La prima stagione di Marvel’s The Punisher è disponibile dal 17 novembre su Netflix e a guardarla, oltre a fan del fumetto o spettatori che lo hanno scoperto dopo il suo debutto su Daredevil, ci sono anche molti poliziotti e soldati, un segmento professionale che ha un amore particolare per il personaggio.
Il Punitore, personaggio Marvel creato da Gerry Conway, John Romita Sr. e Ross Andru nel 1974, è più popolare che mai tra le forze armate, grazie alla filosofia intransigente e alla volontà di ottenere giustizia con qualsiasi mezzo. «È una sorta di anti-cattivo, invece che di anti-eroe», ha spiegato Conway al TIME, descrivendo i metodi non ortodossi (rapimento, tortura, omicidio) per ristabilire giustizia nella società.
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Come racconta Vulture, uno di questi fan è il Marine Christopher Neff, la cui vita ruota attorno al personaggio: oltre a fumetti, un tatuaggio e oggettistica varia, Neff ha fatto decorare persino la sua torta nuziale con il logo di Frank Castle e ha dichiarato che si sarebbe preso un giorno di permesso per binge-watchare la serie. Pur riconoscendone la componente prettamente escapista, ammira il Punitore perché «è la definizione perfetta del rasoio di Occam per quanto riguarda i militari. Non ti preoccupare delle uniformi, delle ispezioni, delle regole di ingaggio. Trova i cattivi. Proteggi gli innocenti. Per ogni vero guerriero, quello è il sogno».
L’iconografia e l’immaginario del Punitore ha assunto valenze totemiche per molti poliziotti e soldati nell’ultimo decennio, «un periodo che vede sorgere la militarizzazione post-11 settembre e la visibilità del personaggio in nuovi fumetti e due film», scrive Vulture.
Ne avevamo parlato all’indomani dell’uscita di American Sniper, film in cui comparivano diversi riferimenti al personaggio. Riferimenti che, però, derivavano direttamente dall’autobiografia del soldato americano Chris Kyle, alla cui vita reale è ispirato il film di Eastwood. L’unità di Chris Kyle si faceva chiamare “The Punishers” ed era talmente attaccata al personaggio da impedire che un gruppo di commilitoni adottasse lo stesso nome; nella sua autobiografia, Kyle scrive: «Eravamo noi i Punishers, loro dovevano trovarsi un altro simbolo».
Il feticismo verso il teschio del Punitore è l’elemento più comune: non molto tempo fa, un dipartimento di polizia a Solvay, New York difese la loro scelta di aver disegnato il logo sulle volanti: «È il nostro modo di mostrare ai cittadini che ci frapponiamo tra il bene e il male», si legge nel comunicato inviato al Syracuse Post-Standard. E non è una tendenza solo americana. Anche le milizie irachene e sciite che nel 2015 avevano liberato la città di Tikrit dall’influenza dell’Isis – venendo accusate di saccheggio, incendi e omicidi – hanno apposto il simbolo del Punitore su abiti e veicoli.
Jon Bernthal, l’attore che veste i panni di Castle nella serie Netflix, sembra averlo capito bene. Due anni fa, sul palco del New York Comic Con, dedicò la propria interpretazione a «voi ragazzi delle forze armate. So che questo è un grande onore, una grande responsabilità e vi do la mia parola: darò tutto me stesso».
La gran parte degli intervistati da Vulture, siano poliziotti o membri delle forze armate, indicano come aspetto preferito proprio questa libertà giurisdizionale del personaggio e l’assenza di legacci nelle sue azioni: «Frank Castle fa cose che anche noi vorremmo poter fare legalmente», afferma Jesse Murrieta, lavoratore freelance per gli U.S. Marshal che ha dipinto con il teschio del Punitore l’uniforme con cui lavora. «Non vede le sfumature di grigio che, sfortunatamente, tormentano il sistema giuridico statunitense e che rallentano e a volte impediscono alle vittime di un crimine di ottenere giustizia». Un altro marine, Matt Salvatico, ammira la mancanza del politicamente corretto: «Non ci sono regole se non le sue, fa quello che va fatto. Punto».
Il veterano dell’esercito Russell Gallaway confessa che il suo amore per il personaggio è stato un fattore che ha pesato molto nella sua scelta lavorativa. «E quando mi trovavo di fronte a un problema mi chiedevo “Cosa farebbe Frank?”. Finchè la risposta non era “Ucciderebbe tutti”, sapevo che era la cosa giusta da fare».
I rappresentanti sanno bene che l’attrazione verso il Punitore ha una forte componente fantastica e liberatoria, ma niente che si debba imitare nella vita vera. Il sergente Charles E. Humes Jr., sul sito Law Officer, si è scagliato contro esternazioni simili asserendo: «Non importa cosa abbia fatto un aggressore o quanto se lo “meriti” davvero, il nostro lavoro non è quello di punire». E Gerry Conway, il co-creatore del personaggio, ha spiegato che quella di Chris Kyle era una lettura erronea del Punitore, perché «non è un uomo da ammirare o emulare».
Tra i fumetti più citati come preferiti, ci sono quelli scritti da Garth Ennis, che all’alba del nuovo millennio ha aggiornato Frank Castle per tempi più crudeli. Ma nemmeno Ennis vede di buon occhio il fandom militare: «Il suo status di guerriero non è positivo. […] Frank vede la guerra come risposta a tutti i suoi problemi. È complicato e lui risolve la cosa a modo suo».
Lo stesso pensa Bernthal, che al Los Angeles Times ha difeso la visione anti-eroica di Castle: «Se ho creato un tipo che glorifica la violenza, ho fallito. Non voglio che guardandolo si pensi “Questo tizio è chiaramente un eroe”. Frank soffre di un dolore indicibile e c’è un costo incredibile per la violenza che ha sperimentato nella sua vita».
«Un personaggio di finzione come lui che corregge le storture, anche se è un fumetto, aiuta a contrastare le frustrazioni», chiosa Murrieta. «Il momento del Punitore è ora. Alcune persone vorrebbero farci piacere Superman, ma poi capiscono che il personaggio di cui hanno bisogno davvero è il Punitore».