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Karen Berger, la signora Vertigo

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Chi ha letto alcune delle pietre miliari del fumetto anni Ottanta e Novanta – da V per Vendetta a Sandman, da Hellblazer a Preacher – avrà ben chiari in mente una serie di nomi: Alan Moore, Neil Gaiman, Garth Ennis. E Karen Berger.

Editor per la DC Comics e fondatrice dell’etichetta Vertigo, la Berger è una di quelle donne che, senza ombra di dubbio, hanno saputo dare un contributo di primo piano alla storia del fumetto. Per farla breve, si può dire che sia stata la persona giusta, nel posto giusto, al momento giusto. Per farla meno breve, ecco com’è andata.

Karen Berger
Karen Berger

L’ingresso in DC Comics e il debutto con un horror

Nel 1979, quindici anni prima della nascita della Vertigo, la DC Comics è appena sopravvissuta alla cosiddetta “Great Implosion”. È così che era stato descritto, ad esempio in un celebre articolo del Comics Journal (n.41, agosto 1978), il collasso delle vendite causato da difficoltà interne e dalla concorrenza della Marvel. Dopo aver sfiorato il disastro, la dirigenza, affidata alla giovane Jeanette Khan – altra donna decisiva, entrata in DC nel ’76 a 28 anni come Publisher, e nominata Presidente nel 1981 – si mostra aperta a qualsiasi soluzione utile a recuperare vendite e consensi.

Karen Berger sostiene un colloquio per lavorare in DC Comics. Ha 21 anni, si è appena laureata in letteratura e storia dell’arte al Brooklyn College ed è abbastanza a digiuno di fumetti. Non solo perché, com’è comprensibile per chi non lavora nel settore, non aveva idea di quanto fosse complesso il lavoro dietro a un fumetto. Ma soprattutto perché, fondamentalmente, dei comics non è una lettrice. Nonostante questo, e anzi forse proprio per questo, viene assunta come assistente di Paul Levitz, autore ed editor. La cosa non è poi così strana: la stessa Khan non aveva avuto, prima di arrivare in DC, alcuna esperienza nel campo del fumetto. E del resto Levitz cercava qualcuno che lo aiutasse non tanto nel lavoro creativo, quanto nelle incombenze amministrative.

Una volta assunta, già nel 1979, la Berger inizia a lavorare su un titolo antologico, The House of Mystery. Più precisamente, su I…Vampire, una serie di più di 100 numeri incentrata su un vampiro “gentiluomo”. La sinossi è questa: Andrew Bennett, aristocratico al servizio della regina Elisabetta I, viene morso da un vampiro e si trasforma a sua volta in un non-morto. Decide però di non uccidere esseri umani e di nutrirsi solo di sangue animale. La sua amata, Mary, gli chiede di essere vampirizzata per poter vivere insieme con lui per sempre. Ma la trasformazione la rende malvagia, e Bennett è così costretto a darle la caccia.

Karen Berger ritratta in 'House of Mistery' #292, DC Comics, 1982
Karen Berger ritratta in ‘House of Mistery’ #292, DC Comics, 1981

In un’intervista al webmagazine Sequential Tart, la Berger ha ricordato così questo primo lavoro in DC Comics:

«Sono stata fortunata ad aver cominciato nel ’79, quando la DC stava pubblicando altre cose oltre ai fumetti di supereroi. Non mi avevano mai attratto. Dal mio punto di vista, erano adatti solo a un pubblico maschile. A me piacevano i fumetti horror, mystery e fantasy. Ho avuto la fortuna di cominciare a lavorare su questo genere di libri. Sei mesi dopo esser stata assunta, sono diventata l’editor di House of Mystery. Il lavoro che ho svolto su quel titolo in un certo senso rappresenta il seme di quella che sarebbe diventata la Vertigo».

È interessante notare come, in contrapposizione al fumetto supereroistico percepito come “maschile”, la Berger individui le sue preferenze come lettrice nei generi horror, fantasy e mystery, ben lontani dall’immagine rassicurante dei prodotti rivolti alle ragazze. È in questa direzione che continuerà a sviluppare tante idee per la storica etichetta “adulta” che andrà a fondare.

