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“Colville”, il Canada più nero. Intervista a Steven Gilbert

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Colville di Steven Gilbert è una storia nera e cruda, un racconto che viene dall’entroterra canadese. Protagonista è una gioventù ordinaria e sbandata a confronto con follia e violenza.

David è un ragazzo comune, assorbito dalle sue passioni tanto da accettare qualunque compromesso al fine di racimolare qualche soldo e poter stampare il suo fumetto autoprodotto. Sono scelte che gli costeranno care, in una storia che si sviluppa in una serie di colpi di scena imprevedibili, sia ai suoi occhi che a quelli del lettore.

Il libro – pubblicato sul finire del 2017 da Coconino Press – nasce da un percorso singolare; prima un albo autoprodotto poi anni dopo un volume ampliato, sempre pubblicato dall’autore stesso. Nell’intervista che segue, Gilbert ci racconta il fumetto insieme a ciò che c’è dietro, in termini di influenze, e a come si è sviluppata la sua carriera nel corso dell’ultimo ventennio.

Leggi le prime pagine di Colville in anteprima

steven gilbert colville intervista coconino
Qual è la storia dietro a Colville. Come lo hai pubblicato inizialmente e cosa è successo dopo?

Colville è stato il mio tentativo di fare una crime story ambientata in un piccolo paese. Attinge da alcuni eventi realmente accaduti vicino alla mia cittadina, Newmarket, all’inizio degli anni Novanta, oltre a contenere elementi di finzione. L’ho autoprodotto e distribuito internazionalmente tramite le fumetterie. Poco dopo l’uscita di Colville, ho aperto il mio negozio di fumetti qui a Newmarket. Ero talmente impegnato a gestirlo che ho praticamente smesso di fare fumetti per quasi quindici anni. Quella prima versione di Colville era molto più corta della nuova versione. Erano appena 64 pagine. Nel corso degli anni dopo l’uscita ho avuto varie idee su come espandere il materiale. Questo nuovo libro ne è il frutto.

La storia contiene elementi derivanti dalla vita vera? Si respira una sorta di sottile critica delle vita nella piccola città (la tua, forse)?

Gli elementi che ruotano attorno al furto della moto sono una storia vera. Il confronto nel cortile della scuola è quanto più accurato potessi renderlo, basato sui resoconti dei giornali dell’epoca. Il personaggio di Paul character è una persona reale, criminalmente attiva in questa zona a quei tempi, ma che non aveva a che fare con la storia. Il suo inserimento è un pretesto di finzione. Non avevo alcuna intenzione di criticare la vita nelle piccole città.

Credi che Colville sarebbe stato un libro diverso su tu vivessi in una grande città? Oppure non sarebbe esistito?

Dubito che Colville sarebbe esistito se io mi fossi trovato da qualche parte che non fosse la mia cittadina. Non ho mai vissuto in una grande città. Credo che tutto il mio lavoro sia legato in qualche modo al posto dove vivo.

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Come hai lavorato alla storia? Cosa ha dato il via?

A dare il via alla storia è stato semplicemente il mio desiderio di realizzare una crime story a fumetti. Mi piace la crime fiction, e ho voluto provare a cimentarmi nel genere. Quella storia del furto della motocicletta mi era rimasta in testa per anni e quindi mi era sembrato il materiale ideale da cui partire. Non pianifico molto in anticipo la storia quando lavoro a un fumetto. Penso al plot e agli aspetti grafici, a volte per mesi e anni. Ma non scrivo una vera e propria sceneggiatura né faccio una bozza. Disegno tutto direttamente sulla tavola, dalla prima, finché non ho finito tutto.

Gli aspetti più crudi della tua storia mi hanno ricordato l’opera dello scrittore canadese Giles Blunt da cui è stata tratta la serie televisiva Cardinal, successiva a Colville. La conosci?

Non ho visto quella serie, ma ricordo di aver visto le pubblicità. Sono un appassionato di Blue Velvet di David Lynch e di Twin Peaks, che mi sono stati di particolare influenza.

Hai dedicato questo lavoro a Nick Cave e Brian De Palma. Posso riconoscere certe loro influenze, ma come mai li hai citati direttamente? Quali sono state effettivamente secondo te le loro influenze?

Lavorando a Colville ho ascoltato Nick Cave praticamente a ripetizione costante, quando disegnavo le prime pagine negli anni Novanta. Mi piace molto la sua musica. Per ritornare nel mood della storia, quando la ripresi in mano, ricominciai a sentirlo durante la lavorazione. Disegnando le nuove pagine ho ascoltato parecchio anche i Velvet Underground, i Beastie Boys, Tom Waits, ed Elvis Costello (soprattutto Mighty Like A Rose).

