Nel 1994 Lewis Trondheim conquista il Prix Révélation al Festival international de la bande dessinée d’Angoulême. L’opera vincitrice è Slaloms, il secondo tomo delle avventure dedicate alla sua più famosa creatura: Lapinot. È un’opera fondametale per Trondheim: segna un passaggio cardine per la sua ricerca estetica. Con Les Formidables Aventures de Lapinot l’arte di Trondheim tracima dal campo della iterazione iconica al fumetto classico.
Trondheim, grafico di nascita, fulminato sulla Via di Damasco dalle potenzialità infinite del racconto per immagini da subito gioca con i confini e con i limiti del formato fumetto. La sua è una poetica del limite, ma che fa della carenza una risorsa. Il minimalismo diviene, pertanto, via obbligata, ma soprattutto una forma di ascesi.
Le prime opere di Trondheim sono una lotta continua con la forma, un gesto impegnativo e ostinato in cui la restrizione formale diviene, paradossalmente, potenzialità infinita. Thierry Groensteen, membro fondatore dell’Ouvroir de la bande dessinée Potentielle , elabora per il primo numero della rivista collettiva del movimento – OuPus 1 – un compendio sistemico di vincoli sia di natura trasformativa che generativa.
Trondheim è a suo agio, sin dai suoi esordi la natura delle sue opere è estremamente concettuale. Le Dormeur e Psychanalyse utilizzano materiali fotocopiati montati ad hoc per creare un flusso narrativo, ma anche opere minimaliste e astratte come Bleu e La nouvelle pornographie si basano sulle medesime strutture vincolati, care agli scrittori dell’OuLiPo, a cui si ispira il movimento.
Si pensi al Queneau degli Esercizi di Stile. Ma, anche nel dominio del fumetto vi sono esempi in cui alliterazioni, giochi iconici, immagini palindrome sono elemento caratterizzante: le opere a lettura obbligata di Gustav Verbeek o diversi esperimenti formali del giovane Art Spiegelman. E all’interno di questi vincoli che Trondheim incontra un sodale in Jean-Christophe Menu. Ma, i limiti stanno stretti al giovane Lewis. Lapinot è una rifondazione del fumetto classico: utilizza i funny comics con personaggi zoomorfi per parlare del mondo, usa la maschera animalesca come strumento di indagine della realtà e del sé. I suoi personaggi sono attori, poco più che segni a cui dare significato.
E alla confluenza di questi due mondi: quello della scrittura vincolante del minimalismo e della striscia comica zoomorfa che si pone Diablotus. Pubblicate nel 1995 da l’Association nella collana Patte de Mouche, le avventure del piccolo diavoletto sono una pantomima in cui Trondheim ci mette di tutto: per l’appunto, il minimalismo; l’amore per il fumetto zoomorfo classico à la Floyd Gottfredson (Mickey’s Craziest Adventures è l’ultimo atto di questa lunga storia d’amore); l’animazione di inizio secolo (tra la Skeleton Dance di Disney e la danse macabre); il surrealismo di Le Pays des Trois sourires etc etc.
In realtà, l’elemento più interessante, insieme al dispositivo mimetico – il protagonista non è forse l’ennesimo alter ego dell’autore ? – è il silenzio: Diablotus è una bande dessinée muette, una restrizione che incide sull’andamento cinetico e improvvisativo dell’opera. Trondheim, attraverso un linguaggio iconico puro ed universale, accumula situazioni, improvvisando e muovendosi su di un fragile equilibrio, sostenuto da piccoli appigli narrativi.
Al di là di tutto, la piccola opera in questione è un bagarre comica, un tafferuglio di scatti comici improvvisi, un esercizio di stile giocato sui temi del macabro e del gotico, utile a farci sorridere.
*Questo articolo appare come introduzione al volume Diablotus di Lewis Trondheim, pubblicato da Proglo Edizioni in uscita a Lucca Comics 2017.