Non c’era scrittore migliore di Garth Ennis per far volare ancora una volta il pilota Johnny Red, protagonista di spicco del fumetto di guerra britannico degli anni Settanta.
Il fumettista irlandese, noto soprattutto per aver co-creato Preacher e per aver sceneggiato serie come Hitman, Hellblazer e il Punitore, è forse il miglior scrittore di fumetti bellici contemporanei, nonostante la guerra non sia più un tema così popolare nel fumetto odierno (almeno non nei temi e nei modi di 40 anni fa). War Story, che porta avanti dal 2001 prima per Vertigo e ora per Avatar Press, e Battlefields per Dynamite testimoniano la sua passione e competenza per gli avvenimenti della Seconda guerra mondiale.
È naturale dunque che Ennis abbia voluto raccontare nuove avventure dell’aviatore Johnny Red, creato nel 1975 dallo sceneggiatore Tom Tully e dai disegnatori Joe Colquhoun e John Cooper sulle pagine della rivista Battle. D’altra parte, in una delle varie interviste concesse, lo scrittore non nasconde il suo amore per quelle storie, che da giovane ammette di aver divorato.
L’idea alla base del personaggio era piuttosto originale e al contempo stravagante. Red veniva dalla classe operaia inglese ed era un pilota della RAF, radiato e caduto in disgrazia, che passava dalla parte dei Russi per continuare a combattere i nazisti a bordo del suo Hurricane. Al comando dello squadrone di caccia sovietici dei Falcon, Red era “il diavolo rosso” che ripuliva i cieli di Stalingrado nel 1942. Le sue avventure – che come le altre serie britanniche dello stesso periodo venivano stampate in bianco e nero – andarono avanti per dieci anni. Un periodo in cui il personaggio divenne il più popolare e longevo della rivista, grazie a storie intense, crude e realistiche.
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Oggi, a trentacinque anni dalla sua ultima apparizione, Ennis cerca di aggiornare il personaggio ai giorni nostri senza alterarne lo spirito d’avventura originario. Il suo partner in questo revival è Keith Burns, con il quale ha già collaborato su alcune storie di The Boys, disegnatore con il pallino degli aeroplani, tanto da aver esposto al RAF club di Londra e aver vinto l’Aviation Painting of the Year 2016.
L’espediente degli autori per far rivivere Johnny Red è abbastanza semplice, se non addirittura banale. Un giovane imprenditore con la passione per gli aerei della Seconda guerra mondiale acquista la carcassa di un vecchio Hurricane per 4 milioni e mezzo di dollari, con l’intento di farlo riparare e portarlo di nuovo in volo. Non si accontenta, però, di rimetterlo in sesto, ma vuole sapere di più sulla sua storia. Così finisce in Russia a parlare con un vecchio veterano che quell’Hurricane lo ha visto volare molte volte. «Sta dicendo che c’era un inglese a guidare uno squadrone russo? Nell’areonautica sovietica, a bordo di un aereo britannico?», chiede il giovane. «Sto dicendo proprio questo», risponde il vecchio.
Un grosso flashback, quindi, reintroduce Johnny Red e ce ne racconta una storia. Un’avventura non ancora narrata del personaggio, che ci offre un Ennis non proprio brillante o comunque non all’attrezza delle sue storie di guerra migliori. La trama assomiglia più a un compitino svolto in fretta che a qualcosa di ben studiato. I colpi di scena che si susseguono tra gli otto capitoli del volume sono spesso telefonati. Perfino la sequenza più scioccante, che arriva a metà racconto, si risolve in un pugno di tavole che, tra una splash page confusa e uno spiegone, lasciano un po’ stupiti per la banalità della realizzazione. Anche i dialoghi, vero e proprio punto di forza dello sceneggiatore, non sono né taglienti né profondi come ci si aspetterebbe.
La zampata Ennis la dà solo in una breve digressione sulle “streghe della notte” – lo squadrone femminile che affianca i Falcon di Red –, nella quale affronta la questione delle donne russe coinvolte in guerra e poi in un passaggio sull’indubbia moralità degli ufficiali statali inviati per supervisionare il lavoro dei piloti, pronti a tutto, perfino a scendere a patti con il nemico e a sacrificare i loro uomini per seguire le direttive di Stalin.
Per il resto, non c’è nessun tipo di approfondimento dei personaggi, nessun tipo di empatia, niente che possa davvero connettere il lettore alla storia che sta leggendo, che già di per sé è povera di idee e peraltro ben poco avvincente. Va bene, siamo in guerra, ci si spara, si pianificano strategie e si dà la caccia ai nazisti, ma riportare su carta un personaggio storico senza andare oltre “è il più grande aviatore di sempre” e fargli bere qualche bicchiere per mostrare quanto è duro, non è una soluzione che paga. È solo un cliché già visto e rivisto, spesso proposto in modi migliori.
Anche i comprimari, che nell’economia della storia hanno una certa importanza, sembrano presenti solo perché c’erano anche nelle storie originali. Ennis condisce con un po’ di cameratismo e senso dell’amicizia, ma senza andare oltre “è il mio capitano e ascolto solo lui” o, all’inverso, “devo salvarli perché per me darebbero la vita”.
Di contro, Ennis ci sommerge di informazioni e dettagli storici sugli aerei. Ci sono alcune pagine dove più che una storia d’avventura sembra di leggere un trattato sull’aviazione inglese e russa della Seconda guerra mondiale. È vero che la documentazione è una prerogativa delle storie belliche raccontate dallo sceneggiatore ed è evidente che qui abbia cercato di aggiungere realismo alla storia, come peraltro nella tradizione del fumetto originale, ma il risultato tradisce l’epica del racconto, restituendo un tributo sterile.
Il disegnatore, poi, ci mette del suo, e quello che ne consegue è una lettura indigesta. Il segno veloce e schizofrenico, abbondante di neri tanto da risultare claustrofobico nelle scene notturne, traccia personaggi dai volti e dai corpi abbozzati e spigolosi, la cui recitazione è pari a quella dei manichini.
Di notevole ci sono solo le spettacolari scene di battaglia aerea, dove i veivoli sono – questa volta sì – davvero disegnati con maestria e ricercatezza di particolari storici. Peccato che la vasta quantità di doppie splash page che usa per dar vita a queste scene sia spesso infarcita di vignette infilate qua e là, schiacciate tra i balloon, il cui unico risultato è quello di disorientare il senso di lettura, in barba allo storytelling.
Il ritorno di Johnny Red, insomma, poteva essere sicuramente più grandioso, e un po’ stupisce che un veterano dei comics e amante delle storie di guerra come Ennis non sia riuscito a rendere onore a uno dei suoi miti d’infanzia preferiti.
Johnny Red
di Garth Ennis e Keith Burns
traduzione di Carlo Crudele e Chiara Libero
Mondadori Oscar Ink, 2017
208 pp., colore
19,00 €