Dynit continua la pubblicazione delle opere di Hideshi Hino, uno dei maestri dell’horror giapponese assieme a Kazuo Umezz e Junji Itō. Dopo Hell Baby e Bug Boy, è ora la volta di Visione d’Inferno, che torna sugli scaffali delle librerie italiane in una nuova traduzione, dopo la prima pubblicazione da parte della defunta Telemaco nell’ormai lontano 1992.
Il manga è un classico dell’autore, in cui si racconta di un sinistro pittore schizzato che dipinge le sue opere con il sangue: ognuna di queste ha un significato ben preciso e rappresenta il degrado dell’uomo e di ciò che lo circonda (in primis la società giapponese, naturalmente).
Il volume – brossurato, 16,5×24 cm, 224 pagine in bianco e nero, 16,90 € – sarà presentato in anteprima a Lucca Comics & Games per poi venire in seguito distribuito in fumetteria e libreria, ma si può già ordinare online.
Per l’occasione presentiamo alcune pagine in anteprima e, a seguire, un estratto dall’intervista all’autore presente nel volume, arricchita con alcune domande realizzate apposta per Fumettologica e una serie di scatti nel suo studio, per concessione di Asuka Ozumi, curatrice della collana Showcase di Dynit.
Maestro, il mondo del manga, rispetto ai tempi di Hell Baby e Bug Boy, oggi è cambiato molto…
Sì, completamente. Come potrei definirlo? Nel complesso si è fatto più inorganico, anche nei disegni. Ai miei tempi i disegni avevano un calore quasi corporeo: è vero che sono cambiate le relazioni umane e la società, ma i disegni di oggi trasmettono una sensazione come di materia inorganica. Non coinvolgono.
Lei disegnava tutto a mano?
Disegnavo a mano, con matite e inchiostro, ma da un certo punto in poi ho iniziato a usare il computer.
Ci può spiegare in che modo?
Scansionavo i disegni, poi inserivo al computer i retini e il beta (la colorazione delle parti nere). Stampavo tutto e aggiungevo altre linee a mano. Retini e beta li facevo con il Mac, lavorando in modo che non si notasse l’uso del computer, fondamentalmente era fatto quasi tutto a mano. Questo era il mio metodo di lavoro.
Però è da molto che non disegna manga nuovi…
Almeno vent’anni.
Come mai?
Quando debuttai, avevo poco più di vent’anni e facevo trenta tavole al mese, pensando che fosse la quantità di produzione giusta, perché non avevo bisogno di farmi aiutare da nessuno e le tavole erano curate. Ma il mondo del manga non funziona così: bisogna assumere degli assistenti e produrre molte più tavole, se si vuole continuare a ricevere offerte di lavoro. Ad un certo punto, a causa sicuramente dei miei limiti, smisi di ricevere richieste dalle riviste e iniziai a lavorare a delle storie da far uscire direttamente in tankōbon (volumetto) e andò avanti così per una decina d’anni.
Realizzare direttamente volumetti autoconclusivi è molto divertente, è come fare film. Per esempio, Bug Boy o Hell Baby sono nati così. Ma lavorando in questa maniera l’unica fonte di guadagno erano le royalties sulle vendite e a livello economico era parecchio dura. Ho fatto quella vita per dieci anni, poi mi resi conto che non potevo andare avanti così e scrissi Visione d’inferno, dopo il quale ero intenzionato a smettere di disegnare manga.
Poi però c’è stato il boom delle riviste horror e all’improvviso mi sono trovato con molto lavoro. Dai quaranta ai cinquanta, più o meno per una decina d’anni, realizzavo tre o quattro storie autoconclusive al mese per le riviste. Potevo farne quante ne volevo: le possibilità di pubblicazione erano aumentate e disegnare mi veniva facile. Era come se quello che covavo dentro uscisse spontaneamente, era semplice come infilare un cavo telefonico in una presa.
A un certo punto però iniziai a nutrire dubbi su quel modus operandi e in parallelo le riviste horror passarono di moda. Avevo iniziato a usare il computer e mi interessavo alla produzione in digitale, organizzavo corsi e seminari… Avevo poco più di cinquant’anni, ma proprio in quel periodo fui contattato dalle università e iniziai a insegnare. Così, circa quindici anni fa, l’insegnamento divenne la mia occupazione principale.
Che cosa insegna di preciso?
Manga.
Quindi per un po’ ha accantonato l’attività di mangaka. Ora però ha in cantiere un libro illustrato, giusto?
