Robert Kondo e Daisuke “Dice” Tsutsumi hanno fatto quello che tante storie di successo raccontano: rischiare tutto per inseguire il proprio sogno. I due artisti, entrambi art director in Pixar (la loro firma compare in Monster University, Ratatouille, Toy Story 3, La Luna), hanno lasciato l’azienda per fondare il proprio studio, Tonko House.
Il loro primo progetto è stato The Dam Keeper, una narrazione multipiattaforma che comprende – per ora – un cortometraggio animato e una trilogia di fumetti, ma sono in sviluppo anche una serie e un film. Il primo capitolo di questa trilogia arriva ora in Italia nella traduzione di Bao Publishing con il titolo Il guardiano della diga.
Ispirato alla storia Pattini d’argento, in cui un ragazzo salva la città chiudendo la perdita della diga con un dito, Il guardiano della diga è ambientato cinque anni dopo le vicende del cortometraggio. The Dam Keeper raccontava la storia di Maiale, che ogni giorno deve caricare un mulino di legno posto sopra la diga, l’unica difesa contro la minaccia oscura della Nebbia. Questo compito lascia poi spazio alle vicende personali del porcellino, vittima di bullismo che troverà amicizia in una volpe coetanea.
A differenza di un altro corto recente che affrontava il bullismo (Lou, la storia di un baule di oggetti smarriti che si anima e insegna una lezione di vita al teppista della scuola), The Dam Keeper non aveva un’oncia di umorismo, era un lento bruciare di mestizia e amarezza infantile. L’animazione limitata, lo stile granuloso, lo stacco tra la premessa fantasy e lo sviluppo intimista faceva intuire che quella della nebbia nera che minaccia la vallata non era solo una metafora per la depressione (come il mostro che Anne Hathaway controllava in Colossal) ma uno spunto per vicende diverse.
Dove il cortometraggio aveva al proprio centro una storia di bullismo e la risolveva con un vago spunto dal sapore fantasy, nel fumetto il discorso è squisitamente di stampo fantastico, con una storia che parte un po’ troppo modesta e promette di trovare un respiro ampio nei prossimi volumi nella trilogia.
Ritroviamo Maiale guardiano della diga di Valle dell’Aurora, con una vita scolastica serena ma comunque solitaria. E visto che i problemi di bullismo sono risolti, scopriamo i retroscena relativi alla diga e al padre di Maiale, scomparso anni addietro, forse impazzito. Un giorno, dopo che la Nebbia si è abbattuta con una furia inedita sul mulino, spazzando via Maiale, l’amica Volpe e Hippo, l’ippopotamo amico di Volpe (ma non altrettanto di Maiale), i tre intraprendono un viaggio per tornare a casa e svelare i misteri della foschia nera.
Maiale è un protagonista che non sa stare nella parte e questo lo rende una scelta bislacca ma funzionale, perché il mondo che lo circonda è tanto crepuscolare e sempre sul punto di spegnersi quanto lui. Il compito che gli hanno affidato gli autori riflette quello che gli ha dato il padre, architetto della diga, di vegliare sulla popolazione. Un ruolo importante che Maiale non sente suo, e non lo vuole sentire suo perché il suo genitore, precedente guardiano, sembra essere impazzito. Maiale teme di fare la stessa fine. Gli orologi, gli ingranaggi e i fantasmi sono icone che nel corso della storia ritornano con frequenza.
Il guardiano della diga è dunque una storia che parla (anche) di follia, di colpe dei padri, di morte e di tempo e che non teme gli argomenti adulti calati in un contesto a misura di bambino (un atteggiamento miyazakiano, ma, ehi, Tsutsumi ha sposato la nipote di Hayao Miyazaki, quindi tutto torna).
Kondo e Tsutsumi operano una scelta cromatica molto azzardata per un libro pensato come storia trasversale per grandi e piccoli: lavorano i disegni al computer aggiungendo una patina da ora d’oro spintissima, mentre le scene diurne sono baciate da un bagliore accecante, quasi a indicare che quella non è la luce di un semplice tramonto ma l’ultimo singulto possibile del sole prima di scomparire sotto l’orizzonte. L’effetto conferisce alla storia un senso di perdita e incombenza molto forte.
Allo stesso modo, nelle scene di buio, i personaggi affogano nel nero, le tinte si perdono, così come i dettagli, già scarsi in partenza. Tocca stringere gli occhi per intuire una forma o un’espressione, e le vignette in alcuni casi sono illeggibili nel loro contenuto.
Il disegno tutto è soggiogato dal colore. L’aspetto dei personaggi è ridotto a forme pure che sembrano colorate con pastelli senza punta perché privi di definizione (come d’altronde sono i loro caratteri: i loro nomi sono la semplice descrizione della loro specie), e il colore prevarica la linea assumendosi il compito di comunicare volume e spazio.
Questo a scapito della chiarezza delle azioni e di una gamma variegata di espressioni sui volti dei personaggi. Ma non è attraverso quelle che gli autori vogliono comunicare. Così come non vogliono esprimersi con i dialoghi, non certo il loro forte. Gli scambi verbali infatti puntano alla semplicità ma arrivano al massimo alla sciatteria.
Il desiderio di Kondo e Tsutusmi è chiaro: come già il corto aveva uno stile da picture book in cui l’animazione era una piccola componente e si invitava lo spettatore a ponderare l’immagine, le tavole de Il guardiano della diga si aprono a grandi immagini contemplative dove luce e colori sono in prima linea per comunicare storia, emozioni e atmosfere.
Anche nel world building gli autori veicolano visivamente le informazioni e dedicano alla diga le vignette migliori, piene di ingranaggi di legno e palizzate semoventi, arrivando a stampare su due tavole la planimetria della diga, in un eccesso di zelo che tradisce il loro retroterra da scenografi.
Nei suoi punti migliori Il guardiano della diga è un fumetto d’atmosfera molto bello a vedersi, anche se a volte l’impressione è che sia stato incastrato a forza in una forma che non gli appartiene del tutto.
Il guardiano della diga vol. 1
di Robert Kondo e Daisuke “Dice” Tsutsumi
traduzione di Caterina Marietti
Bao Publishing, settembre 2018
cartonato, 160 pp., colore
18,00 €