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Amori adolescenziali, menzogne e bocce per pesci. “Spider-Man: Far From Home”, la recensione

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Se siete alla ricerca di una recensione senza spoiler, questo articolo non fa per voi. O forse sì, perché in realtà – anche se non avete mai letto un fumetto di Spider-Man – è sufficiente leggere su Wikipedia le prime righe della descrizione di Quentin Beck / Mysterio, la new entry del Marvel Cinematic Universe interpretata da Jake Gyllenhaal, per spoilerarsi uno dei colpi di scena principali del nuovo film di Spider-Man e scoprire che il personaggio è in realtà un supercriminale, a differenza di quanto sembra nei trailer.

Mysterio esordì nei fumetti su Amazing Spider-Man #13 del 1964, creato da Stan Lee e Steve Ditko. Compare e sembra un eroe, e come tale viene accolto e osannato dalla cittadinanza. Alla fine però si scopre che è solo un criminale in cerca di gloria, privo di superpoteri ma capace di creare fantascientifici effetti speciali. Ecco, questa in sintesi è anche la trama anche del nuovo film Spider-Man: Far From Home, nei cinema italiani da mercoledì 10 luglio 2019.

Tra amore e azione
Spider-Man: Far From Home inizia dove era finito Avengers: Endgame. Lo schiocco di dita di Tony Stark ha riportato in vita tutte le persone eliminate da Thanos, che sono ricomparse all’improvviso nel punto in cui erano diventate polvere. In tutto il mondo ci sono associazioni e gruppi di autoaiuto per chi è stato “blippato” e si è ritrovato in un mondo invecchiato di cinque anni.

Ovviamente Peter Parker, il suo amico Ned, zia May e tutti i comprimari di Spider-Man: Homecoming erano stati polverizzati dal titano, così che adesso possano avere tutti la stessa età e portare avanti le dinamiche da commedia adolescenziale che avevano caratterizzato il primo film.

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Il leitmotiv della pellicola è la cotta di Peter (il solito Tom Holland) per la sua compagna di classe MJ, ovvero Michelle Jones (Zendaya). Il nostro superadolescente vuole approfittare della gita scolastica in Europa per dichiararle romanticamente il suo amore in cima alla Torre Eiffel. Nick Fury (Samuel L. Jackson) lo sta cercando ma lui lo ignora, perché ha decisamente bisogno di una vacanza. Peter però non riesce a stare lontano dai guai e viene coinvolto suo malgrado nei piani dell’ex capo dello S.H.I.E.L.D.

La minaccia per cui Fury ha bisogno di aiuto, non essendoci altri Avenger disponibili, è la comparsa improvvisa sulla Terra degli Elementali, creature di acqua, terra, fuoco e aria che vogliono distruggere il pianeta come hanno già fatto con il mondo da cui proviene Quentin Beck, che apparentemente li ha seguiti attraverso le dimensioni per combatterli. Quest’ultimo mette in scena un teatrino di botte e distruzione a Venezia e Praga per fare la figura dell’eroe, ma il suo obiettivo è ottenere una particolare tecnologia che Tony Stark ha lasciato in eredità a Peter Parker.

Se la trama non è particolarmente originale, merita invece la messa in scena, che alle atmosfere e alle battute da commedia per pre-adolescenti di Disney Channel alterna scene d’azione ad alto budget. Holland e Zendaya sono teneri e imbarazzati e riescono a reggere perfettamente la loro parte, che risulta molto fresca nonostante l’inevitabile senso di “già visto”.

Peggio i personaggi di contorno, ingabbiati nei loro stereotipi (il bullo, il nerd, l’adulto pasticcione con la vita tristissima che cerca conforto nei ragazzi) o in gag ricorrenti che alla terza volta annoiano di già.

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Le scene d’azione, al contrario, sono spettacolari. Spider-Man si muove e combatte in modo naturale, saltando di qua e di là proprio come ci si aspetterebbe dal personaggio. Si vede che il regista Jon Watts e i tecnici degli effetti speciali si sono divertiti da matti.

Ancora più esaltante è la scena in cui l’Arrampicamuri viene ingannato da Mysterio e catapultato in un vortice da incubo di illusioni. È un caleidoscopio di immagini oniriche in cui l’Uomo Ragno si perde, viene pestato e affronta le sue paure, per quella che si rivela una delle migliori sequenze di tutto l’universo cinematografico Marvel dal punto di vista della messa in scena.

Da grandi poteri…
I lettori più fedeli di Fumettologica ricorderanno che nella recensione di Spider-Man: Homecoming lamentavo la mancanza del senso di responsabilità di Peter, che sembrava fare il supereroe solo perché “fa figo”. Nel nuovo film la soluzione non si è evoluta più di tanto. L’Uomo Ragno è sempre un ragazzino con maturità e pulsioni da ragazzino.

Poco importa che il suo maestro di vita si sia sacrificato per salvare tutti. Poco importa che abbia conosciuto Capitan America e la sua moralità. Peter non vuole abbandonare la gita – nella sua testa l’unica possibilità di baciare MJ – per combattere i mostri che stanno per distruggere il mondo.

Ecco, Spider-Man dovrebbe forse essere un po’ più di questo, almeno se ci basiamo su quanto letto in sessant’anni di fumetti o quando visto nelle pellicole di Sam Raimi, che in questo aspetto erano più fedeli allo spirito del personaggio. Manca lo spirito di sacrificio, quasi masochista, che lo dovrebbe portare a tralasciare la vita privata per fare la cosa giusta.

Quella di Spider-Man: Far From Home è una visione diversa del personaggio, interessante e in linea con il tono scanzonato dei film, più solare e meno problematica, più adatta all’appiattimento generale dei caratteri e alla semplificazione tipici del Marvel Cinematic Universe, che, volendo parlare a tutti, parla in modo elementare.

