Demon, la serie di Jason Shiga in quattro volumi tradotta in Italia da Coconino Press, è un lavoro doppiamente ambizioso. Da un lato si presenta, in linea con altre opere dell’autore, come una riflessione nichilista sul senso o, meglio, sull’insensatezza della vita, dall’altra vuole proporsi come prodotto di intrattenimento capace di competere con la serialità televisiva contemporanea.
Shiga è un autore, purtroppo, quasi completamente sconosciuto nel nostro paese, anche a causa della natura peculiare, e di difficile riproducibilità, di alcune sue opere. Prima di parlare di Demon, vale quindi la pena spendere qualche parola sul suo percorso.
Il fumetto è un medium interessante, in quanto combina molti mezzi e discipline diverse. I più evidenti nel diagramma genealogico sarebbero gli apparentemente differenti media dell’illustrazione e della letteratura. Ma, se ci pensate, praticamente tutto, dalla recitazione all’architettura, può essere incorporato nel fumetto. Il mio campo di studio all’università era la matematica, quindi è stato per me naturale combinare matematica e fumetti. A volte le persone mi chiedono cosa devono studiare per imparare a fare fumetti e la mia risposta è sempre quella di imparare tutto il possibile su tutto. Conoscere la storia e la lingua e la pittura e la scienza e l’economia e la sociologia. Tutto aiuta a essere un fumettista migliore
[Da una intervista rilasciata da Shiga al LA Weekly, nel 2010]
Una parte della critica contemporanea si sta focalizzando fra le parentele fra fumetto e diagramma. In alcuni lavori questa filiazione, che passa attraverso narrazioni non lineari e non sequenziali, multineari, sequenziali e plurivettoriali, è evidente anche a colpo d’occhio. Si pensi ai fumetti di Chris Ware o Kevin Huizenga, ma anche al più popolare esempio della testata Occhio di Falco sotto la direzione creativa di Matt Fraction e David Aja. Nel caso specifico di Chris Ware, la struttura di alcune sue pagine è stata paragonata a quella di un frattale. Questi tipi di paragoni fra matematica, geometria e fumetto sono sempre più frequenti e convincenti.
La formazione da matematico di Shiga non è certo quindi ininfluente sull’impostazione delle sue opere, come ammette lui stesso. Meanwhile, ad esempio, esasperando l’idea alla base dei cosiddetti libri-game e degli esperimenti avanguardisti dell’OuLiPo (per quanto riguarda la letteratura), delle avventure testuali e delle conseguenti graphic adventure (in ambito videoludico) e delle storie a bivi di disneyana (e italiana) memoria, realizza, in 80 pagine, la possibilità di «costruire» 3.856 combinazioni di storie diverse.
Un libro dalla trama piuttosto semplice e che si basa su molti noti topoi della letteratura fantascientifica (ad esempio la macchina del tempo), ma che si presenta attraverso una complessa struttura a puzzle che ha richiesto all’autore mesi di programmazione. In alcuni snodi del racconto a bivi di Meanwhile, Shiga flirta anche con la meccanica quantistica, come quando il Professor K, uno dei protagonisti del libro, lancia in aria una moneta per illustrare come per un momento due universi convivano, per poi dividersi nel momento in cui l’atterraggio su una o sull’altra faccia dell’oggetto faccia collassare le diverse possibilità in una.
Considerandone il percorso accademico la critica si è spesso concentrata, spesso senza grande capacità di approfondimento, sul background da matematico di Shiga, elevandolo quasi ad esclusiva chiave del suo corpus. Punto di vista in parte legittimo se si guarda ad alcuni degli altri suoi volumi, in particolare Meanwhile ma anche Hello World e altri esperimenti “interattivi” autoprodotti, basati su varie e ingegnose soluzioni cartotecniche come Jimmy’s Lamp (a forma di fisarmonica) o Theatre Eroika (cinque dischi sovrapposti che ruotano insieme).
Prodotti realizzati in poche copie o addirittura in una soltanto, come nel caso dell’ultimo esempio citato. Quindi, per goderne, con l’esclusione di pochi fortunati, bisogna accontentarsi delle testimonianze rimaste sul web o su questo video (un tutorial in cui Shiga spiega come realizzare da soli il proprio fumetto interattivo sul modello di Jimmy’s Lamp) e altri video reperibili anche sul sito web dell’autore.
Eppure, tolti quei titoli in cui si può ritrovare un’impronta “matematica” più esplicita, sia che si tratti di calcolatrici di carta, sia della creazione di fumetti basati sul modello dell’esaflexagono, Shiga ha prodotto anche opere più “tradizionali”.
