C’erano guerre ovunque. Su Bettino Craxi piovevano le monetine dei manifestanti, il Milan di Fabio Capello vinceva il suo tredicesimo titolo e Non è la Rai era al centro di critiche e dibattiti sulla liceità dei suoi contenuti. Nel frattempo, chiuso nella sua bolla, Topolino lasciava il segno nella storia del fumetto italiano.
La prima pagina del Corriere della sera datata 22 luglio 1993 fotografò due rette che, pur avendo spesso incrociato i loro percorsi, ora viaggiavano parallele. Il subbuglio a tutta pagina di un paese che stava chiudendo una fase (la Prima Repubblica) e, in un angolino, la frenesia di un mondo che non avrebbe più vissuto momenti così felici.
In quell’estate il settimanale Disney fece registrare più un milione di copie vendute per singolo albo. Nessun fumetto in Italia aveva mai toccato quella vetta e nessuno lo avrebbe più fatto. A raggiungere il picco fu una sequenza di numeri estivi tra luglio e agosto, complice la presenza del Topowalkie, un walkie-talkie da costruire allegato al giornale.
Storia di un successo
Diretta da Gaudenzio Capelli, la testata era da pochi anni passata di proprietà, con la divisione italiana della Walt Disney Company che l’aveva rilevata da Mondadori. Anche se oggetti e allegati di varia natura non erano nuovi ai lettori di Topolino, la stagione dei gadget era entrata a pieno regime nel 1989, con l’orologio ecologico in Mater-Bi, bioplastica ricavata dall’amido di mais, che aveva garantito 750.000 copie di venduto a numero. Da lì, ogni estate aveva visto un oggetto componibile e ogni anno le vendite erano aumentate: nel 1990 la macchina fotografica aveva garantito 770.000 copie vendute, l’anno successivo erano stati venduti 780.000 Topolino associati al Topobinocolo e nel 1992 lo zainetto Topojolly aveva fatto ancora meglio, con 800.000 esemplari smerciati.
Per il 1993 fu scelto di realizzare il Topowalkie, una ricetrasmittente componibile attiva fino a cinquanta metri, composta, in tutta la sua tiratura, da 32 milioni di componenti elettronici e 400 chilometri di filo elettrico. Era un giocattolo più complesso e costoso, il cui budget superò il prezzo di copertina: ogni copia sarebbe andata in perdita di venti o trenta lire.
«Si lavorava in perdita, per scelta – giusta – della Disney. Mondadori questo non l’avrebbe mai permesso» spiega a Fumettologica Massimo Marconi, caposervizio alle sceneggiature del settimanale. «Serviva per far conoscere il nome, per attirare e affezionare il pubblico. Su cento persone che comprarono per la prima volta solo per il gadget magari venti rimasero.»
Mentre Mondadori, con i proventi di Topolino, doveva sostenere il resto delle pubblicazioni, Disney si poteva permettere il lusso di concentrare le forze. «I guadagni erano tutti investiti su di noi. Non è che Topolino guadagnava dieci e poi otto li doveva passare all’azienda. Guadagnava dieci, cinque li dava alla Disney americana e cinque li rinvestiva. Era bello, potevi fare un Topolino sottocosto.»
Il Topowalkie non era solo dispendioso ma anche potenzialmente più pericolo dei precedenti, per via degli elementi elettronici. Il rischio di farsi una nomea per via di qualche incidente era sempre dietro l’angolo. «Venivano fuori problemi non da poco con i gadget» ricorda Marconi. Su Topolino n. 1500, per esempio, era stata allegata una placca di metallo ritraente la copertina. L’oggetto era arrivato in redazione acuminato come un rasoio, un potenziale pericolo per la distribuzione ma soprattutto per le mani dei lettori; si erano dovuti inventare una cornice di plastica che proteggesse i bordi. «O arrivavano prodotti che non erano in regola o non erano quelli che erano stati richiesti.»
