C’è una frase che Zerocalcare ha usato per presentare il suo nuovo libro, Dimentica il mio nome, che probabilmente racchiude tutto ciò che si può dire in proposito: «Tutto quello che ho fatto finora mi è servito per capire esattamente come raccontare questa storia.» E in effetti tale dichiarazione non è buttata lì per caso, perché in questo nuovo libro pubblicato da Bao Publishing – già editore dei suoi lavori precedenti – si ha davvero la sensazione di trovare qualcosa di fresco, capace di far fare un ulteriore passo in avanti all’autore.
Proprio dai lavori precedenti – facendo un rapido excursus – vale la pena partire per capire meglio la dichiarazione di Zero. Dopo l’esordio con La profezia dell’armadillo – praticamente una raccolta di storie brevi – il primo vero “romanzo” di Zerocalcare è stato Un polpo alla gola, opera autobiografica che non rinunciava agli stilemi che avevano portato l’autore al successo sul web, a partire dall’inserimento di digressioni sulla cultura pop anni Ottanta e Novanta, ma che risentiva ancora dell’attitudine alle storie brevi nella struttura, divisa in episodi – pur legati tra loro. L’influenza delle storie per il blog risultava in parte evidente anche nell’alternanza di scene al presente e flashback in Dodici, romanzo del 2013 che però presentava dei ritmi più serrati e che soprattutto utilizzava un elemento fantastico come pretesto fondante della storia: gli zombi che invadono Roma e in particolare Rebibbia, il quartiere a cui Zerocalcare è legato in modo simile a quello di Alvy Singer – il personaggio di Woody Allen in Io e Annie – con Manhattan. L’elemento “nerd” in questo caso diventava parte integrante della trama, anziché collaterale.
E il senso della dichiarazione di Zerocalcare riportata all’inizio diventa quindi palese nell’esaminare la trama di Dimentica il mio nome, che parte da uno spunto autobiografico – la morte della nonna dell’autore e protagonista – per sfociare nel fantastico, con l’introduzione nella realtà di un elemento fantasy: un escamotage per raccontare la propria famiglia senza metterla a nudo, ma al tempo stesso senza privare la narrazione di un coinvolgimento emotivo. La perdita di una persona cara di famiglia diventa quindi il pretesto per indagare sui lati misteriosi della propria ascendenza, finendo per scoperchiare qualcosa che va oltre l’immaginazione. L’autobiografismo e il fantastico sono due elementi che solo in apparenza sembrano slegati tra loro, ma che nella storia della letteratura spesso si sono trovati ad andare d’accordo – a partire da Philip K. Dick – e che qui si intersecano in modo deciso man mano che la storia procede, fino a un finale malinconico che sa di liberatorio, a lasciare intendere che Zero avesse voluto usare questa storia per sollevare il proprio dolore.
Un passo avanti lo si nota anche nella narrazione, più sciolta e ritmata rispetto alle uscite precedenti: un vero e proprio flusso che non offre soluzioni di continuità se non nei flashback e che trova dei punti fermi ricorrenti in alcuni spunti visivi – rappresentazioni di stati emotivi sotto forma di elementi della cultura popolare dei decenni scorsi, come nella consuetudine dell’autore – integrati nella trama come elementi narrativi, senza mai dare l’impressione di essere aggiunti solo per creare l’effetto comico.
Rispetto ai lavori precedenti, poi, la linea si fa più inquieta, i grigi scontornano, il tratteggio diventa più fitto, a sottolineare il maggiore coinvolgimento emotivo che vuol essere trasmesso, soprattutto quando le paure si fanno fisiche e diventano ombre, in un gioco visivo che mi ha ricordato molto da vicino la raffigurazione dei mostri nel Devilman di Go Nagai.
Con questo libro Zerocalcare sembra quindi aver voluto tirare le somme di questa sua prima parte di carriera – seppure ancora breve – tanto da intitolare il capitolo iniziale “Ogni maledetto lunedì” – parafrasando il libro Ogni maledetto lunedì (su due) che ne raccoglie le storie brevi pubblicate sul suo blog – e dare quasi un senso di circolarità alla vicenda, ponendola a fondamento della propria carriera di fumettista. Probabilmente, però, con questo libro Zerocalcare smette di essere solo “la voce di una generazione” – quella nata nei primi anni Ottanta, come è stato giustamente definito da più parti – per rivolgersi a un pubblico più vasto e avvicinarsi un po’ di più alla maturità artistica. In quest’ottica, mi piace pensare a Dimentica il mio nome come a un punto di (ri)partenza, più che di arrivo.
Dimentica il mio nome
di Zerocalcare
Bao Publishing, 2014
Cartonato, 240 pp., 18,00 €