Certo, il background dell’autore fa capolino anche negli altri suoi progetti, come Fleep (interamente disponibile online), in cui il protagonista si risveglia all’interno di una cabina telefonica senza alcuna memoria dei fatti precedenti. In altri suoi lavori invece, è presente solo l’aspetto geek della faccenda, come nei riusciti Bookhunter (potete leggerlo qui) e Empire State. Demon appartiene decisamente a quest’ultima categoria.
Lontano dunque dalle invenzioni cartotecniche di Jimmy’s Lamp e di Meanwhile, Demon sembra avere ambizioni narrative diverse e forse più alte, sperimentando più dentro la pagina che (materialmente) con e attorno ad essa.
Demon è stato inizialmente serializzato come webcomic finanziato attraverso la piattaforma Patreon e poi raccolto in una serie di volumi da First Second. È difficile raccontare questo fumetto senza rovinarne la lettura, tanto la sua idea centrale ruota intorno all’iniziale colpo di scena, che servirà da ossatura per tutto lo sviluppo narrativo successivo.
Si guardino però le due tavole che aprono il volume e che ne costituiscono il prologo:
Queste sono organizzate secondo una classica struttura a nove vignette, che Shiga usa in pratica solo per questa intro, passando poi ad un utilizzo più libero della gabbia, a volte molto efficace, altre confusionario, specie nelle sequenze maggiormente concitate.
Seduto ad una scrivania troviamo Jimmy Yee, il personaggio factotum di Shiga, comparso in altri suoi lavori. Sta scrivendo qualcosa, su cui riflette a lungo. Nell’ultima vignetta sembra spiccare il volo. La leggiadria di questo “salto” viene però immediatamente contraddetta nella pagina successiva, in cui ci rendiamo conto che invece Jimmy si è impiccato.
Il suo corpo in decomposizione viene poco a poco circondato dalle mosche. Shiga ricorre frequentemente a questo tipo di stratagemmi visivi. All’inizio del primo capitolo Jimmy si risveglia in una stanza di albergo. Il taccuino sulla scrivania ci suggerisce che si tratta della stessa ambientazione delle tavole precedenti. Una serie di indizi, però, da cogliere attraverso quella lettura a ritroso necessaria in diversi lavori dell’autore, ci potrebbe svelare che così non è.
Il tentativo di suicidio di Jimmy, comunque sia, non è andato a buon fine. Il caparbio protagonista, rifiutando la seconda occasione offertagli da non si sa quale entità, proverà quindi – in sequenza – a tagliarsi le vene, a spararsi in testa, ad avvelenarsi e a gettarsi sotto un camion, sempre con lo stesso, per lui deludente risultato. Resuscitato ancora, ma questa volta risvegliatosi all’interno di una stazione di polizia, Jimmy deduce, grazie al pensiero logico che gli permetterà di uscire successivamente dalle situazioni più difficili, le vere ragioni dietro alla sua insolita condizione. Una condizione che lo porterà, senza qui svelarne i motivi, a vivere una vita da immortale.
Lo svisceramento delle conseguenze etiche dell’immortalità è un topos classico della fantascienza e del fantastico (ma non solo). Al di là di pochi romanzi e racconti utopici, dal mito dell’ebreo errante a Hawthorne fino ai più recenti esempi (Highlander o Intervista col vampiro), la conquista della vita eterna viene vissuta, da chi ne beneficia, come una condanna. Una vita troppo lunga o, addirittura, senza fine, senza tregua, verrebbe da dire, secondo le speculazioni letterarie e filosofiche incentrate su questo tema, porterebbe all’attraversamento di tre fasi esperienziali: un titanismo entusiasta; l’abbandono di qualsiasi etica e il conseguente disprezzo della vita altrui, dovuto anche al perire degli affetti che non sopravvivono a chi invece è eterno; infine, una stanchezza nichilista a causa della quale, provata ogni esperienza, ogni sapore e ogni perversione, tutto assume lo stesso, indifferente, gusto.
Il fumetto di Shiga segue esattamente questo percorso, sperimentato in prima persona da Jimmy, con la variabile che l’immortalità viene immediatamente percepita come un dono non voluto. Il protagonista non scopre, quindi, che la vita è un insensato viaggio verso un nulla, una non mantenuta promessa di un qualsiasi aldilà, ma trova semplicemente confermate dall’esperienza i propri sospetti. E qui, come in alcuni altri suoi lavori meno improntati su meccanismi narrativi esterni come Meanwhile, Shiga si conferma un descrittore di caratteri più che un logico.
