Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica accogliamo Martoz. Alessandro Martorelli – in arte Martoz – è un fumettista, illustratore e street artist, docente di illustrazione al Mimaster di Milano. Dopo il suo fulminante esordio Remi Tot in STUNT, ha scritto e disegnato per Coconino Press, Shockdom e Canicola Edizioni (Amore di lontano, Il cacciatore Gracco, La mela mascherata). Come illustratore collabora con Illustratore Italiano, Vita, Linus, Bomba Dischi, Il Sole 24 Ore e Associazione “Illustri”. Nel 2018 realizza un fumetto per la Galleria Borghese, nell’ambito del progetto MiBACT Fumetti nel musei. Ha esposto i suoi lavori a Los Angeles, Buenos Aires, New York, Parigi, Mosca e al Comicon di Napoli.
Ho fatto una scelta di cuore. Avrei potuto mettere una tavola di Scòzzari, dalla Dalia azzurra, o di Magnus, dai Briganti. In entrambi ci sono tavole a fumetti che ho adorato. Ma ho fatto una scelta di cuore, essendo io affezionato lettore di Zagor ed avendo (l’anno scorso) letto l’ultimo fumetto di Gallieno Ferri, l’ideatore grafico e primo disegnatore di Zagor. Dopo più di cinquant’anni di commovente carriera, in cui questo straordinario disegnatore è rimasto al fianco della stessa testata, nel 2016 Ferri è venuto a mancare.
Ho provato strane sensazioni quando è uscito in edicola il suo ultimo fumetto. Questa sensazione sfocia quasi nella commozione quando, procedendo nella lettura, si avverte un cambio di stile nei disegni. Un tuffo al cuore. Pagina 67 è l’ultima tavola di Gallieno Ferri (in un albo di 130 pagine). Un pensiero automatico si presenta nella mente: è morto proprio in corsa, mentre lo disegnava. Ha disegnato fino all’ultimo! Un vero e proprio esempio. Ho pensato subito a “l’ultima tavola di Gallieno Ferri”. Anche se, poi, ho dovuto scegliere la 44 perché era più bella. Semplicemente, per puro caso, la 67 è capitata male, piena di testo e senza elementi forti. Perciò, per rendere giustizia all’autore, ce ne becchiamo un’altra, sempre e comunque dall’ultima fatica di Ferri.
Zagor mi sembra un fumetto particolarmente distante dai tuoi lavori. Come mai lo hai scelto?
Esatto, molto distante. Tuttavia ho sempre pensato che fosse importante leggere un po’ di tutto, anche e soprattutto quei fumetti che sono distanti da me. Ho iniziato a leggere Zagor un po’ per scherzo e poi mi ci sono appassionato, oserei dire “affezionato”. Al di là dei motivi (di cuore) che ho segnalato, ho scelto questa tavola proprio per questa distanza. Una distanza positiva, fertile. Leggere i fumetti classici (e popolari) è uno dei metodi per imparare a fare fumetti, magari andando a decodificarne i meccanismi basilari.
Giusto per dare un po’ di contesto, che storia racconta?
Il volume da cui è tratta la tavola è il Color Zagor n. 5. La storia ha uno stile… Direi “gotico”. ci sono atmosfere oscure, paesaggi lugubri, evocazioni sataniche. una storia in pieno stile Zagoriano, ma del filone fantastico, magico e surreale. L’ho letto quest’estate, tra le pietre fresche di un casale Umbro, mentre lavoravo a Il cacciatore Gracco, per Coconino Press.
Dico questo perché, meraviglia, in questa storia ho trovato una piccola ispirazione per il finale del fumetto, che stavo proprio in quei giorni disegnando. Questo perché Il cacciatore Gracco è grandemente ispirato alla Mitologia germanica e in questo Color Zagor (così gotico…) a un certo punto si faceva riferimento a una festa pagana, ovvero la notte di Valpurga (Walpurgisnacht). Chi ha letto Gracco avrà trovato, nel finale, questa parola che descrive una… situazione come sinonimo di delirio e ottenebrazione.
Mi spieghi un po’ la tavola? Ha qualche caratteristica tipica di Ferri?
Dunque, la tavola è in pieno stile “Ferrico”. È quasi una sintesi dei punti di forza del disegnatore. Troviamo un paesaggio (un campo medio?) in cui si esprimono le classiche pennellate essenziali ed efficacissime di Ferri. L’ho sempre trovato spaventosamente disinvolto nelle rappresentazioni. Magistrale e spregiudicato, coraggioso anche in certe sperimentazioni. Tutto questo, rimanendo in una rassicurante confezione Bonelliana.
