di Laura Scarpa
Questa intervista a Leo Ortolani, in una versione più ampia, è apparsa sulla rivista bimestrale “Scuola di Fumetto” n.91.
Cercare di capire quanto e come le storie di Rat-Man continueranno davvero dopo il fatidico numero 100, è una domanda da non farsi, oggi. Ma qualche indizio? autore, ma non sei Superman o Batman. Che cosa puoi dirci?
Be’, direi no comment, a prescindere… Dal momento che tutto cambia in continuazione, non avrebbe senso nemmeno dire quale direzione stia prendendo la serie. Una volta ho detto che avrei chiuso con il numero 100, apriti cielo! Da allora, evito di dare anticipazioni, anche a me stesso. Come dice Bill Murray in uno dei suoi twitter: «Preferisco non pensare, prima di parlare, perché voglio restare sorpreso da quello che dico, come tutti gli altri».
L’attribuire a Rat-Man la tua data di nascita, sentimenti e carattere simili ai tuoi, potrebbe portarlo una umanizzazione o a un’evoluzione decisiva, sposarsi, avere figli?
Rat-Man è nato nel ’67, come me, ma non a gennaio, a ottobre, il 4, e quindi è una bilancia, cosa che lo porta a seguire gli altri, mentre io sono del capricorno, cosa che mi porta a evitare gli altri, siamo diversissimi. Dove lo porterà la sua data di nascita resta, per me, un vero mistero. Per quello che mi riguarda, potrebbe anche sposarsi con Cinzia, ma in questo senso, trovo un duro rifiuto da parte sua. Da parte di Cinzia, trovo solo un duro.
Decidere e prevedere una conclusione per una serie a fumetti è sempre difficile, e detto agli inizi o quasi può sembrare una gag e un gesto augurale, farlo davvero è un gesto coraggioso o magari inutile. Quando lo dichiarasti, come la vedevi?
La vedevo fumosa e incerta. Esattamente come adesso. Insomma, la mia idea di finale non è cambiata, negli anni! Scherzi a parte, è cambiata eccome, perché a determinati impulsi di sceneggiatura, corrisponde il suo logico finale. Tra i tanti, quello che ho immaginato per primo, e che poi ho abbandonato, lungo la strada, era che Rat-Man, piano piano, acquistasse più fiducia in se stesso, e alla fine sarebbe diventato un uomo, avrebbe acquisito una sua identità e non avrebbe più avuto bisogno di mascherarsi, per essere qualcuno. L’ho abbandonata, perché se ti metti una maschera per 40 anni, poi non puoi pretendere di cambiare. Nella vita, i cambiamenti sono difficili. E rari. Si parte con un bagaglio iniziale che spesso è tutto quello che ci viene dato, per percorrere la strada che abbiamo davanti.
Pensi che abbia fatto bene Watterson a interrompere del tutto Calvin e Hobbes? Tu faresti qualcosa del genere?
Penso che sia quello che lui voleva. Personalmente, lo trovo esagerato. Come se dicessi: «Addio, Rat-Man, siamo stati amici per più di vent’anni, adesso non ti voglio più vedere!». Gli amici, anche se magari non li frequenti più come prima, restano sempre gli amici. E io, i miei, mi sono inventato le “cene dei caproni”, pur di riunirli tutti almeno un paio di volte all’anno. Credo che anche con Rat-Man sarà così. Ci vedremo ogni tanto, ancora. Magari a cena, visto che sta mettendo su una maniglia dell’amore che pare quei tubi di polistirolo con cui si impara a nuotare, in piscina.
Rat-Man, come dici nel #99, ha aperto molte porte o bauli, ci sono tante tracce che sono state chiuse, ma che hanno lasciato alcuni fili sospesi. Un lavoro enorme rimetterli insieme ora!… Esiste una planimetria completa dell’opera oggi in cui troviamo delle vite parallele di Rat-Man, con avventure diverse, o nella magmatica complessità della serie sei restato coerente a un’unica grande storia di questo piccolo-grande topo?
A parte che a metà domanda mi sono perso, credo di avere sempre tenuto sotto controllo tutto. La varietà di piani narrativi che ho utilizzato durante la serie di Rat-Man è tale da stranire più di un lettore, ma quando mi fanno delle domande, anche feroci, vedo che ho sempre la risposta pronta ed esauriente, e questo significa che il timoniere è stato bravo. Poi, magari, mi schianto sugli scogli, ma con quell’aria da capitano coraggioso che tanto piace a certa iconografia sull’autore di fumetto sicuro di sé.