«Shiga è forse meno un matematico di quanto non sia un fenomenologo, osservando gli altri nel tentativo di comprenderli e apprezzarli», lo descrive giustamente Rob Clough nella sua recensione di Demon per il Comics Journal. Eppure l’approccio fenomenologico di Shiga risulta uno dei punti più deboli di questo racconto, in parte proprio per la scelta di caratterizzare Jimmy fin da subito come un disilluso. E se Jimmy è lo stesso Shiga, come affermato dall’autore nella prefazione del primo volume, forse questo rivela l’incapacità di uscire dal proprio sistema di riferimento. Non c’è una progressione di nessun tipo in Demon, un’assenza che è sia il suo maggior punto di forza che la sua più grande debolezza, se rapportata all’estensione dell’opera.
Al di là della vera e propria struttura narrativa che, alla fine dei quattro volumi, riporta il tutto allo status quo iniziale, in questo fumetto nulla o quasi cambia. I personaggi sono tutti, forse con un’unica eccezione, granitiche monadi che, nel corso dei secoli, rimangono sempre uguali a loro stessi, senza che nessuna rivelazione (la non esistenza di un orizzonte ultraterreno dopo la morte; l’immortalità propria e/o altrui) intacchi minimamente il loro sistema comportamentale e il loro universo valoriale. Persino le tecnologie e il contesto geopolitico sembrano, a parte qualche trascurabile o poco credibile dettaglio, incapaci di progredire.
Se questi sono elementi che vanno a rafforzare in maniera trasparente il pessimismo dell’autore (nonostante il passare dei secoli il mondo e l’uomo saranno sempre i soggetti guasti e manchevoli che sono oggi) questa immobilità, questa intrinseca incapacità di cambiamento, costringe Demon a una inevitabile e a volte forzosa ripetitività.
Il ritornare ciclico alle stesse situazioni, agli stessi empasse, sintetizzato dall’infinita lotta fra Jimmy e l’agente governativo Hunter (che vorrebbe distillare l’immortalità del rivale per creare un mondo pacifico sotto il governo unitario degli Stati Uniti), sono controbilanciate da un ritmo di racconto incalzante, e da una serie di cliffhanger di evidente derivazione telefilmica che rendono praticamente impossibile staccarsi dal flusso degli avvenimenti fino al frettoloso finale.
Sotto questo punto di vista, Demon funziona quasi perfettamente e il successo della serie non stupisce. Un prodotto di intrattenimento adrenalinico condito da elementi di tendenza relativi alla cultura geek (capacità logiche superiori, enigmi sul modello della camera chiusa risolti con ingegnose e a volte iperbolici escamotage, ecc.) con protagonista un uomo di mezza età proveniente dalla categoria che rappresenta per eccellenza la classe media: un ragioniere.
Tutto, naturalmente, è sempre leggermente paradossale e sopra le righe e per questo molto divertente. Considerato il tono iperbolico del racconto, si perdonano, come coerenti, anche alcuni elementi che sarebbero risultati altrimenti stridenti, come appunto le vastissime conoscenze multidisciplinari del protagonista. Soprattutto nei primi volumi ci si chiede con reale gusto come Jimmy farà a cavarsi d’impiccio, ma, andando avanti, vuoi una certa ripetitività delle soluzioni, vuoi un a volte malandato equilibrio fra le parti che tende a concentrare il nucleo della storia nel primo e nel quarto volume, il gioco rischia più volte di incepparsi.
Uno dei punti di forza e, allo stesso tempo, uno dei limiti più evidenti di Demon è infatti la sovrabbondanza di idee e situazioni che hanno sicuramente avuto un senso quando legate all’originaria pubblicazione episodica come webcomic ma che, affastellatesi in forma di volume, risultano più deboli.
Penso che una frustrazione comune per molti scrittori sia che hanno troppe idee su come una storia potrebbe andare. Una delle parti più interessanti del fare storie interattive sta dicendo: posso fare tutte queste idee! Non devo scegliere. [Da un’intervista a BoingBoing]
Eppure, non si dirà niente di nuovo, gran parte del lavoro di un narratore è proprio quello di limatura. Infatti, soprattutto prima della sanguinosa risoluzione, molte pagine sembrano messe lì per fare spessore (per esempio la lunga sequenza di allenamento o i ripetuti agguati). Una maggiore concisione o, in alternativa, una maggiore varietà avrebbero reso Demon molto più interessante e godibile di quanto, comunque, riesce ad essere.