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C’è però un grosso cambiamento rispetto a cosa succedeva al personaggio nel primo film (e qui vi beccate un vero super spoiler, occhio. Se volete evitarlo, saltate al paragrafo successivo, dopo il titolo in grassetto).

Per autocitarmi, «le prime storie di Stan Lee e Steve Ditko, a cui il film vorrebbe rifarsi, non sono mai delle commedie pure ma portano sempre con sé delle ombre. […] La vittoria di Spider-Man sul cattivo di turno non è mai completa. L’ostilità dei media (JJJ ci manchi!) e di zia May e le difficoltà nella vita privata la offuscano quasi ogni volta.»

Spider-Man: Homecoming non finisce bene. Sì, Mysterio viene sconfitto, Peter recupera E.D.I.T.H. e si mette con MJ. Ma la prima scena dopo i titoli di coda stravolge tutto. Spider-Man volteggia tra i palazzi con la sua nuova ragazza, atterrano davanti a un maxischermo e vengono attirati dalla trasmissione.

Sul monitor compare J. Jonah Jamenson, interpretato dallo stesso, perfetto J.K. Simmons che aveva la parte nelle pellicole di Raimi (primo caso di personaggio interpretato dallo stesso attore in due franchise diversi). Jameson accusa pubblicamente Spider-Man di essere un pericolo pubblico e di aver ucciso il povero eroe Mysterio. Le prove: un video girato da Beck stesso, colpo di coda finale prima di morire, in cui un montaggio ad arte fa apparire il supereroe come un assassino. Ciliegina sulla torta: il criminale guarda in camera e rivela chi c’è sotto la maschera di Spider-Man.

È un finale che ribalta tutto. La vittoria si trasforma in sconfitta e la vita privata di Peter e dei suoi amici rischia di essere distrutta per colpa della sua identità segreta. Sono convinto che Lee e Ditko sarebbero stati contenti di questo plot twist.

Effetti speciali al quadrato
Tra le cose migliori del film c’è in ogni caso il personaggio di Mysterio. Jake Gyllenhaal è ben calato nella parte, sia quando si finge un supereroe travagliato dal dolore della perdita della famiglia, sia quando parla paternamente a Peter cercando di convincerlo a fare la cosa giusta, sia ancora quando si rivela il doppiogiochista che è davvero. È subdolo e dittatoriale al tempo stesso, soprattutto quando dà ordini alla sua squadra.

Sì, perché Quentin Beck non lavora da solo, e questo è uno degli aspetti che rendono interessante l’antagonista. Per la prima volta nel MCU non siamo davanti a un esercito di sgherri come i soldati dell’Hydra o a un solo nemico fortissimo. Mysterio è un avversario collettivo, una band di cui Beck è il frontman. Per mettere nel sacco Nick Fury e Spider-Man si appoggia a una squadra di persone che, come lui, ritengono di avere diritto loro all’eredità di Tony Stark invece del moccioso a cui è stata assegnata.

Jake Gyllenhaal Mysterio

Gli sceneggiatori hanno fatto un minuzioso lavoro di collage, recuperando personaggi intravisti nei film precedenti – qualcuno si ricorda di Peter Billingsley in Iron Man? – o dietro le quinte non raccontati delle Stark Industries – Beck stesso, si scopre, è il creatore del sistema di ologrammi R.I.M.B.A. che compare in Civil War – e cucendoli insieme in un piano collettivo di vendetta contro l’ex capo che li ha snobbati, maltrattati, licenziati.

C’è persino un momento metacinematografico, in cui Beck e i suoi provano la coreografia per lo scontro finale di Londra. Sembra che, con quella scena, lo staff volesse rappresentare la fatica di creare un film così spettacolare: prove, prove, prove, rimaneggiamenti anche minimi dei movimenti dei personaggi in CGI, screzi tra il regista e la sua troupe a causa dello stress di far funzionare tutto alla perfezione.

Non viene invece mai posta l’attenzione su cosa si possa fare con la tecnologia per manipolare la percezione della gente, nonostante sulla carta sia uno dei temi più interessanti messi sul piatto. Ci si limita a un lapidario «La gente ha bisogno di credere e di questi tempi crede a tutto», pronunciato da un Mysterio morente.

In compenso i fan dei fumetti saranno contenti del design del supercriminale, che presenta un pesante mantello porpora e soprattutto una boccia per pesci piena di fumo sulla testa. Uno dei costumi più pacchiani che Steve Ditko abbia mai inventato, che i character designer e i costumisti di questo film sono riusciti a fare funzionare su schermo.

mysterio fumetti

La stessa sfida aveva spaventato in passato i team di Spider-Man 2 e 3, che avevano rinunciato a vestire con una tutina il Dottor Octopus e Harry Osborne nonostante il mezzo fallimento con il Goblin della prima pellicola. Anche nei poco riusciti The Amazing Spider-Man i vari supercriminali non indossavano i costumi tradizionali, ma versione reinventate in modo più realistico (e quasi sempre fallimentare).

Uno dei meriti dei Marvel Studios a partire dal 2008 in poi, invece, è stato mostrare che non è necessario rinnegare l’origine fumettistica dei design per creare personaggi riusciti da un punto di vista estetico. Ci sono riusciti con Capitan America, ci sono riusciti con Ant-Man, ci sono riusciti con il Doctor Strange.

Allo stesso modo, il Quentin Beck della Columbia Pictures è esattamente il supercriminale dei fumetti, riproducendo lo stesso effetto di straniante fascinazione che 55 anni fa – in un mondo più ingenuo – i disegni di Ditko ebbero sui lettori di Amazing Spider-Man #13.

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