Per pubblicizzare l’iniziativa, a partire da giugno uscì Topolino e il collegamento multidimensionale, una storia a puntate che aveva come protagonista il gadget. L’autore era lo stesso Marconi, che si era spesso assunto l’onere di scrivere storie di supporto o con intenti pedagogici, come Topolino e la spada invincibile, commissionata dalla F.I.S. (Federazione Italiana Scherma), Paperino & Gastone amici per lo sport, storia pubblicitaria per i biscotti Ringo, o le avventure che avevano accompagnato i gadget degli anni precedenti, Zio Paperone e la spazioplastica e Paperino, Paperoga & Gastone in “L’unione fa la… foto”.
«Quelli del marketing erano bravissimi a trovare questi oggetti che erano il mio tormento perché non li vedevo prima e la storia andava preparata con molto anticipo. Vedevo solo gli abbozzi, dovevo cercare di spiegarli al disegnatore e poi all’ultimo minuto arrivava l’oggetto, costringendoci a modifiche dell’ultimo secondo. Sembra siano passati secoli, eravamo un po’ più ingenui.» I disegni di Topolino e il collegamento ultradimensionale non furono esenti da queste dinamiche e le tavole furono ritoccate all’ultimo momento per accomodare i cambiamenti del walkie-talkie rispetto al prototipo.
Disegnata da Giorgio Cavazzano, Topolino e il collegamento multidimensionale fu serializzata in brevi episodi tra i numeri 1961 e 1967 (27 giugno – 8 agosto) e vedeva Topolino incaricato dal produttore John New di controllare i piani di sicurezza dei suoi studi cinematografici nei quali era stato scoperto un raggio distruttivo che faceva scomparire gli oggetti ma era innocuo per gli esseri viventi. Insieme a Pippo, il topo finiva nella dimensione parallela Arret, dove i due venivano fatti prigionieri dai Vassalli Traditori della Sedizione Nera. L’unico aggancio che avevano con la loro realtà era un walkie-talkie con cui si tenevano in contatto con Tip e Tap.
Marconi utilizzò il gadget come un oggetto funzionale alla trama. Il Topowalkie non era la chiave per sbloccare ogni situazione ma si limitava a svolgere il proprio ruolo con compostezza narrativa. Con un po’ di metalinguaggio, gli autori mostrano come il walkie-talkie provenga dalla rivista preferita di Tip e Tap. La mossa avvicinava la storia alla realtà e faceva sentire i lettori parte della narrazione, dando valore al gadget che stavano assemblando, a tutti gli effetti un pezzo della storia che passava dalle pagine alla realtà.
Dove magari la promozione del Topowalkie si lasciò andare a qualche sbavatura era nella sottolineatura continua della voce narrante, che in chiusura di ogni episodio esortava i lettori all’acquisto del numero successivo: «Come al solito», si leggeva alla fine del sesto capitolo, «tutti in edicola a prenotare la vostra copia di Topolino! Ma due è sempre meglio!».
Lo strillo doveva aver funzionato, comunque, perché di Topolino n. 1963 – l’albo uscito il 18 luglio 1993 che conteneva il secondo pezzo del Topowalkie – furono vendute 1.067.445 copie, su una tiratura di 1.087.520 (con un reso del 2,1%). Il dato fu talmente positivo che la Disney festeggiò il risultato con una pagina pubblicitaria apparsa su alcuni quotidiani.
«Prevediamo che queste radioline saranno veicolo di contatti spontanei tra almeno un milione di ragazzi al di sotto dei 14 anni: un modo di farsi nuovi amici» disse la redazione del giornale al Corriere della Sera, che il 23 luglio 1993 dedicò un taglio basso intitolato “Topolino con la radio vola oltre il milione di copie”.
Più in alto di tutti
Come si ottenne questo risultato non è facile da spiegare. Il marchio Disney, e tutto ciò a esso associato, stava conoscendo una seconda giovinezza. Il periodo noto come “Rinascimento Disney” era nel suo momento più caldo e anche il nostro paese stava avvertendo questa frenesia, che investiva il mondo dell’animazione tutto.