La sensazione di ripetitività, che da un certo punto in poi diventa costante, è dovuta inoltre anche ad una promessa non mantenuta. Le “enormi” volgarità ed efferatezze garantite nell’introduzione da Shiga – con un piglio da ragazzino orgoglioso della sua marachella – non trovano un effettivo riscontro nella storia. Non solo perché le scene più sanguinolente sono comunque ammorbidite – e non esaltate, come avrebbe potuto essere – dal tratto dell’autore, ma soprattutto perché questi si gioca le carte migliori (leggi “più forti”) subito.
Nel corso del volume aumenta il numero di morti e di nefandezze, ma la loro natura è di un candore quasi disarmante per un lettore o spettatore medio del 2018. Per fare un esempio, in un qualsiasi albo di The Goon o Preacher -stando quindi in ambito mainstream – si possono trovare uccisioni più truculente e abusi più ributtanti (e divertenti). Persino su YouTube si può scovare di peggio. I concetti di “proibito” e “scandaloso” in Shiga sembrano raffrontarsi quasi esclusivamente con una cultura prettamente pop, forse neanche quella degli ultimi decenni, utilizzandola come esclusivo metro.
In realtà è qui nel campus [di Berkeley] che sono stato introdotto per la prima volta ai fumetti. Stavo frequentando un corso di DeCal e ricordo che si chiamava “Fumetti come letteratura” e ho potuto leggere un sacco di libri fantastici. Ricordo che Capire il fumetto e Maus sono stati i primi due fumetti che ho letto. […] Ho completamente ignorato la fase del supereroe che molti fumettisti della mia età hanno vissuto. Ma ho letto un sacco di fumetti fantastici e per il progetto di fine corso abbiamo realizzato un fumetto, ed è stato il mio primo fumetto. [Da una intervista a Multiversity Comics]
Il sospetto è che si tratti semplicemente del punto di vista parziale di un nerd con orizzonti umoristici e scatologici se non propriamente limitati almeno non allineati all’asticella posta dalla contemporaneità. Insomma, costruire un coltello con il proprio sperma o sodomizzare un cammello (in una vignetta di passaggio), evitando fra l’altro di soffermarsi sulla dinamica dell’atto, non è esattamente quello che la maggior parte dei lettori odierni – con le dovute eccezioni – considererebbero estremamente disturbante.
Per finire, lo stile di disegno è quello a cui Shiga aveva ed era già abituato da tempo. I personaggi, immancabilmente dagli occhi a palla e dalla bocca costituita da una U asimmetrica adagiata sulla parte inferiore del volto, si muovono su fondali minimali e bicromatici. Se in Bookhunter imperava l’ocra e in Empire State l’azzurro e il rosa, qui i colori dominanti sono il rosa e il rosso.
Shiga non è certo un maestro della fisiognomica e della prossemica, ma, sul breve percorso, i suoi personaggi sono funzionali. Alla lunga, dopo più di 600 pagine, la gamma limitata di espressioni e posizioni contribuisce alla sensazione di ripetitività cui si è accennato prima. Allo stesso tempo questi “pupazzetti” dalla limitata gamma espressiva risultano però assolutamente credibili, e questo si traduce principalmente nella capacità di empatizzare con loro.
È Demon, quindi, al di là dei limiti sottolineati, un buon lavoro? In conclusione bisogna dire assolutamente di sì. Meno intelligente, meno brutale, meno profondo di quanto vorrebbe o di come viene presentato, ha gli innegabili pregi di una sceneggiatura serrata e coinvolgente, servita da un senso dello spazio-tavola originale, al di là di alcune slabbrature che, in fin dei conti, si perdonano. In più è anche molto divertente.
Demon poi, propone una riflessione non banale sugli affetti famigliari, e in particolare sul rapporto padre-figlia, che nel contesto di una vita eterna si perverte in un egoistico e macabro rapporto conchiuso che dice molto sul comune modello famigliare, essenzialmente protezionistico ed egoistico. Inoltre, proprio grazie all’affastellarsi di dettagli, enigmi (anche e spesso visuali) la rilettura è quasi un passaggio obbligato. E questo, in un periodo di fruizione veloce e raramente reiterata, è un dettaglio non da poco.
Demon voll. 1 – 4
di Jason Shiga
traduzione di Tiziana Lo Porto
Coconino Press, aprile – ottobre 2018
Brossurati, b/n
15,00/16,00 €