Tra principesse ed amazzoni, la maturazione di uno sguardo femminile 

Nel 1983 la Berger lavora a un progetto pensato espressamente per il pubblico femminile. Si tratta di Amethyst Princess of Gemworld, serie scritta da Dan Mishkin e disegnata da Ernie Colon. Il concept – un fantasy ‘magico’ – è piuttosto tradizionale: Amy Winston scopre di non essere una tredicenne come tutte le altre quando viene portata in una dimensione parallela. Si tratta di un regno fatato in pericolo, dove tutti hanno il nome di una pietra preziosa. Lì diventa Amethyst, una splendida principessa con il potere innato di combattere i malvagi. Un personaggio piuttosto canonico, perfettamente adatto alle proiezioni infantili di tante bambine.

amethyst
‘Amethyst Annual’ Vol 1 #1, DC Comics, 1984

In qualità di editor, Karen Berger contribuisce in due modi all’evoluzione di questa serie. In primo luogo, come donna, aiuta lo sceneggiatore ad adottare un punto di vista più propriamente femminile, dal momento che la protagonista è una ragazzina che, all’improvviso, si ritrova ad agire nel corpo di una giovane donna ventenne. In secondo luogo, come lettrice, lavora perché la storia, ambientata in un regno fiabesco governato dal potere di pietre magiche, abbia comunque degli elementi realistici. Secondo la Berger «Amethyst era una ragazza vera, che viveva in una casa vera insieme con veri genitori; il punto era che si trattava di una persona ordinaria scaraventata in mezzo a situazioni e circostanze straordinarie».

Nel corso della serie, mano a mano che il realismo entra nel luccicante regno di Gemworld, la vita di Amethyst diventa sempre più problematica. Nonostante sia bella e potente, il suo amato principe la tradisce con un’altra. Appena la ragazza riesce a fare pace con le sue origini, accettando di non essere la “vera” figlia dei suoi genitori terrestri, scopre che il suo passato è più torbido di quanto pensasse. Quando realizza che il suo presente da principessa non è poi così felice, le risulta impossibile tornare indietro, perché anche la sua vita sulla Terra è irrimediabilmente sconvolta: suo padre ha un’amante, sua madre è diventata alcolista, e la sua migliore amica di Gemworld… ha preso il suo posto nei loro cuori e nella loro casa. Amy non esiste più, e ad Amethyst non resta che sacrificare tutta sé stessa, letteralmente, per proteggere il suo regno imperfetto.

L’insulsa principessa di un normalissimo (banalissimo) regno fatato è così diventata un’eroina tragica. E un fumetto di (banale) intrattenimento si ritrova ad assumere i tratti di un piccolo romanzo di formazione. Non a caso la Berger ha detto di considerare questa serie uno dei punti più ‘alti’ della sua carriera. Quella su Amethyst non rimane però una curiosa ma limitata esperienza. Diventa invece preziosa quando, intorno al 1985, alla Berger viene affidata la cura editoriale di Wonder Woman, uno dei personaggi principali dell’universo DC Comics, che il fumettista George Pérez aveva il compito di “rivitalizzare”.

Copertina di George Pérez per 'Wonder Woman' Vol 2 #1, DC Comics, 1987
Copertina di George Pérez per ‘Wonder Woman’ Vol 2 #1, DC Comics, 1987

Nel campo dei più canonici comics di supereroi, la Berger aveva già fatto un po’ di esperienza: aveva lavorato alla Legion Of Superheroes di Paul Levitz. In quella occasione, però, il suo contributo era stato piuttosto limitato e ne aveva ricavato l’impressione di  una «grande soap opera di fantascienza». Al contrario, l’esperienza su Wonder Woman si rivela per la Berger molto coinvolgente:

«È stata un’altra occasione in cui il fatto che fossi una donna ha aiutato. C’era molto di me in quelle storie e sono molto legata a quel fumetto».

Pérez aveva appena concluso con successo Crisis on Infinite Earths, una saga importante che aveva fatto ordine nel multiverso dei supereroi DC. Per il rilancio di Wonder Woman, decise di rispolverare le radici mitologiche dell’eroina, restituirle i poteri che nelle ultime serie gli erano stati sottratti e riportare in luce l’elemento femminile e femminista proprio dello storico titolo. In una intervista (nel libro Modern Masters Volume 2: George Pérez), Pérez ha ricordato il suo lavoro a fianco della Berger. Fu molto contento quando scoprì che gli era stata assegnata una editor donna, perché sentiva che il libro aveva bisogno di un punto di vista femminile. La Berger si comportò in modo che la fama e l’influenza dell’autore non entrassero in conflitto con il suo giudizio professionale. Smontò pezzo per pezzo le sceneggiature che non trovava convincenti. Contribuì a definire il ruolo cardine di alcuni personaggi maschili, come Heracles ed Hermes. Probabilmente favorì anche l’inserimento di alcuni aspetti particolarmente realistici nella trama, come la morte per overdose dell’addetta stampa dell’eroina Myndi Mayer, apparentemente inconciliabili con il contesto mitologico e supereroistico.

In sostanza, Pérez ha sempre riconosciuto che la Berger fu la più forte sostenitrice del suo lavoro. Quando nel 1992 la editor lo “abbandonò” per andare in maternità, l’autore non ebbe più la stessa ispirazione ed energia, tanto da decidere di porre fine alla sua avventura con Wonder Woman.