Chi ha incastrato Roger Rabbit e La bella e la bestia erano stati i film più visti in Italia nelle loro rispettive stagioni d’uscita, La sirenetta si era posizionato dietro a Balla coi lupi e Pretty Woman e c’era attesa per l’arrivo di Aladdin, che in America aveva sbaragliato la concorrenza.
Potrà non sembrare un fattore rilevante ma, come spiega Marconi, «ci scriveva la gente per protestare che quel certo film era troppo violento ed era un film della Warner Bros. Eravamo un riferimento e Topolino-Disney-cartoni animati erano un tutt’uno». I più piccoli non avevano l’infinita disponibilità di consumo che c’è oggi e se volevano un’altra porzione di intrattenimento Disney si dovevano rivolgere a Topolino.
Inoltre, in quegli anni, Topolino era sui giornali per i motivi più disparati, come raccontato anche dallo stesso Marconi in un’intervista al Papersera: «Il Corriere della Sera aveva fatto due pagine quando uscì l’edizione latina di alcune storie Disney; se c’era una storia particolare dove facevi la versione Disney di un qualche personaggio televisivo, era probabile che la storia venisse citata da qualche giornale». La Stampa coinvolse perfino Disney in un inserto speciale su Palla di Neve, il beluga scappato da un delfinario militare sovietico nel 1993, commissionando alla redazione un fumetto inedito.
Alcune storie catalizzarono l’attenzione generale per essersi spinte oltre i limiti del consentito, come Topolino in: Ciao Minnotchka, criticata per il suo taglio politico, o Topolino in “Ho sposato una strega”, un episodio in cui Topolino si innamorava di un’altra donna, finendo per sposarla, che catturò l’attenzione di Cuore, Il Secolo XIX e Repubblica. Sembrava che quel settimanale realizzato da un manipolo di persone, con i colori un po’ troppo sparati e la grafica demodé, fosse davvero rilevante. Lo conoscevano tutti, dai bambini agli adulti.
Infine, il periodo estivo, vacanziero, privo di compiti o pomeriggi di allenamento, favoriva le vendite di Topolino. Allegando il gadget, ancora di più. Un gadget che, per giunta, doveva essere acquistato da due persone per poter funzionare. Il bacino totale di cinque milioni e mezzo di lettori in estate saliva oltre i dieci, secondo quanto riportato dal Corriere.
L’era dei gadget continuò a lungo, cambiando formule e modi, ingigantendosi a volte a produzioni faraoniche. Furono abbandonate le storie promozionali, un errore secondo Marconi perché «oltre a essere una scusa per una storia, creavi aspettativa attorno all’oggetto», e si spinse su oggetti sponsorizzati. Il concetto del walkie-talkie fu ripreso qualche anno dopo, nel 1999, con il Topotalkie, una ricetrasmittente ovale creata in sinergia con Omnitel.
Non sì riuscì però a replicare il successo del Topowalkie. Emanuela Peja, senior marketing manager della rivista per molti anni, ipotizza che quella del 1999 fu «un’operazione troppo commerciale e molto sbilanciata sullo sponsor e molto poco ‘Disney style”. Forse è stato proprio questo a far sì che non si replicasse il successo precedentemente raggiunto».
Erano alchimie impossibili da replicare ad appena qualche anno di distanza. Nel periodo successivo all’estate dei record, Capelli si ritirò dalla carica di direttore, la produzione di riviste e fumetti aumentò, così come la possibilità di consumare prodotti Disney, tra cinema, tv e videogiochi. E Topolino non ebbe più la forza di catalizzare l’attenzione del pubblico. «Sull’albero di Natale una volta si attaccavano i mandarini», afferma Marconi, «per segnalare che quelli erano frutti speciali, emblematici di una stagione, un evento. Topolino sapeva creare questi mandarini».
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