Ci eravamo lasciati qualche tempo fa con una mia disamina nata dall’onda dell’entusiasmo per l’allora nuova serie Netflix Stranger Things, un’opera capace di captare immediatamente lo spirito nostalgico di un certo tipo di pubblico ma anche di addentrarsi in una storia intrigante e ben costruita. Ci ritroviamo ora davanti alla fatidica prova del nove: Stranger Things 2 rispecchia le (alte) aspettative create?
Questo nuovo capitolo delle vicende di Hawkins non ha il mordente della prima stagione. Le ragioni sono varie e anche un po’ ovvie: l’effetto novità è scemato, la struttura narrativa ripercorre per certi versi quella della prima stagione, alcune situazioni risultano già viste e in generale c’è una scarsa attenzione per lo sviluppo di alcuni passaggi. Quindi, dando subito un giudizio generale, Stranger Things 2 non convince pienamente e ha più di un’ombra.
Detto questo, bisogna altresì ammettere che di spunti interessanti ce ne sono e credo che, se è vera la notizia di una conferma della terza stagione, questa seconda potrebbe essere considerata di transizione, una sorta di trampolino per qualcosa di diverso.
Partiamo dall’aspetto più ovvio: tutto l’impianto citazionista della cultura e dell’immaginario anni Ottanta è ridotto alle sole prime puntate ed è giusto che sia così, perché l’effetto nostalgia può funzionare fino a un certo punto, prima di diventare un giochino poco divertente e un po’ stantio, anche se con la presenza di Sean Astin (il Mikey Walsh dei Goonies) quasi si chiude un cerchio. In Stranger Things 2 a contare sono i personaggi e gli eventi, sicuramente più del contesto.
L’alchimia che aveva funzionato così bene nella scorsa stagione si ripresenta anche qui, con la riproposta di una dimensione orrenda che confina con la nostra realtà e che rischia di devastarla definitivamente. L’elemento fantastico e orrorifico è sicuramente meno convincente, così come la nemesi del gruppo di amici, troppo evanescente e poco caratterizzata.
Dove Stranger Things 2 funziona è sul piano allegorico. Se ci allontaniamo un pochino dagli eventi narrati e guardiamo questi nuovi episodi da una prospettiva più generica e trasversale ci accorgiamo subito di una cosa, che era presente anche nella prima stagione ma che qui diventa assunto concettuale: Stranger Things è la fotografia dei passaggi chiave della crescita.
Se la prima stagione può essere considerata una sorta di distacco dalla purezza dell’infanzia, in questa seconda stagione gli autori mettono in scena il passaggio all’età adolescenziale, con tutti i drammi e i dubbi che esso comporta. Ci sono lo sconvolgimento che i patemi amorosi portano a quest’età, la delusione di una storia d’amore che finisce, il desiderio di mantenere intatto quella compattezza rappresentata dall’amicizia che è icona di un momento ormai passato, i timori del fallimento e del rischio. E poi c’è il rapporto con la figura genitoriale, che si trasforma subito in un conflitto necessario per la propria crescita.
A ben vedere, Stranger Things riflette sull’idea di famiglia in una maniera molto intelligente: il concetto di famiglia tradizionale è esploso e tenta di costruire una labile credibilità dietro una menzogna tutta borghese. Basti pensare alla figura del padre come è rappresentata in entrambe le stagioni: il papà di Mike e Nancy è un apatico che attraversa la vita di chi gli sta intorno come un fantasma, al pari di quello di Lucas; il papà di Dustin non si vede mai (e forse non c’è); il padre di Will se n’è andato e si disinteressa dei figli; lo stesso Dustin sperimenta un desiderio paterno accudendo la creatura Dart, che ben presto si ribellerà al “padre”.
E poi c’è Undici, che è sicuramente la chiave con cui interpretare l’intera serie. La figura più vicina a un padre per Undici era uno scienziato senza scrupoli che è apparentemente morto nella prima stagione. Lei tenta, faticosamente, di ricostruirsi, come essere umano, come ragazza, come amica e soprattutto come figlia. Lo fa con lo sceriffo Jim Hopper, un uomo che, non a caso, ha perso la propria bambina tempo addietro, vedendo così scomparire il proprio ruolo di padre. Con lui attraversa le fasi salienti dell’essere una figlia, dall’amore incondizionato all’odio generato dal desiderio di ribellione (messo in scena nella settima puntata, intitolata The Lost Sister), fino all’attesa riconciliazione, frutto di una maturazione di entrambe le figure (padre e figlia).
Così Stranger Things diventa un modo per smascherare le insensatezze di una società fondata su menzogne e false apparenze. Proprio per questo, nella serie, a risultare migliori e reali sono le famiglie disfunzionali.
Abbandonando la dimensione citazionista e quella puramente fantastica, Stranger Things 2 può essere considerata dunque come uno strumento per analizzare le idiosincrasie di una società (e di riflesso delle famiglie che la compongono). Da questo punto di vista, la serie diventa immediatamente uno dei momenti televisivi più importanti degli ultimi anni.