Grant Morrison e Karen Berger sulla fine degli anni Ottanta, da una scena del documentario 'Talking with gods'
Grant Morrison e Karen Berger sulla fine degli anni Ottanta, da una scena del documentario ‘Talking with gods’

Sempre nei primi anni Ottanta, la Berger lavora al graphic novel V per Vendetta e al rilancio di Swamp Thing, al fianco di un giovane Alan Moore. Da questo momento in poi, molti nuovi talenti provenienti dal Regno Unito saranno selezionati e reclutati da DC Comics, anche attraverso la rivista New Talent Showcase. La Berger, in particolare, appare molto in sintonia con l’irriverenza e lo spirito sovversivo dei nuovi autori britannici. Come ha affermato nel volume The Power of Comics:

«Quello che cerco è la capacità di raccontare storie che nascono da idee nuove e sono rappresentate in modo originale. Quello che cerco sono opere non convenzionali, che abbiano personaggi di un certo spessore».

In questo contesto, a partire dal 1989, nasce The Sandman.

Sandman: un successo strategico 

L’esordiente Neil Gaiman aveva pubblicato per DC Comics Black Orchid (1988), una miniserie disegnata da Dave McKean che rileggeva in maniera assolutamente inedita una supereroina poco conosciuta. Secondo quanto ha ricordato l’autore in un’intervista su Vulture, la Berger gli accennò alla possibilità di una serie mensile, ma lo invitò con decisione a pensare a un altro personaggio, perché «i personaggi femminili non vendono».

Copertina di 'Sandman' Vol 2 #1, DC Comics, 1989
Copertina di ‘Sandman’ Vol 2 #1, DC Comics, 1989

La scelta ricade dunque su Sandman, un oscuro giustiziere creato nel 1939 e poi, negli anni Settanta, trasformato in un supereroe da nientepopodimenoche Joe Simon e Jack Kirby. Gaiman conserva alcuni elementi dei vecchi eroi, tornando però alla loro matrice comune, l’“uomo della sabbia” (in italiano noto come “omino dei sogni”) che nel folklore britannico porta i sogni ai bambini. Il risultato è un personaggio completamente nuovo, Morpheus, ossia la personificazione del Sogno.

Fin dai primi episodi, la serie mostra qualcosa di diverso dal solito e, di certo, dal contesto editoriale dell’epoca. Il protagonista non è il centro assoluto della storia, ma spesso e volentieri un semplice pretesto per parlare di altri personaggi, mostrare le loro interazioni e superare le linee narrative consuete. Secondo la Berger, il punto in cui la serie cominciò a rivelare le sue potenzialità fu proprio l’episodio in cui compare la sorella maggiore di Sogno, una ragazzina gentile e allegra vestita in stile gothic: Death, ovvero la Morte.

La Berger ha ammesso che The Sandman si trasformò, grazie al trattamento di Gaiman, in «uno dei fumetti più atipici che siano mai stati scritti» (dall’editoriale pubblicato su The Sandman v. 2, edizione Planeta DeAgostini). Ebbe un successo straordinario e del tutto imprevedibile perché, proprio nel suo essere così atipico, intercettava i gusti di un pubblico molto più ampio: da una parte i lettori europei, che apprezzavano l’elemento letterario della serie; dall’altra le lettrici, che con questa serie aumentarono in maniera esponenziale.

vertigo
Il logo di Vertigo Comics

The Sandman aveva dimostrato qualcosa di davvero strategico: i fumetti, anche quelli senza supereroi, avevano un pubblico. La dirigenza DC Comics appoggia quindi una nuova idea: fondare un’etichetta autonoma per dare ampio spazio a prodotti di questo tipo. Nel 1993, con Karen Berger tra i fondatori, nasce Vertigo, che assorbe anche alcune serie preesistenti. L’editor punta molto in alto:

«Nonostante l’opinione comune, non ci siamo occupati solo del fantasy horror/dark, ma ci siamo orientati verso vari generi, crime fiction, guerra, ricostruzioni storiche, western, storie realistiche e umoristiche. Eppure quasi tutti i nostri libri non si possono classificare in un genere. Ho voluto pubblicare storie che la gente non immaginava di poter leggere a fumetti».

Dopo decine di serie, miniserie (più qualche graphic novel), l’ottimo lavoro e numerosi riconoscimenti (tra cui tre Eisner Awards come Miglior Editor), nel 2006 la Berger viene nominata Executive Editor Vertigo e Senior Vice-President DC Entertainement. Da questo momento in poi non lavora più a stretto contatto con gli autori, ma ha più potere decisionale nello scegliere che cosa pubblicare. Tra le numerose scelte vincenti, però, ce n’è una che si rivela poco felice.

