HomeRecensioniNovitàRaccontare divora la vita. 'Nella camera del cuore' di Marco Galli

Raccontare divora la vita. ‘Nella camera del cuore’ di Marco Galli

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«Miliardi di parole […] e tutto quello che rimane sono i nostri corpi che marciscono». Sono le parole che Marco Galli mette in bocca ad uno dei personaggi del suo nuovo graphic novel pubblicato da Coconico Press/Fandango, editore a cui si deve il sorprendente Oceania Boulevard, precedente opera dell’autore bresciano. Sono parole gettate lì, en passant, ma che segnano l’orizzonte in cui si muove – sorniona e beffarda –  la narrazione di Galli. Nella camera de cuore si nasconde un elefante è un’ambigua apologia sul mestiere di scrivere e di quel contorto rapporto che intrattiene con l’esistenza. Da un lato la vita, caotica e imprevedibile; dall’altra la letteratura, come immersione e ascesi nei riguardi della stessa. La letteratura, tanto effimera quanto schizzinosa, che dopo aver cannibalizzato il corpo dell’esistenza prova a sistematizzarne i lacerti in un’estetica dell’intreccio: un arabesco geometrizzante facilmente deglutibile (anche se non sempre, e per fortuna)

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Ma di cosa parla questo romanzo? Forse, del più abusato argomento della letteratura dello scorso secolo: il rapporto tra autore e creazione e lo sfaldarsi nervoso dell’ispirazione nello spazio muto della pagina bianca. La crisi e il silenzio che attannagliano Almo Brasil, lo spingono per gioco e per caso ad intraprendere un viaggio a Bahlore, il cui cuore – Medina – conserva segretamente nei suoi vicoli che si attorcigliano come serpi vive il segreto dell’identità di Suxi Loca, sedicente personalità mediatica che istiga il viaggio dello scrittore.

Non è un caso che la stasi esistenziale di Brasil, ormai stanziale e abitudianario, venga sconvolta da un sogno. Il pennellaccio nero à la Munoz viene sconvolto dall’irruzione di un rosso sanguigno. Dopo una ventina di pagine, una macchia liquida e sospesa rompe la trama acuta del pennino di Galli. Nel sogno di Almo, si concretizza la traccia mnestica delle sue letture: il protagonista del romanzo di Lermontov – Un eroe del nostro tempo – Pečorin si materializza a cavallo, sconvolto da una presenza femminile in cui si intrecciano lo spettro della principessa Bela e l’enigmatica Suxi Loca.

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Il colore apre – in sintesi – la presenza dell’altro: in questo caso incarnato dalla donna e dalla città. Medina e le sue donne si mescolano screziando o illuminando le tavole di Galli, che con disinvoltura anima i suoi neri espressionistici di una luce che solo la trasparenza e la velocità degli acquarelli sanno dare. A metà strada tra il Blast di Larcenet e la mistica della luce di Gipi, Galli restituisce al colore tutta la sua trama simbolica, enfatizzando e sottolineando passaggi, con una sapiente regia. Le capacità di Galli esplodono, in particolare, nella facilità con cui conduce il lettore tra le strade di Medina e tra le pagine del romanzo, lasciandolo perdere. Così come Almo Brasil, che in preda agli eventi, alla vita, alla concretezza di una nuova quotidianità, perde di vista il motivo del suo viaggio, trasformando la permanenza a Bahlore in un’esperienza psichedelica e onirica, in cui ogni traccia inseguita si rivela illusione e menzogna, dove le case di piacere possono nascondere insidie per chi non è preparato all’insolito. Ma la farsa drammatica in tre atti costruita da Galli deve il suo equilibrio, inoltre, ad un terzetto di personaggi che intrecciano le proprie vite dando forma agli eventi. Il già citato Almo Brasil, lo scorbutico bohemien Milo Ganz, scrittore fallito anch’egli e rifugiatosi tra i vicoli e i suk di Medina, e la sensuale e moresca Zelda, musicista della Taverna del Greco, nonché musa dello stesso Ganz.

Questo classico intreccio amoroso – classico nel classico, accumulo di cliché, abuso di temi, volutamente onnivoro e provocatorio – rappresenta il cuore pulsante del volume: è il vicolo in cui si aggirano gli uomini dai volti rossi, divorati dalla rufa e dalle acque salmastre e lisergiche di Medina. In questa corsa a rimpiattino tra i tre sulle tracce – momentaneamente affioranti – di Suxi Loca (forse inesistente pretesto) le certezze di Almo deflagrano, lasciando spazio alla verve di Galli, che accumula citazioni, boutades e divagazioni onirico-lisergiche in una trama libera ed imprevedibile con aperture surreali e spiazzanti, che ricordano quasi i racconti nel racconto del John Irving de Il mondo secondo Garp (si confronti la scena dell’elefantessa bianca e La Pensione Grillparzer).

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Sarebbe interessante seguire le trame nascoste del romanzo di Galli, seguendo un po’ le allusioni e gli indizi disseminati qua e là nel corso del volume, ma il tutto comporterebbe una distruzione e uno sfaldamento della struttura avvolgente dell’opera. Le dissezioni erudite diventano un’asfissiante tormento, e più che mostrare la bontà dell’opera, la confondono con l’eco che provoca nel nostro universo personale di lettori bulimici.

Nella camera del cuore si nasconde un elefante va letto in punta di piedi. Non facendosi scoprire dai personaggi mentre gli osserviamo stondare e perdere le loro esistenze, mentre cerchiamo di intravvedere tra le pieghe delle loro vite un senso o per lo più una parvenza di logica, mentre cerchiamo di capire in che maniera biografia e autobiografia si confondono quasi volendo mimare il contrappunto che Lermontov mise in scena nel romanzo citato in apertura. Quello che deve fare il lettore – il buon lettore – non è spiegare il graphic novel di Galli, dispiegandone le strutture formali – basterebbe per questo analizzare la sequenza da manuale del dialogo tra Zelda e Almo, o la bicromia tagliente à la Pascal Rabaté – ed elencando l’adagio delle variazioni, ma farsi prendere in giro, cercando forse a mente di fredda di mischiare il mazzo di carte e giocare una nuova partita.

Nella camera del cuore si nasconde un elefante
di Marco Galli
Coconino Press, 2015
160 pagine, 18 €

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