Rat-Man è il tuo eroe, il tuo successo, il tuo alter-ego. Ma non è la tua sola serie. A parte La lunga notte dell’ispettore Merlo, in uscita ora, le strisce l’Ultima burba, e Quelli di Parma o gli Inattaccabili o l’amatissima Venerdì 12… Dunque, almeno apparentemente, si vedono due tuoi filoni creativi: quelli sulla vita dei ragazzi di provincia, reclute e cittadini normali, e altre storie ambientate secondo generi precisi, dal giallo/noir alla storia gotica, ma che giocano sempre con sentimenti di noi tutti. Ci dobbiamo aspettare altre tue creazioni, e in quale direzione?
Nella sola che conosco. Quella che mi stimola a scrivere e a raccontare. Non ho mai diviso le cose in filoni, anche perché c’è sempre tanto di quello che ho vissuto, nelle mie storie, che quelli che definisci due filoni, alla fine sono semplicemente un solo filo conduttore che cambia magari colore a seconda del riflesso della luce, dell’approccio della narrazione. Così Venerdì 12 è la cosa più autobiografica che abbia mai fatto, anche se pare un film horror della Hammer.
Si parla sempre, e giustamente, dei maestri cui un autore si ispira. Ma spesso i riferimenti cambiano e si arricchiscono di nuovi elementi, soprattutto nel tuo caso non solo fumettistici. Direi che i film e anche le serie televisive sono sicuramente parte di quello che racconti. Ma, a parte parodie esplicite, non si tratta di furti e sono poche le “citazioni”, piuttosto credo che tu racconti un mondo molto reale, e quello immaginario in cui viviamo tutti immersi indirettamente, diciamo un mondo nerd, che credo si stia ampliando. Quanto senti la presenza di queste altre narrazioni e in che modo?
Il mondo nerd non esiste più, dal momento in cui “nerd” si è trasformato in sinonimo di “cool” (vedi il cambio di registro dello Spiderman cinematografico). Il mondo nerd che si amplia è qualcosa che cancella definitivamente il vecchio concetto. Il mondo immaginario che bazzico è quindi un mondo cambiato, contraddittorio, senza più dei punti di riferimento precisi. E allora lascio che la mente segua le stesse traiettorie della pallina da flipper. E da queste traiettorie ricavo degli input, dei suggerimenti, qualcosa che mi stimola a ricreare a modo mio quell’immaginario collettivo che ci stanno propinando senza trovare resistenza. Perché, diciamocelo, il mondo nerd è stato conquistato, omogeneizzato e commercializzato e tutti noi ce lo stiamo mangiando, a cucchiaiate, con le major cinematografiche che ci fanno l’aeroplanino, per farci aprire la bocca e AAAHMMETE! Giù THE AVENGERS! AAAHMMETE! E via con THOR… AAAHMMETE! E giù il reboot di Star Trek.
In un mondo in cui tutto è diventato possibile, nemmeno la nerdezza ci protegge più. Io ci provo, a mostrare ai lettori che ci stanno ingannando, che ci stanno vendendo quello che era già nostro, reso più scintillante e senza anima. Ma è una lotta impari. Diciamo che è un esercizio di stile, per restare sveglio.
Rat-Man ha avuto problemi, come quasi tutto il fumetto comico (tranne quello americano), a essere esportato. Si dice sempre che sia in parte per i giochi di parole, ma anche per le differenze tra le diverse comicità al mondo e per le allusioni a una nostra realtà italiana. Pensi di cambiare qualche cosa in questo senso? Ricominciare può portarlo a essere internazionale?
Io non credo a una sola di queste cose. Cioè non credo affatto che ci siano difficoltà a esportare Rat-Man per le sue presunte intraducibilità o “italianità”. Ma non perché non ci siano giochi di parole (ce ne sono, ma pochi) o riferimenti a un panorama italiano, inteso come stile di vita. Perché questi sono solo elementi di qualcosa di più grande. Come a dire “non possiamo tradurre ed esportare Il Maestro e Margherita perché la situazione immobiliare russa dell’epoca non è comprensibile a una persona del 2013 e quindi non può leggere il romanzo”. Se si continua a dire così, significa che non si è ancora capito come abbiano fatto i manga a conquistare il mondo. Ora, non voglio dire che Rat-Man potrebbe conquistare il mondo, ma era per capirci.