Nel contesto del mercato statunitense la coppia formata da Ed Brubaker e Sean Phillips rappresenta un’anomalia dotata di un moto del tutto slegato dall’universo in cui gravita. Dai tempi del loro esordio – Scena del crimine, 1999 – hanno continuato a reiterare una loro personale visione della narrazione declinandola in ogni forma e variante possibile.
Leggere un loro fumetto significa calarsi in un’atmosfera fatta di cinismo, crimine, fatalismo e una mancanza cronica di speranza nell’umanità. Stiamo parlando dei principali ingredienti del noir classico, quello che spopolava nella Hollywood degli anni Quaranta. Dove se qualcosa poteva andare male, andava malissimo.
Il duo di autori ha riletto il genere una miriade di volte, integrandolo con altri generi (supereroi, horror, spionaggio) e formati (serie antologica, miniserie, serie ongoing). Prima o poi era scontato che sarebbe arrivato anche il graphic novel, il formato più in linea con i tempi che corrono, sopratutto per quanto riguarda le vendite librarie. Così ecco arrivare per Image I miei eroi sono sempre stati tossici, tradotto in italiano da Panini Comics e premiato come Best Original Graphic Novel ai recenti Eisner Award, gli Oscar del fumetto statunitense.
Il libro si inserisce in maniera del tutto organica nell’universo della serie Criminal messo in piedi dai due autori dal 2006 a oggi, differenziandosi dai capitoli precedenti solo per un paio di motivi: c’è meno voglia di adagiarsi sugli archetipi del crime e contiene molto della vita di Ed Brubaker. Figlio di una tossicodipendente, lo scrittore ha passato buona parte della sua infanzia accompagnando la madre agli incontri di gruppo AA, finendo per romanzare le varie dipendenze di cui ascoltava le testimonianze.
In seconda battuta, la giovane età di Ellie, la protagonista, dà un tono del tutto nuovo alla vicenda, rispetto a quanto facevano i maturi e coriacei personaggi da romanzo pulp a cui eravamo abituati nelle storie precedenti.
Questi due aspetti, uniti al formato del volume autoconclusivo, rendono I miei eroi sono sempre stati tossici qualcosa di diverso – molto più intimo e sentito – rispetto a quanto scritto fino a ora da Ed Brubaker. Per una volta l’elemento noir/thriller/poliziesco non costituisce l’ossatura principale della narrazione, ma viene inserito solo nel capitolo finale.
Si tratta di una conclusione a effetto, molto riuscita e crudele con il lettore, ma che ha comunque il retrogusto dell’aggiunta quasi obbligatoria. Come se consegnare una sceneggiatura esclusivamente concentrata sui moti autodistruttivi di una giovane donna impegnata in un percorso di recupero fosse troppo ombelicale per due autori noti per il loro amore per il genere puro.
Eppure i comportamenti di Ellie sono troppo realistici e convincenti per essere tratti in qualche racconto hard-boiled. Oltre alle dure esperienze d’infanzia, è evidente come nello scrivere questo personaggio Ed Brubaker abbia inserito altri spezzoni del proprio vissuto. Basta aver passato abbastanza tempo in strada durante l’adolescenza per aver conosciuto almeno due o tre Ellie. Probabilmente anche Brubaker c’è passato, riuscendo a raccontare tutte le Ellie del mondo in un pugno di pagine di una lucidità e universalità lancinanti.
Sean Phillips capisce l’andamento intimo della scrittura e quasi dimentica del tutto i tagli di luce netti, le ombre spigolose e quanto potrebbe rendere troppo ruvida la narrazione. Predilige campi stretti, concentrandosi quasi sempre sul volto dei protagonisti, e limitandosi ad aprire l’inquadratura solo in rarissimi casi. Una passeggiata lungo una spiaggia o una notte passata a guardare le stelle. Momenti di pura evasione anche per i protagonisti. La presenza del disegnatore è discreta, scegliendo di celarsi dietro una regia invisibile e di grande eleganza. Perfetta per il tipo di storia che doveva essere raccontata.
A donare personalità e carisma alle tavole ci pensano i colori di Jacob Phillips. Al di là degli scontati cambi di paletta cromatica per scandire i vari flashback, le sue scelte ricadono sempre su toni freddi e distaccati. Non riesco a immaginarmi un modo migliore per descrivere il mondo visto da chi ha passato troppo tempo tra ospedali e cliniche di recupero. I colori chiari, le luci al neon, i camici degli inservienti. Anche in questo caso la sensibilità verso i personaggi è davvero palpabile, come se ci fossero loro davanti a tutto.
I miei eroi sono sempre stati tossici non è il solito giochino di due autori innamorati di Ellroy, Manchette e Wambaugh, ma un viaggio crudo e sentito all’interno di meccaniche umane con cui, in un modo o nell’altro, siamo venuti tutti a contatto. Il fatto che un fumetto uscito negli Stati Uniti mi pare stia raccontando di ragazze che io stesso ho conosciuto durante la mia adolescenza, vissuta a circa diecimila chilometri da dove sono state scritte queste pagine, ne fa capire la potenza e l’universalità.
Il grande scrittore Kazuo Ishiguro una volta disse: «Grandi e splendide industrie si ergono intorno alle storie: editoria, cinema, televisione, teatro. Ma alla fine tutto si risolve in una persona che dice a un’altra: Questo è ciò che sento io. Riesci a capire quello che dico? È lo stesso anche per te?». Per una volta Brubaker e Phillips hanno evitato di farci l’elenco dei film e dei romanzi preferiti, parlandoci piuttosto della loro vita. Il risultato è uno dei lavori più anomali e migliori della loro carriera.
I miei eroi sono sempre stati tossici
di Ed Brubaker e Sean Phillips
traduzione di Andrea Toscani
Panini Comics, settembre 2019
cartonato, 72 pp., colore
13,00 €
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