Mi piacciono i film di Brian DePalma. Ci sono sequenze in Colville in cui ho praticamente provato a copiare lo stile e il mood di alcuni suoi film.

Non ti risparmi di citare un bel po’ di autori di fumetti all’interno del libro, molti dei quali canadesi. Ti senti parte di una stessa “famiglia” di autori indie canadesi, che iniziò negli anni Novanta? Cosa pensi sia cambiato ora?

Fondamentalmente, stavo solo listando nomi di autori che mi piacevano a quel tempo. Di certo non mi consideravo parte di una più ampia comunità di fumettisti. Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di conoscere e diventare amico di fumettisti che ho sempre ammirato, ma questa interazione è stata davvero limitata. Tendo ancora a lavorare ai miei fumetti in una condizione di virtuale isolamento dagli altri colleghi fumettisti. È una cosa che non è cambiata nel corso degli anni.

Considerando che citi molti fumettisti del passato nel libro, quali artisti della scena attuali segui e consiglieresti?

Sono piuttosto legato a quella che è la mia “generazione” di fumettisti, e mi emoziono sempre molto quando esce un nuovo libri di quei fumettisti anni 80/90. Ci sono comunque fumettisti più giovani che mi piacciono, come Noah Van Sciver, Michael Deforge, Ben Marra, Jim Rugg, Connor Willumson, Tim Lane, e Wm. Bobo.

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Come hai iniziato a fare fumetti?

Sento come se avessi sempre disegnato fumetti. Fa parte dei ricordi di tutta la mia vita. Da bambino mi piaceva l’animazione, soprattutto Bugs Bunny. Non mi sono mai fatto mancare una scorta di carta bianca e matite e penne. Credo che fu quando scoprii i fumetti Marvel comics che mi resi conto che disegnare fumetti sarebbe stato l’obiettivo della mia vita. Ho avuto la fortuna di ricevere sempre incoraggiamento in questa mia passione da parte di genitori e insegnanti.

Hai autoprodotto molti libri e mini comics, oltre a Colville. Perché questa scelta? Hai mai provato a lavorare con un editore?

Negli anni Novanta avevo un amico che si autoproduceva i suoi fumetti, e in Nord America c’era proprio una tendenza a farlo. Probabilmente grazie al successo di serie come Cerebus e Bone. Molti autori si autoprodussero e sembrò esserci posto nel mercato per fumetti autoprodotti. Ci fu addirittura un tour di fumettisti che si autoproducevano chiamato “Spirit Of Independence”. Credo che per me abbia funzionato perché il mio materiale non era abbastanza commerciale per essere accolto da un editore. Inoltre non credo nemmeno di essere stato all’altezza di essere pubblicato da quegli editori che producevano il tipo di fumetti che piacevano di più a me. E poi c’è da aggiungere che autoproducendomi non ero costretto a scendere a compromessi con i contenuti.

Ti senti parte della scena indipendente attuale, cosa credi sia cambiato nel corso degli anni?

Non posso dire di avere un vero e proprio legame con la scena indipendente dell’autoproduzione, fatta eccezione per il fatto di incoraggiare la gente ad autoprodursi. Dalle mie parti (Toronto) ci sono un paio di festival incentrati sul fumetto indipendente. Uno è il TCAF, noto a livello internazionale, e l’altro è il Canzine, un festival annuale dedicato a mini-comic e fanzine. È fantastico. Anche quando non ho il mio stand a questi festival, ci vado comunque, per comprare un bel po’ di fumetti. A Newmarket non sembra esserci una scena fumettistica. Io cerco di incoraggiare i ragazzi del posto in questo senso, ma è raro ritrovarsi per le mani lavori davvero degni. Succede, ma è raro.

A cosa stai lavorando attualmente?

Oltre a Colville, ho realizzato due volumi di The Journal Of The Main Street Secret Lodge, una serie di storie di avventura ambientate a Newmarket durante l’800. Ho appena completato un graphic novel intitolato No Beast So Fierce, che probabilmente uscirà nel 2018. Sto realizzando anche una serie di mini-comix intitolati Port Stanley, uno dei quali è completato e stampato, mentre il secondo sta per arrivare. Ho appena iniziato un fumetto breve intitolato Colville chapter eight, che è praticamente ambientati nella cittadina di Colville. Inoltre, sto progettando un terzo volume di The Journal Of The Main Street Secret Logde, che vorrei iniziare a disegnare in primavera. In Italia i miei fumetti autoprodotti sono disponibili tramite il mailorder Just Indie Comics.

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