La grande scommessa ‘al femminile’ e l’uscita di scena

Nel 2007 viene lanciata Minx, una etichetta di graphic novel rivolta a lettrici teenager e young adults, una fetta di pubblico che in precedenza non aveva ricevuto molta attenzione da DC Comics. Il progetto è voluto e spinto dalla Berger e coordinato dall’editor Shelly Bond. Grazie al successo di The Sandman e di altre serie Vertigo, è ormai chiaro che i fumetti non sono più (non solo) “cose da maschi”. Il consenso internazionale raccolto da Persepolis, graphic novel di Marjane Satrapi, suggeriva che c’erano lettori che apprezzavano storie reali, disegnate con uno stile personale, ideate e realizzate da donne. Inoltre, le vendite dei manga avevano provato che anche le teenager potevano diventare un pubblico costante e fedele.

Burnout, uno dei titoli dell'etichetta Minx
‘Burnout’, uno dei titoli dell’etichetta Minx

Le storie di Minx hanno infatti per protagoniste delle ragazzine. Non supereroine, ma adolescenti ‘normali’, che risolvono problemi con la loro intelligenza e le loro qualità, senza alcun potere magico. Alcune storie sono firmate da autrici (Cecil Castellucci, Rebecca Donner, Mariko Tamaki, Sophie Campbell, Alisa Kwitney) e hanno uno stile grafico inconsueto – tra gusto indie e influenze manga – per prodotti mainstream. Infine, per andare incontro a chi non frequenta abitualmente le fumetterie, la collana arriva anche in libreria, praticando perciò canali di distribuzione ancora poco battuti dalle major di supereroi.

Nonostante la promozione e la pubblicità, tuttavia, la collana non decolla, e chiude dopo meno di un anno. L’insuccesso è stato attribuito a vari fattori. Inizialmente, infatti, venne fatto notare come gli autori fossero sostanzialmente più uomini che donne, indebolendo un po’ le aspettative (soprattutto quelle generate da un articolo del New York Times sull’argomento). Ma la principale responsabilità fu attribuita alla distribuzione: Random House non riuscì a collocare i libri nella sezione young adults delle librerie Borders o Barnes & Noble, mancando quindi l’obiettivo di differenziare il pubblico.

A distanza di alcuni anni, è più facile aggiungere qualche altra considerazione per spiegare questo fallimento. Innanzitutto, le protagoniste di Minx non avevano i poteri di un supereroe ma nemmeno erano immerse in quel contesto straordinario capace di rendere la loro storia unica. Erano, secondo la definizione data dalla stessa Berger, «ragazze reali, che vivono situazioni reali nel mondo reale». Forse questa eccessiva dose di realismo tradisce un punto di vista più adulto che adolescente. Alle protagoniste di Minx, pensate per le ragazzine, era stata negata quella “straordinarietà” tipica dei grandi personaggi Vertigo che avevano fin dall’inizio attratto il pubblico femminile. Inoltre, alla luce di quanto accaduto da allora nel circuito delle librerie, con la crescita del fumetto destinato proprio al pubblico degli (e delle) young adults, va riconosciuto che una chiusura così repentina non ha forse consentito al pubblico – e ai librai – di “maturare” nell’attenzione verso questi prodotti: questione di «bad timing», come dissero alcuni autori all’epoca. Forse, mi permetto di dire, viene da pensare che Karen Berger abbia fallito nel momento in cui la dirigente è prevalsa sulla lettrice.

Archiviata la vicenda Minx, nel 2009-2010 DC Comics vive una profonda riorganizzazione (inclusa l’uscita di scena di Paul Levitz, che aveva investito molto sulla Berger), e il ruolo dell’etichetta Vertigo sembra messo in discussione. Le politiche editoriali più tradizionali che guidano il successo dell’evento The New 52 nel 2011 hanno un effetto importante: molti personaggi Vertigo vengono riassorbiti nel DC Universe, e tra questi Swamp Thing, John Constantine o Shade. La Berger resta al timone della Vertigo fino al 2013, quando lascia il posto all’ex-collaboratrice Shelly Bond. Una stagione si chiude, e la Berger, che il New York Times insignisce col titolo di mother of the “weird stuff”, ossia “madre di cose bizzarre”, commenta laconica:

«Mi sono resa conto che la DC Comics era più impegnata a concentrare i propri sforzi su personaggi di sua proprietà. [DC e Marvel] sono aziende produttrici di supereroi che appartengono a studios cinematografici».

A oggi, non possiamo ancora dire se la brillante carriera dell’editor sia davvero conclusa o solo momentaneamente sospesa. Fin qui, quel che è certo è che Karen Berger ha sicuramente rivoluzionato il mondo del fumetto. Diventando un punto di riferimento e un’ispirazione per tutte quelle donne che desiderano lavorare nell’editoria dei fumetti.

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