Una delle cose più divertenti da fare quando si viene a contatto con un’opera d’ingegno concepita e sviluppata in maniera solida e coerente è la ricerca di quella porzione minima che ne sintetizzi l’interezza in maniera impeccabile. Spesso nel cinema avviene con quelle piccole sequenze – in alcuni casi davvero poco coerenti con la trama – posizionate strategicamente prima dei titoli di testa. Minuscoli semi in cui in potenza è contenuto tutto quello che arriverà nelle due ore seguenti.
Alla stessa maniera nel nuovo volume Panini dedicato a Moon Knight è possibile identificare una pagina che funga contemporaneamente da sunto e chiave di decodifica dell’intero lavoro svolto da Warren Ellis e Declan Shalvey. La tavola è occupata da una ripresa a volo d’uccello di un paesaggio onirico, simile a un grosso teschio rovesciato. Vediamo Moon Knight planare su questo ambiente dall’aspetto così minaccioso sfruttando il suo tipico mantello a forma di mezzaluna (per chi non lo sapesse, il protagonista è un mercenario ritornato dalla morte grazie a un patto con un dio egizio. In seguito a un fatto così, diciamo, poco inusuale il Nostro sprofonda in uno stato di confusione perenne arrivando a sviluppare tre diverse personalità. Vigilante, milionario e tassista. Verrebbe da chiedersi – o forse no – perché un personaggio così sia sempre stato relegato alle seconde linee).
La scansione temporale è ottenuta tramite una tecnica piuttosto comune nel fumetto statunitense: la stessa inquadratura è divisa in più riquadri e l’attore appare di volta in volta posizionato in maniera progressiva rispetto alla vignetta precedente, anche se lo sfondo è comune. In questo caso la pagina è divisa in quattro grosse fasce, con conseguente creazione di tre spazi bianchi tra una vignetta e l’altra. E qui arriva il colpo di genio. Moon Knight, nella sua divisa resa con bianco smaccatamente piatto, non appare all’interno dei riquadri ma a cavallo tra due vignette. Fuso con lo spazio bianco del fondo della pagina, come a farci capire che quello è il suo mondo. I disegni non sono che occasionali squarci in una cortina altrimenti inaccessibile.
Non troverei in nessun modo una maniera migliore per definire la natura di questa breve run. Perché provare a leggere il volume in questione senza la volontà di colmare in maniera attiva gli spazi bianchi tra una vignetta e l’altra significa depotenziarne in maniera criminale la sua vera portata. Se ci limitiamo a riempire quegli interstizi in maniera tradizionale quello che avremo tra le mani si limiterà a una raccolta di sei brevi storielle, al più piacevoli e argute nel loro omaggiare intere generazioni di vigilanti urbani. In questo caso non sarebbe che l’ennesima operazione di mimesi votata alla nostalgia, alla conservazione e alla presa emotiva di facile consumo.
Per nostra fortuna Ellis non è certo un autore che ama le missioni facili e quindi richiede da parte nostra una certa capacità di distacco e di analisi autonoma. Ce lo dimostra disseminando lungo tutto il volume una serie di indizi solo sussurrati. Ogni antagonista incontrato incorpora qualche aspetto della storia personale del protagonista (la vita militare, il tradimento…), appena è possibile si scende sotto il livello del pavimento (fogne, cripte…) proprio come successe a Marc Spector il giorno che ritornò dalla morte. Poi ci sono i continui cambi di costume, diversi suggerimenti su come la scansione cronologica del volume sia errata, le chiacchierate con i morti (che a volte rispondono, a volte rimangono inanimati al suolo) e un sacco di altre casualità. Impiegherete parecchio tempo nel cercare di decodificare questo dedalo di suggerimenti. Cercherete di capire perché l’armatura da combattimento compaia solo in determinate situazioni. Vorrete capire se la frase sibillina di una certa bambina – capirete leggendo il volume – sia letterale o solo una banale metafora.
Peccato che sia tutto inutile, perché mettere uno zuccherino alla fine del labirinto è una cosa da riservare a sceneggiatori mediocri impegnati a trattarci come cavie da laboratorio. Warren Ellis vuole insegnarci a provare piacere nel perdere ogni punto di riferimento. Si richiede impegno e un grosso sforzo di volontà per accettare il fatto che la follia non abbia sfaccettature logiche.
Nelle tavole di Declan Shalvey spesso Moon Knight appare come appicciato ai fondali, come se si trattasse di un’entità slegata dal nostro piano di realtà. Una patina bianca, opacizzante, destinata a riempire il nostro campo visivo e a celarci il mondo come lo conosciamo. Nell’episodio “Il Cecchino” la pagina concede, omicidio dopo omicidio, uno spazio sempre più generoso al fondo neutro, come a evidenziare il diffondersi sempre più inevitabile di una follia ben più pericolosa di ogni sfumatura di nero possibile.
È dura parlare di avanguardia leggendo un fumetto supereroistico nel 2015, eppure Moon Knight è uno dei casi dove ci si potrebbe azzardare di più senza rischiare di essere spernacchiati. E infatti l’avventura dello scrittore britannico su queste pagine termina qui, nel pieno rispetto delle regole di una Marvel ormai incancrenita e orgogliosa della sua posizione di sussidiaria alla sorella/padrona cinematografica.
Dopo la chiusura scellerata di quella bomba che rispondeva al nome di Nextwave, la Casa delle Idee non deve che aggiungere l’ennesima tacca alla lista dei debiti dovuti a uno degli sceneggiatori più influenti della sua storia (basti vedere in che modo sono state saccheggiate le idee dietro ai Thunderbolts). A noi non rimane che recuperare questo volume e continuare a illuderci. Forse, se ci fosse stato più tempo a disposizione, il cattivo maestro Warren Ellis ci avrebbe potuto insegnare a decodificare la follia.
Moon Knight: Dalla morte
di Warren Ellis e Declan Shalvey
Panini Comics, 2015
128 pagine, 12 €