È da poco disponibile su Netflix Klaus, film animato prodotto dallo stesso servizio di streaming per la regia di Sergio Pablos, realizzato per il periodo natalizio con un’animazione in 2D – quindi in controtendenza con le tecniche più usate di recente – ed è un film che dovreste assolutamente vedere. Accompagnati da bambini oppure da adulti, non importa: Klaus è un’opera universale che potrebbe porsi come pietra miliare di un nuovo corso animato.
La storia è quella di Jasper, viziato figlio del direttore della Regia Accademia Postale che viene spedito nella remota Smeerensburg, un’isola fredda e per nulla ospitale, con l’ingrato compito di gestire 6.000 lettere in un anno, pena la rinuncia alla bella vita fatta fino a quel momento. È lì, in un posto in cui vige una faida da secoli, che Jasper incontra il falegname Klaus, con cui creerà un legame.
Il modo in cui la produzione di Klaus si è sviluppata ci dice molto sullo stato delle dinamiche produttive del cinema contemporaneo, ma ci svela anche qualcosina riguardo ai piani di Netflix. Pablos, animatore spagnolo con un passato tra Disney e Dreamworks, decise di fondare il proprio studio nel 2004, chiamandolo SPA Studio. Ha lavorato, tra le varie cose, a Cattivissimo me, Smallfoot, Rio, Tarzan e Il pianeta del tesoro.
Ma, come ha avuto modo di dichiarare in varie interviste, il suo desiderio è sempre stato quello di dar vita a un proprio film animato in 2D perché la CGI, per lui, rappresenta un limite insormontabile. Da qui la scelta di proporre a Netflix un film interamente realizzato con quella tecnica. Bocciato. Ma la situazione con il tempo è cambiata, soprattutto dopo la decisione da parte del colosso dello streaming di investire considerevolmente sull’animazione.
Partiamo dalla dimensione visiva. La scelta dell’animazione 2D potrebbe apparire pleonastica, ma rivela ancora una potenzialità disarmante e nuove vie da intraprendere in un momento in cui si pensava che quella in 3D fosse ormai lo standard da utilizzare. La scelta di Pablos e dei suoi collaboratori è stata di lavorare sulle luci e sulle texture, cercando dunque di trovare una sintesi delle due tecniche.
Pablos si è avvalso dell’assistenza della casa di produzione francese Les du Poisson Rouge che utilizza un software, Houdoo, che permette agli animatori di dipingere le luci e aggiungere le varie texture ai cel che compongono l’animazione stessa. Il risultato è sorprendente perché ibrida due modi di intendere l’animazione che non necessariamente devono escludersi a vicenda.
Sergio Mancinelli, che ha lavorato ai background, ci conferma che la base utilizzata è disegnata, frame by frame, e che un software specifico elaborava le luci. Successivamente era necessario una correzione fotogramma per fotogramma, il che ha comportato un lavoro che integrava CGI e lavoro manuale, in una sinergia il cui risultato è effettivamente sorprendente. Sergio ci conferma anche che tutto il film è stato fatto con animazione 2D, fatta eccezione per i veicoli e alcuni oggetti.
Se il character design è comunque figlio di un certo tipo di produzione Disney (non a caso quella a cui lo stesso Pablos ha lavorato), un discorso a parte meritano i fondali. La pura bellezza con cui emergono in tutto il loro splendore dimostra come, nell’animazione contemporanea, i background possono avere un ruolo talmente vitale da diventare personaggi essi stessi, da essere più che funzionali. Buona parte del fascino di Klaus deriva anche e soprattutto da questo elemento, silente eppure immane, maestoso eppure nelle retrovie.
I fondali di Klaus rivelano l’intenzione, ancora una volta, di andare oltre i canoni prestabiliti dalle grandi case di produzione e mostrano la necessità di far dialogare linguaggi vicini ma al tempo stesso distanti come quello dell’animazione e dell’illustrazione. Questo dimostra ulteriormente che la scelta di animarlo in una forma che potrebbe essere erroneamente definita “classica” nasconde in realtà la volontà di un’ardita sperimentazione su più fronti e che, per i suddetti motivi, potrebbe essere concepita come un nuovo modo di fare e intendere l’animazione.
Passando infine alla storia in sé e per sé, Klaus eccelle pur lavorando all’interno di barriere narrative che anziché essere considerate come limiti sono state ribaltate e trasformate in vere e proprie occasioni. (Ri)pensare alla figura di Babbo Natale, ai cliché che lo contraddistinguono, o più semplicemente agli elementi consumistici del periodo natalizio per poi stravolgerli, farli a pezzi e ricomporli in una sinfonia di pura emozione: questo è il senso e l’obiettivo di Klaus.
Un film che inizia come un classico “viaggio dell’eroe”, diventa commedia frizzante, rinnega alcuni stereotipi o, in alcuni casi, li ammorbidisce, domandoli con vivacità e infine si trasforma in un’opera immaginifica e profondamente emozionale. Una storia che inizia là dove c’è l’assenza e il vuoto (di Jasper, di Klaus, degli abitanti di Smeerensburg) e arriva al pieno di una vita in cui spendersi per gli altri si dimostra essere l’unico senso possibile.
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