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Sunday Page: Gud su “Calvin e Hobbes” di Bill Watterson

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Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica parliamo con Gud, al secolo Daniele Bonomo, è un fumettista e saggista autore di opere come Timothy Top, La notte dei giocattoli (sui testi di Dacia Maraini) e Gaia Blues. Laureatosi in Scienze Politiche e diplomato poi alla Scuola Internazionale di Comics, ha anche collaborato con Sky Italia commentando a fumetti le puntate di MasterChef ed è uno dei fondatori dell’Arf! Festival.

fine calvin hobbes

Come mai ha scelto l’ultima domenicale, e l’ultima striscia in generale, di Calvin e Hobbes?

Questa è una tavola piena di futuro. Di ottimistico futuro. Ogni tanto la rileggo, ne guardo ogni singolo segno e mi lascio trasportare nell’infanzia giocosa di Calvin, fino in fondo a quella discesa. Gli alberi passano veloci e l’aria è fredda sulle mie guance e, nonostante tutto, sorrido.

Nonostante sia l’ultima loro apparizione in una striscia, il loro addio. Nonostante la loro sia un’assenza che dura ormai da venti anni. Nonostante io non abbia mai avuto una tigre di peluche. Sorrido. E questo è il potere che ha Bill Watterson su di me, mi fa emozionare, il più delle volte ridere, alcune volte pensare, comunque, sempre, mi mette di buon umore. Quindi lo leggo e lo rileggo, come un mantra. Per questo ho scelto Calvin & Hobbes, perché dovrebbe essere il primo libro da inserire in una qualsiasi libreria che si rispetti.

Tu quand’è che l’hai scoperto Calvin e Hobbes?

L’ho scoperto tardi, quando già avevo deciso che fare fumetti sarebbe stata la mia professione. Inutile dire di quanto sia stato amore a prima vista. Da subito ha rappresentato per me un ottimo esempio di come disegni e testi riescano a essere freschi, immediati e pieni di divertimento allo stato puro. Ti confesso che quando sono giù di morale considero la lettura di Calvin e Hobbes come una terapia. In piccole e grandi dosi, fino a che non torno a sorridere.

Ti ricordi di preciso come l’hai conosciuta?

Negli anni Novanta mi ricordo che aspettavo con ansia l’uscita della rivista Comix in edicola. Perché dentro c’era tutto il fumetto che mi piaceva, strip e tavole autoconclusive che mi facevano impazzire. Da lì ho conosciuto l’esistenza della rivista Linus di cui ho iniziato a recuperare vecchi numeri su cui ho trovato Calvin & Hobbes. Amore a prima vista.

A me di quella domenicale ha sempre colpito quel segno lasciato dallo slittino e dalla china, che rende tutta quella distesa di vuoto incredibilmente tattile e tangibile. Di solito le domenicali di Watterson sono bombastiche e stravaganti, qui invece si vede proprio la volontà di chiudere nel modo più quieto possibile.

La neve è morbida, accogliente, nasconde spigoli e storture, quindi concordo con te con la sua volontà di chiudere nel modo più quieto possibile.

Tutta l’opera di Watterson è avvolta da doppie letture. Tu ti sei mai spiegato come è riuscito a ottenere questo equilibrio?

Secondo me già dal nome scelto per i due protagonisti emerge la volontà di Watterson di non restare solo su un piano di lettura. Come tutti i grandi classici è riuscito a miscelare nelle storie la critica sociale e il divertimento, forse la vera genialità sta proprio nel fatto che ci sia riuscito senza renderlo palese e didascalico. E soprattutto, senza farne un prodotto troppo legato all’attualità del momento storico, come per esempio ha fatto Quino con Mafalda.

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