È il 1982 e Chris Claremont se la sta passando bene. Lo sceneggiatore di Long Island è da qualche anno al timore di Uncanny X-Men ed è il principale responsabile dell’impennata nelle vendite del gruppo di mutanti creato da Stan Lee e Jack Kirby. Claremont ha trasformato un concept spompato in una potente metafora ricca di personaggi memorabili. Sta scrivendo lo spin-off di Wolverine, altro personaggio che è in rapida ascesa nel cuore dei lettori, e due graphic novel di grande formato dedicati ai mutanti, Dio ama, l’uomo uccide e I Nuovi Mutanti.
Quest’ultimo titolo è una sorta di episodio pilota commissionato dall’editor-in-chief Jim Shooter, che vuole sfruttare il successo degli uomini-X con un’altra testata a loro dedicata. I Nuovi Mutanti, disegnato da Bob McLeod, sembra promettere bene e Shooter vara una nuova serie con lo stesso team creativo.
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L’editor di Claremont, Louise Simonson, non crede sia una buona idea, lei e Chris vorrebbero mantenere quello degli X-Men un mondo ristretto, ma a Shooter non interessa, il progetto si farà, con o senza di loro. Come scrive Sean Howe in Marvel Comics. Una storia di eroi e supereroi: «Claremont, notoriamente geloso del proprio lavoro, avrebbe preso un respiro profondo, avrebbe dato un’occhiata all’agenda dei suoi impegni, e alla fine avrebbe trovato il modo di scriverlo lui». E così Claremont, serie dopo serie, comincia a ritagliarsi un angolo di universo Marvel in cui essere giudice, giura e giustiziere, portando il franchise a diventare una delle punte di diamante dell’editore per i successivi vent’anni.
I nuovi mutanti parte dall’idea di creare una terza generazione di X-Men, etnicamente variegata e adolescenziale come lo era il gruppo originale. Le diverse etnie e la maggioranza femminile del gruppo farebbero contenti i bisognosi di quote alternative al maschio caucasico, ma qui le scelte di casting appaiono meno di rottura perché è nei fumetti degli X-Men che abbiano visto più spesso discutere di razzismo e omosessualità.
I Nuovi Mutanti sono infatti Cannonball (Samuel Guthrie), sedicenne del Kentucky con l’abilità di essere invulnerabile quando sfreccia nell’aria; la vietnamita Karma (Xi’an Coy Manh), in grado di possedere mentalmente il corpo di altre persone; Mirage (Danielle Moonstar), una Cheyenne che può creare illusioni tridimensionali; Sunspot (Roberto da Costa), brasiliano capace di immagazzinare l’energia solare; e la mutaforma scozzese Wolfsbane (Rahne Sinclair). Radunato da un riluttante Charles Xavier, pensieroso che i ragazzi possano fare la fine della precedente squadra (in questo momento narrativo rapita dagli alieni), il gruppo dovrà far fronte comune e imparare a lavorare come un team, sconfiggendo le minacce della Covata, di Viper e del Club Infernale.
Oltre a raccontare i dolori della crescita e l’angoscia adolescenziale (nel terzo numero si affronta il tema della violenza sui minori, anche se la resa è a pennellate larghe), la loro serie si differenzia dal resto del materiale mutante per l’esplorazione di territori mistico-fantasy. Gli scolari hanno poteri meno fantascientifici e con il passare dei numeri Claremont costruirà attorno a loro storie più fantastiche che sci-fi (in una finiranno in un’antica civiltà romana nascosta nella foresta amazzonica) o dalle atmosfere inquietanti e userà alcuni personaggi per parlare di magia, come nella saga del Demone Orso.
Claremont si è sempre adattato al disegnatore che ha di fronte, è più posato quando sceneggia per Paul Smith, gioca di rimessa con John Romita Jr., con Bill Sienkiewicz troverà una cifra oscura e uno stile verbale impressionistico. Qui, con McLeod, si lascia andare a testi compassati e quadrati come le matite del disegnatore. A leggerla ora, la scrittura di Claremont è gonfia di specificazioni inutili, la sua voce narrante è pesante, aiuta a entrare nella psicologia dei personaggi, certo, ma si spreca anche a descrivere ogni azione già comunicata per immagini.
Ma l’autore può essere colpevole soltanto di un invecchiamento infelice, perché all’epoca i suoi testi erano lo standard (e comunque brillano rispetto a certi sbrodeghezzi realizzati dagli autori dei mutanti negli anni Novanta). La resa visiva di McLeod appare insipida e poco ispirata (Cannonball dovrebbe avere sedici anni e McLeod lo disegna con la faccia di un quarantenne), i sodali Sal Buscema e Paul Smith sono invece molto più sul pezzo. McLeod avrebbe descritto quella sulla serie una delle sue peggiori esperienze lavorative, e il poco trasporto si nota tutto sulla pagina.
Tuttavia non mi sento di affondare completamente la scure contro questo volume (la cui colorazione e la traduzione ex-novo di Pier Paolo Ronchetti sono nettamente migliori rispetto a quella della precedente edizione in albetti Play Press). Nel 1987, i critici cinematografici Gene Siskel e Roger Ebert si scontrarono sul fatto che il secondo aveva dato un parere favorevole a 4 cuccioli da salvare ed era rimasto tiepido di fronte a Full Metal Jacket. «Ti dovresti vergognare», disse Ebert a Siskel. «Dovresti sapere che questi pareri sono relativi e che i film vanno recensiti contestualizzandoli». E quei due film non erano paragonabili, perché giocavano in due campionati diversi. I giudizi, diceva Ebert, sono relativi a un quadro di riferimento.
In questo quadro, quello del parco editoriale degli X-Men degli anni Ottanta, le prime storie dei Nuovi Mutanti sono un prodotto medio. In assoluto, la forza di questo troncone di albi sta soltanto nell’introduzione di buoni personaggi e situazioni che otterranno piena soddisfazione con l’apporto futuro di Sienkiewicz.
I Nuovi Mutanti – Rinnovamento
di Chris Claremont, Bob McLeod, Paul Smith
Traduzione di Pier Paolo Ronchetti
Panini Comics, gennaio 2018
Brossurato, 240 pp a colori
€ 26,00