Hans Rickheit ha raccontato di aver prodotto il suo primo fumetto a 11 anni: un terribile fumetto supereroistico intitolato Fire-Hand, venduto per 75 cents a copia. L’incontro con l’arte di Jim Woodring e Mahendra Singh, qualche anno dopo, lo ha messo sulla giusta via. Dal quel momento in poi, Rickheit ha ambientato le sue storie in una realtà a metà strada tra il sogno e l’allucinazione, una specie di trip lisergico andato a male, dove la materia onirica si presenta in tutta la sua cruda insensatezza. I fumetti di Rickheit sono incubi a occhi aperti in cui i punti di accesso risultano molteplici e ingannevoli.
I dispositivi allestiti dal fumettista americano per analizzare il proprio inconscio diventano dedali in cui il lettore è destinato a perdersi, dove l’esigenza di dover dare un senso a quello di cui si sta fruendo è destinato al fallimento. I fumetti di Rickheit sono esperienze allucinatorie in cui la tradizione della bande dessinée di Moebius, Tardi e Druillet si sposa con l’underground americano di Crumb, Sim e dei Freak Brothers all’interno di un orizzonte gotico e steampunk in cui il fantasma di Edward Gorey dona quel tono noir e claustrofobico finale.
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La produzione di Rickheit è facilmente consultabile online sul sito Chrome Fetus, dove sta serializzando Cochlea & Eustachia e Ectopiary, ma l’approccio più diretto al suo mondo è sicuramente il graphic novel The Squirrel Machine, pubblicato negli Stati Uniti nel 2008 da Fantagraphics Books e in Italia quest’anno da Eris Edizioni.
La trama è al contempo semplice e difficile da riassumere: in un anonimo paesino del New England, presubilmente nel Ventesimo secolo, due fratelli, Edmund e William Torpor, esprimono il loro genio costruendo macchine impossibili che integrano la carne e la materia solida, risultando per le loro eccentriche invenzioni invisi ai concittadini. Questo è quanto, ridotto all’osso. Su questo esile corpo Rickheit innesta però un enorme profluvio di invenzioni.
L’intento di The Squirrel Machine non è quello di far tracimare il racconto nel sogno, costringendo il lettore a dover definire pagina dopo pagina cosa sta vedendo. Se dovessimo trovare un correlato alla gestione dell’immagine, azzarderei un paragone con il David Lynch più sghembo, poco interessato alla narrazione tout court quanto ai feedback visivi e allo sfaldamento continuo dei confini. Senza dubbio, l’estetica di Rickheit è più vicina al body-horror o al gore, ma ha una dimensione metafisica che allarga a dismisura i confini – per l’appunto – del suo racconto.
Non è un caso che le intercapedini della vecchia dimora ricevuta in eredità dai due fratelli, dove vivono insieme a una madre chioccia, si allarghino a dismisura ignorando ogni legge della fisica e sprofondino nelle viscere della città, attraversandola e riemergendo dovunque come arterie che attraversano un corpo marcio. La putrefazione è un leitmotiv: possiamo quasi avvertire l’odore nauseabondo che aleggia nelle pagine di Rickheit, nelle quali Edmund e William assemblano organi dove le canne sono sostituite dai grugni putrefatti dei maiali. Ma, in questo indefinito labirinto in cui si confondono memoria e desiderio, Rickheit traccia i confini liquidi e molli dei recessi più oscuri della coscienza, dove emergono simboli indecifrabili e in cui la volontà di dividere il significato dal significante porta ad un collasso dell’immagine stessa.
È facile rintracciare in Rickheit le fonti del suo immaginario: sicuramente c’è Woodring, così come i fumetti della EC Comics, ma questo mondo sotterraneo in cui si rifugiano i Torpor ci sono anche sedimenti di opere limite del fumetto contemporaneo come The Cage di Martin Vaughn-James (QUI da noi recensito). L’assonanza visiva tra le due opere è enorme: i mondi assurdi immaginati dal fumettista inglese hanno un correlato nel cunicoli di Rickheit, ma se nel primo l’elemento organico latita, mostrandoci una realtà dove la l’essenza degli oggetti ha preso il sopravvento su ogni possibile narrazione umana (e dove solo nei cartigli persiste una presenza), l’autore americano, invece, mette al centro della sua opera la carne in tutta la sua greve fisicità.
The Squirrel Machine è un incubo gotico da cui sarà difficile svegliarsi.
The Squirrel Machine
di Hans Rickheit
Eris Edizioni, 2017
192 pagine in b/n, € 16,00