Sappiamo tutti a cosa si va incontro quando sulla copertina di un nuovo albo, per di più edito da una delle principali case editrici nazionali, compare il nome di qualche famosa personalità extra-fumetto. Si può passare dalla semplice diffidenza al fastidio vero e proprio. Come può qualcuno proveniente da “fuori” venire a pretendere attenzione anche nel nostro piccolo mondo? E’ una legge a cui non si sfugge, figlia del ghetto culturale in cui il fumetto (che da sempre in Italia cerca di valorizzarsi – come se ce ne fosse bisogno – aggrappandosi ad altri linguaggi) si è sempre andato a incastrare. Nel caso di Highway to Hell il nome dell’invasore molesto è Davide DiLeo, noto ai più come Boosta dei Subsonica. Un consiglio, prima di armarvi di torce e forconi vi conviene arrivare in fondo a questo numero uno. E poi decidere sul da farsi.
Highway to Hell nasce come costola di un racconto inedito del musicista di Torino. Un poliziesco (forse), piuttosto convenzionale (non ci conterei) ambientato nella sconfinata provincia statunitense. Ci sono i dinner, una tostissima marshall ispanica, le cucine di metanfetamina nascoste nei granai e i buzzurri con barbe a cespuglio, cappellini da camionista e camicie a quadri. Messa così la cosa non promette benissimo. Il senso di derivativo è fortissimo e, soprattutto, pare di stare a giocare alla versione nostrana di True Detective. Per nostra fortuna le teste dietro a questo progetto non sono certo sprovveduti, e infatti le sorprese non tardano ad arrivare.
Prima di tutto alle sceneggiature troviamo un vero figlio dell’entroterra a stelle e strisce, quel Victor Gischler già pubblicato in Italia da Meridiano Zero ed Edizioni BD. Se si considera l’ambientazione rurale della serie non si poteva pensare di fare a meno di una voce autoctona, per evitare di cadere nella consueta trappola dell’autore cresciuto con troppi film in testa e che basa le sue ricostruzioni su universi immaginari. Non basta aver letto Lansdale e aver visto Non aprite quella porta per scrivere del Texas, figurarsi quando si parla del Massachusetts. Meglio assoldare qualcuno che quei posti li conosce bene (anche se il nostro vive a Baton Rouge, in Louisiana). Una penna capace di donare all’insieme una concretezza e una credibilità altrimenti impossibili da trovare. Peccato che qui la magia incominci a incrinarsi, mostrando dialoghi talvolta forzati e spesso troppo macchinosi per essere realistici. Come diceva il Maestro Leonard nelle sue celebri dieci regole «If it sounds like writing, I rewrite it.» Ambientazioni e atmosfera sono autentici, le battute invece sconfinano nel triviale o nel lapidario a tutti i costi. Autentiche forzature, una moda che si sperava morta almeno un lustro fa.
Una piccola pecca che non inficia troppo il risultato finale, forse perché – dialoghi esclusi – la voglia di battere sentieri consueti è poca. La coppia di detective sarà anche mutuata dalla tradizione del buddy-movie, ma per ora risulta monca dei consueti attriti e viene arricchita piuttosto da uno scarto razziale inedito e molto intelligente. Non il veterano a tre giorni dalla pensione (o l’ossessivo compulsivo) a fare coppia con il consueto middle-man tutto cuore & istinto, ma un indiano meticoloso e pragmatico a dividere l’abitacolo dell’auto con un semi-alcolizzato dalla lingua troppo lunga (va bene, qui siamo un pochino in zona cliché, ma il risultato è ottimo). Diciamo che dal prossimo numero le cose sono destinate a cambiare in maniera piuttosto netta (non avete idea quanto), evidenziando un’ottima capacità di gestione del ritmo e dei colpi di scena. Come la nuova serialità televisiva insegna, nel pilot troverete tutti gli ingredienti della serie, che andranno sviscerati con calma durante l’arco narrativo.
Dal punto di vista delle matite c’erano pochi dubbi sul livello stellare che la serie avrebbe raggiunto. A monte del progetto troviamo infatti lo studio Italian Job, realtà che annovera tra le sue fila alcuni tra i migliori disegnatori del Paese (Giuseppe Camucoli, Stefano Caselli, Francesco Mattina e Riccardo Burchielli, al lavoro su questa miniserie) e che punta a diventare la Man of Action (studio specializzato in proprietà intellettuali spalmate su più media – tra cui la mega hit Ben 10 – fondato da importanti nomi dell’industria statunitense) italiana. Inutile stupirsi del taglio internazionale del progetto quindi, quando quattro fondatori dello studio su cinque lavorano abitualmente con le principali major del fumetto statunitense.
Ci sarebbe ancora molto da dire (non per forza in positivo) ma ogni particolare in più rischierebbe di rovinarvi la lettura. Quello che occorre davvero sapere è che Highway to Hell è una delle cose più contemporanee prodotte dalla narrativa popolare italiana da un bel po’ di tempo a questa parte. Non si parla di capolavoro, e neppure del concorrente di Saga al trono di serie dell’anno. Ma se sulla copertina ci fosse il logo della Image piuttosto che quello della Panini ci sarebbe comunque poco da stupirsi. E vedendo cosa esce ultimamente da quei lidi, non mi pare una cosa da poco.