Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica è ospite Fabio Tonetto, animatore e fumettista nato ad Alessandria nel 1983. Diplomato al Centro Sperimentare di Cinematografia di Torino, ha lavorato a video musicali e pubblicità. I suoi lavori sono apparsi su antologie come Lök, Puck!, Delebile; ha creato il personaggio Rufolo, protagonista di diverse avventure, tra cui due volumi (Rufolo e Rufolo e il Grande Evento) per i tipi di Eris Edizioni.
Raccontaci un po’ questa tavola da L’inferno di Topolino. Come mai l’hai scelta?
In questo caso più che una tavola credo di aver scelto tutta la storia. Non è stato semplice decidere, perché tutte le tavole contengono elementi che indirettamente mi sono rimasti dentro.
Ma per dare una risposta precisa alla tua domanda ho scelto proprio questa, perché rileggendola l’ho trovata affine al mio modo di narrare e di strutturare la pagina nonché, forse, per l’ibridazione dei personaggi.
Perché proprio quest’opera e questo autore?
Pur essendo io consapevole che c’è stata, c’è e ci sarà una sterminata produzione di storie Disney, ho scelto questa perché da bambino mi irritava. La trovavo antiquata, con elementi che non ero abituato a vedere su altre storie.
Ad esempio nella pagina in cui Ezechiele lupo diventa uno scheletro; era una scena turpe che trovavo incoerente, che poco aderiva al mondo Disney, come i riferimenti alle squadre di calcio italiane scritte sulla lavagna o Cucciolo e Dumbo che parlano. Quest’irritazione mi spingeva a tornare a rileggerla o ad osservare le tavole. Ma allo stesso tempo la ricchezza degli elementi, quel mondo sinistro e ricco di personaggi che di rado si incontravano tutti insieme nella stessa situazione, hanno creato un equilibrio che presumo possa essermi stato utile nella realizzazione dei miei fumetti.
Dici che aveva elementi antiquati, a te che fumetto Disney piaceva?
Forse più che antiquata la trovavo in contrasto con un’immagine ideale del mondo Disney che avevo in testa. Per me questa visione non avrebbe dovuto includere riferimenti alla nostra società, come per l’appunto alle squadre di calcio o al panettone. In pratica preferivo una loro versione più coerente con il mondo anglosassone, che derivava generalmente dall’animazione, dai giocattoli e altro, ma che di fatto li rendeva più stereotipati. Probabile che allora preferissi più le cartoline che i fumetti.
Ti ricordi come e quando hai scoperto L’inferno di Topolino e i suoi autori?
L’ho letta per la prima volta sull’allegato di Topolino n. 2000. Di Guido Martina sapevo aveva creato Paperinik e questo era già sufficiente per volergli bene. Ma di Bioletto non riuscivo a trovare nessuna informazione, tranne che forse aveva disegnato solo quella storia, ma non ricordo chi me lo disse. Questa cosa mi aveva un po’ sconfortato anche se non poteva essere perché nella ristampa del numero 1 di Topolino che vendevano in edicola c’era Topolino e il cobra bianco, storia che sarei riuscito a rileggere interamente solo anni dopo e che infatti già allora mi sembrava disegnata da lui.
C’è una lezione che, da autore, hai imparato leggendo questo fumetto e che utilizzi nei tuoi lavori?
Penso di sì, come dicevo mi ha dato indirettamente una spinta a creare un mio mondo per cercare di riproporre quello che questa storia trasmetteva a me quando l’ho letta.
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