HomeRecensioniClassicUsagi Yojimbo, o come i Funny Animals sono diventati adulti

Usagi Yojimbo, o come i Funny Animals sono diventati adulti

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di Michele R. Serra

I funny animals? Sono tutt’altro che divertenti. L’etichetta è ingannevole più di una televendita di numeri del lotto. Accade spesso quando si parla di fumetti: quanti graphic novel sono effettivamente romanzi? Ammetto però che le etichette siano utili a critici e giornalisti ancora prima che al marketing, dunque non è il caso di buttarle via (per me che scrivo, in particolare, sarebbe come sputare nel piatto che mi permette di pagare il mutuo). Ancor più nel caso della succitata categoria “funny animals”, che segue l’evoluzione del fumetto americano nel corso di un secolo e rotti di storia.

Funny animals significa, per semplificare all’osso, Topolino: bestie antropomorfe che si rivolgono alle famiglie – e soprattutto ai membri più piccoli – con le armi del carino, della leggerezza, dello slapstick. Ma fin dall’inizio, a questi animaletti divertenti il ruolo di tradizionali intrattenitori dei bambini americani va stretto. Gli esempi di eresia non mancano: George Herriman negli anni Venti usa gatto e topo per mettere in piedi il sofisticato teatrino surrealista di Krazy Kat, Walt Kelly nei Cinquanta trasforma l’opossum Pogo e i suoi amici della palude di Okefenokee in una satira della società statunitense.

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Ma sarà la rivoluzione dei sixties a vibrare il colpo più violento all’immagine innocente dei funny animals: dalla seconda metà della decade Robert Crumb produce una memorabile serie di storie centrate su gatti erotomani, uccelli balordi e conigli tossici, distribuendole direttamente – con l’aiuto della moglie, che trasporta i fumetti in un passeggino – agli angoli del quartiere Haight-Ashbury, epicentro della cultura hippie di San Francisco, tra spacciatori di trip, zaffate di ganja e musica dei Grateful Dead (sembra una descrizione eccessivamente ricolma di cliché, lo so, ma non è tanto lontana dai ricordi che lo stesso Crumb ha rievocato davanti a diversi giornalisti nel corso degli anni successivi). Eppure Fritz il gatto e compagni rimasero confinati nell’underground, e i funny animals dovettero aspettare gli anni Ottanta prima di diventare ufficialmente adulti anche nel mainstream culturale americano. E scoprire il loro lato più aggressivo (ma senza gli eccessi sesso&droga delle storie di Crumb).

Questo rivolgimento culturale poggia sulle spalle di un oritteropo, quattro tartarughe e un coniglio, tutti quanti disegnati in rigoroso bianco e nero: Cerebus di Dave Sim, Teenage Mutant Ninja Turtles di Kevin Eastman e Peter Laird, Usagi Yojimbo di Stan Sakai. Cerebus è il più celebrato dalla critica: per la complessità della trama (che il canadese Sim, tipo notoriamente modesto, ha paragonato a Guerra e pace) e per il fascino negativo del protagonista, funny animal avido, crudele e sessista. Le quattro Turtles sono invece le più amate dal pubblico generalista: Eastman e Laird avevano stampato le prime copie del fumetto investendo 1.300 dollari avuti in prestito dello zio del disegnatore, e avevano chiamato il loro editore Mirage Studios perché in effetti non esisteva alcuno “studio”, eccezion fatta per il salotto di casa Laird. Qualche anno dopo, i Turtles avrebbero superato il miliardo di merchandising venduto sul mercato (al prezzo di un totale tradimento del loro aspetto originale brutto, sporco e cattivo, ma questa è un’altra storia). Del mazzo, insomma, Usagi Yojimbo è il parente medioborghese: mai diventato una property multimiliardaria come le tartarughe, mai arrivato allo status di universale iper-cult dell’oritteropo. Eppure rileggendo il primo decennio dei racconti che vedono protagonista questo coniglio samurai, nell’edizione italiana monstre (1200 pagine circa, divise in due volumi) pubblicata dalla milanese Renoir Comics, scintilla davanti agli occhi la qualità dell’opera di Stan Sakai, capace di mettere insieme un rotondo mash-up di riferimenti pop pescati dalle due sponde dell’Oceano Pacifico.

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Stan è nato a Kyoto nei primi Cinquanta da madre giapponese e padre nippo-americano, che ha trasferito la famiglia alle Hawaii quando il figlio non aveva ancora un anno. A venticinque il giovane Sakai si è trasferito a Los Angeles, fresco di matrimonio, e ha messo a frutto il suo retaggio ibrido: la passione per la calligrafia, arte diffusa tra le famiglie giapponesi in percentuali molto più alte che nel mondo occidentale, l’ha portato a diventare letterista della serie Groo the Wanderer di Sergio Aragonés, trampolino verso il lavoro di cartoonist vero e proprio. Come Groo, anche Usagi Yojimbo è un fumetto rigorosamente creator-owned, passato per le mani di diversi editori (i già citati Mirage Studios dei Turtles, Fantagraphics, Dark Horse), ma sempre con lo stesso tipo di contratto, riassunto efficacemente da Stan in poche parole: «Usagi è mio. Quindi, qualsiasi storia io mandi al mio editore, la deve stampare così com’è». Il risultato di tanta libertà creativa è l’Avventura fondamentale del genere funny animals, una narrazione dagli orizzonti ampi e dalla precisione chirurgica, capace di rappresentare un tassello fondamentale nella comprensione della svolta epocale avvenuta nel fumetto americano durante gli Ottanta, con il coniglio Usagi che idealmente occupa la parte opposta della mappa rispetto ai topi della famiglia Spiegelman.

Di conigli, tra quello bianco di Alice e il Frank di Donnie Darko, l’immaginario anglosassone è pieno. Usagi tuttavia spicca nella folla, e non solo perché porta le orecchie raccolte all’indietro con un nastro, a imitare il chonmage dei samurai del periodo Edo. Usagi è Toshiro Mifune, e Clint Eastwood (quello pre-Novanta, beninteso) di conseguenza: un prototipo di eroe tradizionale rivisto attraverso la lente del pop, capace di diventare icona senza rinunciare a qualche particolare spiazzante e inaspettato. Nel caso di Usagi Yojimbo è ad esempio la presenza – fin dai primi racconti – di piccoli dinosauri nel Giappone feudale del diciassettesimo secolo. Ma perché? «Mi piacciono i dinosauri» è la semplice risposta di Stanley Masahiko Sakai, che se avesse avuto un editor mai sarebbe riuscito a far passare l’inserimento di alcuni mini-Gertie tra templi buddisti e lussuose dimore di shogun. Meglio così. Anche perché il successo continua: il mese prossimo, dopo trent’anni di pubblicazioni, Stan terrà a battesimo una nuova serie regolare per Usagi Yojimbo. L’onda lunga della rivoluzione degli Ottanta non si è ancora ritirata.

Usagi Yojimbo – L’edizione speciale Voll. 1-2
di Stan Sakai

ReNoir, 2014
586-578 pagine, 34,90 € cad.


Articolo originariamente apparso su Linus n. 598 – marzo 2015

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