È notizia di questi giorni che nel 2016 Eris Edizioni pubblicherà in Italia un volume di Michael DeForge (per ora un’opera, Dressing, poi chissà), uno degli autori più importanti del panorama del fumetto alternativo americano, ormai apprezzato a livello internazionale da critica e pubblico.
Michael DeForge nasce nel 1987 a Ottawa, in Canada. Fa il suo debutto ufficiale nel 2009 con la serie antologica personale Lose (Koyama Press), tuttora in corso di pubblicazione. Da allora, la produzione di DeForge si è mantenuta constante e prolifica spaziando dalle autoproduzioni di minicomics alla partecipazione ad antologie, al graphic novel (Ant Colony) o raccolte di racconti (Very Casual, A Body Beneath), a storie più lunghe (First Year Healthy e Big Kids), e al lavoro per il canale televisivo Cartoon Network (sia proponendo prodotti suoi che lavorando come designer ad Adventure Time).
Nel giro di pochi anni, DeForge si è imposto come una figura del fumetto indipendente che lavora in televisione senza però compromette la qualità e la regolarità della sua produzione a fumetti.
Ha portato l’esperienza e lo stile non mediato di certe sperimentazioni grafiche degli anni Novanta fin dentro al mainstream più influente. Prima di lui c’era stato Kaz, autore della folle striscia Underworld, che lavorando su SpongeBob aveva introdotto l’irriverenza underground nei cartoon; ma DeForge riesce in una impresa simile già in giovane età, alimentando e cavalcando un’ondata di innovazione che ha coinvolto l’intero settore dell’animazione. In tutto questo non ha mai rallentato la produzione di fumetti e la partecipazione attiva alla scena underground contemporanea. In un articolo su Slate che spiega la scena attuale del fumetto indipendente nordamericano e il suo continuo interagire con le nuove tendenze dell’animazione, la scrittrice ed editor Heidi MacDonald lo definisce “l’archetipo del moderno fumettista indie”.
Ma qual è la caratterista che contraddistingue davvero Michael DeForge da molti altri autori altrettanto talentuosi? Il suo stile nasce dalla tradizione, finendo poi per fondere due correnti del fumetto indipendente americano degli anni Novanta e di inizio Duemila (fumetto artistico e fumetto minimale) creando un immaginario nuovo, che sta stimolando nuove correnti e autori.
Nelle sue pagine, il minimalismo – sia tematico che del segno – trova unione con una complessa costruzione della tavola, perversa e introspettiva, con pattern ossessivi e immagini astratte. Dopo aver tratto ispirazione dall’esempio di artisti come Marc Bell, Mat Brinkman, Gary Panter o Brian Chippendale – dal segno intricato e plastico – DeForge abbraccia tematiche tanto surreali quanto psicologiche e sentimentali.«Il mio intento è mostrare personaggi che non hanno molta padronanza sulla loro vita, o non sentono di averne», dichiarò in un’intervista al New Yorker sotto l’uscita di Ant Colony.
Il suo approccio apparentemente freddo guarda tanto al fumetto minimalista (John Porcellino, Chester Brown, Ivan Brunetti, per citarne i maggiori esponenti, o il recente e delicato Blaise Larmee), quanto al mondo della grafica moderna, si pensi alla sua attenzione per i loghi e il lettering o per le figure piatte e uniformi (che sembrano trarre esempio dalle creazioni fluide del designer giapponese Ikko Tanaka o dal rigore del design postmodernista).
La sua cifra complessa, che si esplica nel consapevole assorbimento di una moltitudine di ispirazioni, viene definita dal fumettista e studioso del medium Frank Santoro come una corrente a sé, detta fusion. Santoro avvicina l’esperienza di DeForge a quella di Brandon Graham (quasi coetaneo), più dedito alla fusione di esperienze europee d’autore (Moebius su tutti) con la dinamicità del manga.
Un paio di anni fa, in una intervista a Comics Alliance, DeForge ha detto: «Ho imparato a disegnare guardando le strisce della collezione dei miei genitori (Bloom Countuy, Far Side, Peanuts, Calvin & Hobbes). Ho letto supereroi per un po’ e ho provato a disegnare in quello stile, ma poi i miei gusti si sono ampliati nell’adolescenza […] Sono molti gli autori che mi influenzano: Hideshi Hino, Jack Kirby, Derek Jarman, Eduardo Muñoz Bachs, Prince, Mary Blair, Saul Steinberg e Mark Newgarden».
Il suo contorcere le immagini, addensarle e creare storie dallo spirito labirintico e lisergico è così “free” da rappresentare un approccio al fumetto che si dimentica intenzionalmente di guardare al cinema come ispirazione; facendo sì che la regia e le inquadrature passino in secondo piano rispetto alla ricerca grafica e alle suggestioni narrative astratte (guardando più ai videogame o all’animazione sperimentale).
Free form e decostruzione sono parole chiave nella comprensione del lavoro di DeForge. Per come sa giocare col colore e le forme flirtando con l’immaginario pop e underground, ogni sua immagine sembra accompagnata da una colonna sonora di suoni riverberati e distorti che si potrebbe quasi definire “indie pop”.