza fa di me un autore?
Il viaggio di Gud continua (capitolo quattro) con un excursus storico. Vediamo allora Gud in persona – narratore e, insieme, protagonista cartoonesco del volume – dialogare con quello che forse viene presentato come il primo autore di fumetti: Richard Felton Outcault e la sua famosa creatura Yellow Kid.
In realtà, la storiografia ha da tempo abbandonato questa tesi, rintracciando i primi esempi “moderni” di fumetto in Rodolphe Töpffer e altri, ma per semplicità divulgativa – e grazie alla cautela dello stesso autore, che lo identifica più per l’invenzione del balloon che non per la creazione del medium – si può accettare per buona la “ricostruzione” dell’autore.
Anche perché al di là della storia del fumetto, quello che interessa a Gud, prima di entrare nel vivo delle tecniche di produzione (capitolo cinque), è spiegare come “funziona” un fumetto, badando ad aspetti come il senso di lettura e i ritmi narrativi, nonché alla “vignettizzazione” – potremmo dire, implicita in gran parte delle opere della nona arte – facendosi aiutare da un testimonial come Little Nemo.
Con il sesto capitolo, “Davanti al foglio bianco”, Gud passa ad illustrare in pratica – con accorgimenti da autore esperto – come è possibile realizzare un fumetto. Questa lunga sezione, che cerca anche di sondare le motivazioni da cui nascono le storie – pescando anche e soprattutto nell’autobiografico – è forse la parte più debole del libro, che oscilla tra un tono didascalico – quando spiega concetti come quello dell’inquadratura – e un tono più romantico, soprattutto quando spiega dove scovare l’ispirazione per raccontare una buona storia.
E allora, forse, è proprio a questo punto che vale la pena riprendere la domanda implicita nel titolo – e nell’obiettivo – del volume: possono tutti fare fumetti? Non credo. Anzi: no.
Qualsiasi manuale, divulgativo o meno, pur svelando le prassi, le regole e i “trucchi” che ci celano dietro alla complessità del fumetto, non potrà mai spiegare la capacità – abbastanza rara – di catturare il lettore, intrappolandolo in quelle pagine e “gabbie” che da sempre guidano e trattengono i nostri sguardi. Anche con uno smartphone in mano, in fondo, tutti possono fare foto. Ma nella fotografia come nel fumetto – mezzo tecnologicamente ancor più “democratico”, e da tempo – non basta dominare qualche tecnica per generare buone opere.
In fin dei conti, a ben vedere, Gud ha ragione. Perché dal punto di vista di autore e insegnante, formatore di talenti in erba, si occupa di guardare soprattutto “a monte”: tutti possono fare fumetti, certo. Quegli stessi tutti, però, sanno anche che poi, di fronte a un’opera compiuta, ci si ritrova a guardare “a valle”. Tutti possono fare fumetti. Ma non tutti i fumetti sono (riescono) uguali.