Esatto. Sono più di vent’anni che voglio farlo ed è stata anche una delle ragioni che mi ha spinto a lasciare l’attività di mangaka. Andavo in libreria a guardare il settore dei libri per l’infanzia… ma a differenza del manga, il libro illustrato per bambini non ha un formato predefinito. Il manga ha un formato, è suddiviso in vignette, mentre nell’illustrazione c’è libertà totale, talmente tanta, che non riuscivo a decidere… e in quel periodo fui contattato dalle università e iniziai a essere impegnato con le lezioni.
Non avevo più tempo. Io vivo e lavoro a Tokyo, ma fino all’anno scorso insegnavo anche a Osaka dal lunedì al mercoledì, tornavo a casa il giovedì e insegnavo altri due giorni alla Nichigei (Nihon University College of Art) per cui arrivavo poi al weekend sfinito, altro che estro creativo!
Pensavo che tutto sommato insegnare ai giovani seduti di fronte a me fosse un’ottima attività per la vecchiaia, ma il desiderio del libro illustrato c’era ancora, solo che giaceva nell’oblio. Poi ho iniziato a usare Twitter. A furia di scrivere storielle con i miei pupazzetti da postare su Twitter, mi sono reso conto che quello era lo spirito giusto con cui scrivere il libro. Dovevo recuperare le immagini mentali della mia infanzia, quello che era alla base dei miei manga, già di suo vicino all’horror e al grottesco e aggiuncerci il lirismo, perché il lirismo da solo non basta.
La prima rivista shōnen per cui ho lavorato aveva come sottotitolo Shocking World, quindi mi sono trovato ad andare sempre di più in tale direzione… nell’arco nella mia attività di mangaka mi sono perso qualcosa lungo il tragitto e voglio recuperarlo con il libro illustrato.
(L’intervista è stata realizzata alla fine del 2018. Il libro illustrato Yōkai deru deru baa!! è uscito a giugno 2019, con le illustrazioni di Hideshi Hino e i testi di Hiroki Terai, edito da Saizusha)
Parliamo di Twitter.
Ho iniziato a giugno, ma all’inizio non sapevo bene come funzionasse. Avevo un telefono a conchiglia, di vecchia generazione. Girava voce che non sarebbero stati più utilizzabili e un mio ex studente, che abita qui in zona, si è offerto di accompagnarmi ad acquistare un telefono nuovo. Siamo andati allo shop della Docomo e ho comprato questo modello qui, dopodiché siamo usciti a bere e lui mi ha proposto di usare Line. Cos’era? Non lo sapevo e mi ha spiegato che tra i contatti di Line ci si può chiamare gratuitamente, così ho accettato.
E Twitter? Era quella cosa che usava pure Trump (ride)? Così aprimmo il mio profilo Twitter. Lo studente mi ha detto che la gente reagiva. Come si chiamano? Like? Insomma, quella roba lì. Io non capivo. Non sapevo neppure cosa fosse un follower. «Maestro, abbiamo già un sacco di follower» mi diceva, ma io non capivo di cosa stesse parlando.
Così ho iniziato a usare Twitter, in quel periodo c’era la messa in produzione di alcune figure ispirate ai miei personaggi da parte di un’azienda inglese, così le ho fotografate e le ho postate. Sono piaciute molto e ho cominciato a inventarmi delle storie, delle scenette con i pupazzetti, anche come forma di pubblicità e ci ho decisamente preso gusto. Ogni giorno penso a cosa far dire a un personaggio, cosa a un altro… e le idee arrivano. Come quando disegnavo manga. Un mio conoscente di una casa editrice poi mi ha proposto di fare un libro illustrato ed eccomi qui. Forse il merito è tutto di Twitter, che mi ha acceso la lampadina.
Maestro, ci indichi cinque titoli/autori che lei consiglia, per i lettori di Fumettologica:
Vagabond di Takehiko Inoue, L’Attacco dei Giganti di Hajime Isayama…
Lei legge L’attacco dei giganti?!
Mio figlio aveva i volumetti e li ho letti, anche se in questo momento non sto più seguendo la serie. De L’attacco dei giganti ho letto solo l’inizio, ma il concept è davvero interessante. Però leggo pochissimo i manga di oggi. Non riesco a immedesimarmi, a farmi coinvolgere. Chissà cos’è questa sensazione, come di materia inorganica… davvero non capisco.
Poi Shigeru Sugiura. E Yoshiharu Tsuge, che per me è stato decisivo. Sugiura lo leggevo da bambino, fa parte del mio DNA. Poi quando maturai la decisione di diventare mangaka lessi Tsuge e mi si aprì un mondo inaspettato. Fu molto d’impatto.
E poi un altro manga che ho letto in gioventù e che mi è rimasto molto impresso è Rocky Joe.
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