di Stefano Perullo
Il 1986 è stato un anno irripetibile nella storia del fumetto statunitense. Nel mese di gennaio, Frank Miller torna, dopo una pausa di tre anni, sulle pagine di Daredevil e a partire dal numero 227 della serie dedicata all’uomo senza paura, in coppia con David Mazzucchelli, comincia la pubblicazione di Born Again. Il 20 Marzo esce il primo numero di The Dark Knight Returns (ancora Frank Miller); il 26 luglio è la volta Watchmen #1 (di Alan Moore e Dave Gibbons, ma che ve lo dico a fare?); il 15 luglio debutta Starbrand e il (fallimentare, ma non dal punto di vista qualitativo) New Universe della Marvel, mentre contemporaneamente la DC Comics distribuisce The Man of Steel, miniserie con la quale John Byrne ridefinisce il mito di Superman (e il Time dedica la copertina all’opera dell’autore canadese); il 15 settembre Maus di Art Spiegelman arriva nelle librerie; il 13 novembre su Batman #404 inizia la serializzazione di Year One di Frank Miller e Dave Mazzucchelli.
Ma questa è solo la punta di un iceberg; quello che potrebbe sembrare un fenomeno qualitativo determinato solo dallo stato di grazia di alcuni autori è invece solo la superficie di una rivoluzione in atto in tutto il mondo del fumetto. Autori come Claremont, Simonson, Sim, Giffen, Sienkiewicz, DeMatteis e moltissimi altri mensilmente sfornano storie (non solo supereroistiche) di ottimo intrattenimento, rivolgendosi a un pubblico che, per una volta, non è esclusivamente quello dei ragazzini.
Un circolo virtuoso che coinvolse tutto il sistema fumetto e che produsse un decennio di opere indimenticabili. La Marvel cavalcò questo fenomeno tentando la strada della differenziazione o della riscoperta di generi da tempo abbandonati. Anziché lanciare l’ennesima testata mutante (e all’epoca erano solo tre, ben caratterizzate e molto diverse tra loro) si decise di celebrare il 25° anniversario della casa editrice con il lancio del New Universe (un universo narrativo nel quale i personaggi che acquisivano superpoteri non decidevano automaticamente di diventare supereroi) e si diedero nuove opportunità editoriali ai fumetti sentimentali e a quelli bellici.
Sulle pagine della rivista antologica Marvel Savage Tales, Doug Murray (testi) e Michael Golden (disegni), diretti dall’attenta supervisione di Larry Hama, pubblicarono alcune storie brevi a sfondo bellico intitolate Fifth to the 1st. La buona accoglienza riservata dai lettori a questa serie convinse Hama a proporre a Jim Shooter, l’allora editor-in-chief della Marvel, un progetto ben più ambizioso: tentare il rilancio del genere bellico pubblicando una serie regolare mensile. Shooter approvò la proposta senza esitazioni. Come sceneggiatore della serie fu scelto Doug Murray, un reduce della guerra del Vietnam, che propose di realizzare una serie molto realistica che ponesse l’attenzione sulle brutalità che accadono in guerra, contrapposte a tanta propaganda che allora, come oggi, incitava alla guerra come all’unica soluzione per far prevalere la giustizia nel mondo. Il risultato di questa proposta portò al lancio, nel settembre del 1986, del più singolare e unico mensile pubblicato dalla Marvel lungo il corso di tutto quel decennio: The ‘Nam.
La serie era incentrata sulla narrazione degli eventi della guerra del Vietnam, visti attraverso gli occhi di Ed Marks, un soldato semplice dell’esercito statunitense. Raccontata in tempo reale (tra un episodio e l’altro, trascorreva un mese di tempo effettivo per il protagonista della serie, così che, con l’uscita del tredicesimo albo della serie, Marks si trovava sul fronte da un anno), The ‘Nam si soffermava sulla quotidianità della vita di Ed Marks e dei suoi commilitoni, alternando momenti di noia ad attimi di terrore, storie di amicizia e di ordinaria disonestà. La maggior parte degli eventi narrati sulla serie non sono altro che la trasposizione delle esperienze realmente vissute da Murray in Vietnam. L’essere un reduce del conflitto indusse, con molta naturalezza, Murray a focalizzare la sua attenzione sulla narrazione delle vicende più umane e intimiste della guerra, anziché sull’azione in puro Rambo-Style. Questo approccio così singolare e inedito (per l’epoca, non dimentichiamoci che il presidente degli Stati Uniti era il non propriamente pacifista Ronald Reagan), conferì alla serie una forte verosimiglianza; una sensazione enfatizzata anche dai dialoghi, molti asciutti e rarefatti, di Murray, dai disegni super-dettagliati di Michael Golden e dalla presenza, in terza di copertina, di un glossario che spiegava i termiti più tecnici e gergali utilizzati dai militari.
The ‘Nam era il mezzo per esplorare in maniera esistenzialista i conflitti moderni, narrato con uno stile realistico e convincente. Murray, Golden e Hama erano fortemente convinti e consapevoli del messaggio che poteva essere trasmesso attraverso le pagine dei fumetti, e del forte potere educativo che queste potessero esercitare nei confronti dei lettori, con l’intento di convincerli che la guerra non è bella, né tanto meno eroica. Nell’introduzione alla terza ristampa in trade paperback del primo ciclo di episodi di The ‘Nam, Murray specificò con molta chiarezza il suo intento: «Questo è il tentativo di trasmettere alla più importante audience di tutte alcune delle lezioni che ho appreso dalla guerra in Vietnam – in modo tale che le persone che avranno letto questa serie non dovranno affrontare il prossimo conflitto che ci coinvolgerà crogiolandosi nell’ignoranza. Dobbiamo ricordarci del Vietnam. Dobbiamo ricordare che il Vietnam è stata una guerra sporca, diretta male e futile. Con queste idee ben chiare nella nostra memoria, dobbiamo far sì che una cosa del genere non accada mai più».
Nelle intenzioni di Murray, The ‘Nam avrebbe dovuto essere una maxi-serie della durata di otto anni, proprio come la durata del conflitto in Vietnam. Mantenendo l’innovativo concetto della narrazione in tempo reale (escamotage narrativo che, a memoria, mi sembra sia stato utilizzato solo per 52, la maxi-serie settimanale che la DC Comics ha pubblicato agli inizi del 2000), sarebbe dovuto uscire un numero per ogni mese che aveva visto impegnati gli USA sul fronte vietnamita. Purtroppo i piani di Murray non furono rispettati fino in fondo; la serie, infatti, fu chiusa con il numero 84 (circa un anno prima di quanto l’autore aveva pianificato), e lo scrittore aveva terminato la sua esperienza con il numero 51 (pubblicato nel gennaio del 1990). Michael Golden, invece, aveva realizzato solo i primi dodici numeri.
Una piccola nota a margine. Tre mesi dopo la pubblicazione di The ‘Nam #1, nei cinema statunitensi, e successivamente in quelli di tutto il mondo, fu distribuito Platoon di Oliver Stone. Il film, che vinse il premio Oscar come miglior pellicola dell’anno, aveva un approccio narrativo molto simile a quello del fumetto Marvel, e il suo successo aprì la strada a un grosso seguito di film che approfondirono, sviscerarono e denunciarono le brutture del conflitto vietnamita. Di certo non si può dire che Stone, a sua volta, così come Murray, reduce dal Vietnam, si sia ispirato al fumetto, ma è chiaro che la Casa delle Idee avesse percepito il fenomeno in arrivo, riuscendo a battere sul tempo la concorrenza.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul blog Comix Factory e qui riadattato per l’occasione.