Il regista francese Michel Gondry è noto per i suoi film visionari e romantici (Se mi lasci ti cancello, L’arte del sogno) e ancora prima lo è stato per aver lasciato un segno inconfondibile nel mondo dei videoclip con soluzioni semplici ma stupefacenti per bizzarria e originalità (conoscete le sue collaborazioni con Daft Punk, Foo Fighters e Björk, vero?).
Ma oltre al video, a Gondry interessa anche il fumetto. Questa sua passione si è palesata nel 2008 quando all’interno del lungometraggio antologico Tokyo! – nel suo episodio intitolato Interior Design – si è ispirato al graphic novel Cecil and Jordan in New York, dell’autrice indipendente newyorkese Gabrielle Bell, creandone un adattamento in una diversa location, Tokyo.
Nello stesso anno, Gondry ha fatto di più: ha realizzato un vero e proprio albo a fumetti, di chiara ispirazione underground, Abbiamo perso la guerra. Ma non la battaglia (tradotto in Italia da Bao Publishing). In questo lavoro, il suo approccio surreale è messo alla prova in una trama quanto mai scombiccherata, e in un certo senso diversa dal solito: un’epopea storica, che affronta con scanzonata libertà e leggerezza temi universali come amicizia, politica, guerra e relazioni uomo/donna.
A causa della minaccia di un popolo straniero e di un folle spirito bellico che pervade il mondo intero, assistiamo alla chiamata alle armi di quattro amici che in gioventù erano riusciti a evitare il servizio militare con raffazzonati inganni. Ormai adulti – eccetto uno, morto da tempo ma che viene richiamato comunque – si trovano costretti a difendere l’Île-de-France dall’invasione di un esercito di sole donne, proveniente dai paesi dell’Europa comunista. L’escalation militare è rapidissima e i quattro ne inventano di tutte per bloccare l’attacco, mentre sadici e noncuranti capi militari e di stato se ne stanno semplicemente a guardare di fronte a un grottesco massacro.
Così come lo è il disegno del regista francese prestato al fumetto, anche le azioni dei protagonisti sono sgangherate e goffe. Quello dipinto da Gondry è un mondo in cui un singolo umile individuo è costretto a servire uno stato sconclusionato, asservito a governanti che sembrano giocare a Risiko a spese della popolazione. Nel mentre, l’esercito composto da robuste donne provenienti dall’est comunista avanza per smontare le certezze di un occidente impegnato in un nuovo imperialismo. E al protagonista, Bruno, non resta che fare del suo meglio nel prestarsi a una guerra che non lo riguarda, ma col fine ultimo di portare in salvo da tutto questo non-sense almeno il figlio.
Da un calderone di tematiche a prima vista datate e figlie di una giovinezza vissuta nell’epoca precedente alla caduta del muro (guerra, rapporto uomo/donna, post-comunismo), Gondry emerge con un approccio apparentemente infantile e ingenuo, spensierato e quasi sbruffone che trova un’estensione coerente nell’utilizzo di un segno sgraziato. Prospettive deformate e appiattite, pose contorte, ambienti urbani che sembrano usciti dal quaderno dei disegni di un bambino, donne dalle forme prorompenti e dalle posizioni conturbanti che ricordano il remissivo approccio alla femminilità del maestro underground Robert Crumb.
Il risultato dell’accumulo di questi elementi ci restituisce un ritratto di Gondry lontano dall’incantevole grazia, sgargiante ma talvolta un po’ zuccherosa, a cui ci ha abituato il regista con i suoi film. Di fatto, però, il simbolismo e il tono evocativo della sua cifra stilistica rimangono intatti.
In definitiva, quel che più mi ha sorpreso è che il Gondry fumettista abbia realizzato una manciata di pagine nient’affatto ruffiane col lettore. Un mini graphic novel che invece di compiacere prova a graffiare, con una di quelle storie che sanno avvicinarti con i modi scanzonati di una favola surreale, ma lasciarti con la crudezza di una schietta parabola esistenziale.