Altre caratteristiche evidenti sono lo storytelling molto scorrevole, sia nella composizione generale che nelle singole linee di forza che ci accompagnano nella lettura. Stupisce sempre l’efficacia della semplicità: nell’ultima vignetta il lupo fugge… ma passando dietro a un ramo. È impressionante quanto questo “bastoncino” faccia la differenza nel darci una maggior sensazione di fuga. Immaginate quanto sarebbe stata più “didascalica” (per non dire banale) quella stessa vignetta, senza quell’alberello al centro.
La pagina è una delle ultime prodotte dall’autore. Per te c’è stata un’evoluzione (o involuzione) dello stile negli anni o la si potrebbe scambiare per una tavola degli anni sessanta?
È difficile rispondere, stiamo parlando di un autore leggendario, anche solo parlando di record. Ferri non ha solo creato Zagor assieme a Nolitta/Bonelli, lo ha anche disegnato senza sosta per più di 50 anni (!) fino all’ultimo, per l’appunto. Io credo che la caratteristica principale di Zagor sia la stabilità, la rassicurante immutabilità a cui i lettori sono così affezionati. Perciò, forse, non ci sono state grosse evoluzioni, il che può essere una cosa positivissima.
Dopodiché, debbo dirti tristemente che, nelle ultime opere, si riscontra una frammentazione del segno particolarmente forte. Nell’ultimissimo albo e nelle ultimissime copertine, si notava una certa morbidezza, una debolezza dei tratti dovuta alla veneranda età. È spaventoso pensare che, nonostante questo, le copertine non perdevano di impatto e fascino, svolgendo comunque a pieno la loro funzione.
Ti ricordi quando hai scoperto Zagor per la prima volta?
Sì, ho scoperto Zagor quando ho fatto un murales a Orvieto, durante Orvieto Comics. Mi avevano chiesto un murales che omaggiasse una figura iconica del fumetto italiano (principalmente Bonelliano). E lì, non volendo andare sul banale (i famosissimi Tex e Dylan Dog) mi sono chiesto chi fosse quel bizzarro Tarzan pettinato.
Rimasi subito affascinato dal rivoluzionario mix incoerente che caratterizza la serie di Zagor. Si tratta di un impasto sregolato di far west e fantasy… Ma più che altro l’unica regola è che in Zagor può succedere tutto! Potete leggerne uno totalmente razionale, in cui si risolve un caso di omicidio o di rapimento (quasi sovrapponibile a un normale Tex) e subito dopo imbattervi in uno Zagor coi Dinosauri, gli Alieni, i Vampiri o addirittura universi paralleli, magie di ogni sorta. Nel murales non ho potuto mettergli le sue armi d’ordinanza (la pistola e la scure) per una trattativa con gli abitanti del luogo, alla fine optammo per una lanterna.
Perché, cosa è successo?
Si trattava del primo murales autorizzato ad Orvieto, perciò c’era agitazione nella popolazione (ma anche entusiasmo). La posizione era all’interno di un centro commerciale naturale, l’antenato del centro commerciale. I vari negozianti hanno voluto vedere il bozzetto e hanno ritenuto che un uomo di 4 metri, col fucile, fosse un po’ inquietante. A me piace molto trattare sul murales coi cittadini coinvolti, mi piace che la street art diventi occasione di relazione e scambio, anche se rifiutai alcune loro proposte (tipo che Zagor tenesse un mazzo di fiori… ).
Alla fine, arrivammo a un suggestivo compromesso: la lanterna. Tristemente premonitrice come scelta, dato che poco dopo Gallieni Ferri è venuto a mancare ed è quasi come se quel grande Zagor, col lanternino, fosse lì per accompagnarlo “dall’altra parte”. Gallieno infatti è morto nei giorni in cui realizzavamo il murales, un caso davvero psicomagico. Marco Cannavò, dell’Orvieto Comics, ha posto una targhetta sotto il murales e l’abbiamo dedicato a Ferri.
Tutto questo è successo nel 2016. Dopodiché nel 2017 l’ho ripreso, un paio di anni fa diciamo, ho iniziato a leggerlo in maniera consistente (grazie a Giorgio Giusfredi che ne aveva scritti alcuni e siccome ci siamo conosciuti, poi per curiosità me li sono andati a leggere). Si è stabilita una certa affezione, insomma. Mi sono tuffato in quell’universo, in quell’immaginario che solo un lettore Zagoriano apprezza davvero, perché per comprenderlo bisogna immergersi oltre una certa profondità.