Dopo Happy!, Grant Morrison, il più celebre sceneggiatore britannico di tutti i tempi – se si esclude l’eterno rivale Alan Moore –, torna a realizzare una serie per Image Comics con Nameless, una storia complicata e densa, ricca di riferimenti esoterici e colti. Al di là dei disegni gradevoli di Chris Burnham – un bravo emulo di Frank Quitely già collaboratore di Morrison sulla serie Batman Incorporated – e dei colori luminosi di Nathan Fairbairn, quello che emerge da questa storia in sei episodi è la sua prodigiosa ambizione.
Per tenere fede alla sua fama di scrittore post-moderno a là Philip K. Dick dei comics, Morrison dispensa generosamente tracce di cabala ebraica, storia delle religioni, cartomanzia, psichedelia, eccetera eccetera, giusto per non lasciare a bocca asciutta migliaia di nerd pronti a spendere notti insonni nell’esegesi del loro idolo, per non parlare dei critici appassionati di nozionismo. Cediamo dunque anche noi al giochino ermeneutico, cercando nel possibile di ricavare della sostanza in mezzo a tanta erudizione.
La trama in realtà è piuttosto semplice. Un asteroide sta per schiantarsi contro la Terra; un gruppo di dodici apostoli-astronauti – tra cui un Giuda senzanome – deve deviarne la traiettoria prima dell’impatto, previsto tra esattamente trentatré (= l’età di Cristo) giorni. L’asteroide Xibalba – dal nome degli inferi dei Maya – è un frammento del presunto quinto pianeta del sistema solare, Marduk, che richiama la guerra ancestrale tra angeli e demoni di cui ancora oggi sentiamo l’eco. In effetti il messaggio che l’asteroide trasmette in una lingua antica quanto l’universo – la lingua degli angeli – non è affatto rassicurante e produce effetti devastanti sulla psiche di chi l’ascolta.
Il Senzanome – si chiama proprio così – viene assoldato da un milionario filantropo per salvare il mondo, data la sua abilità nell’attraversare il varco tra sogno e realtà. Il Senzanome è un espertone di occultismo, di tarocchi e di cabala. È convinto che il mondo sia andato in vacca nel 2001 quando le Torri Gemelle sono crollate e Malkuth è saltato su Yesod (ovvero la Terra è saltata sulla Luna, per tradurre gli elementi dell’Albero della vita). A quel punto si è rotto il confine tra realtà e immaginazione, o per dirla con parole sue, ha iniziato a «piovere merda».
Come ben espresso nel saggio Pop Magic, l’idea di magia morrisoniana è piuttosto diversa da quella del suo collega Alan Moore o dei predecessori più illustri come Aleister Crowley: «Tutto ciò che ti serve per la pratica della magia è concentrazione, immaginazione e la capacità di ridere di te stesso e di imparare dai tuoi errori». La magia pop di Morrison si sposa bene con la società liquida del terzo millennio, è un concetto fluido che non si prende molto sul serio, ma capace di tangibili effetti sulla realtà.
Con il suo talento magico, il Senzanome disegna dunque una chiave onirica e – con l’aiuto di una stampante 3D – la rende reale. Come a dire, la tecnologia alla portata di tutti rende la magia una faccenda democratica, o per meglio dire pop. Niente a che vedere con certa magia da supermarket tipo Harry Potter (non a caso, Potter è il nome della prima vittima di Xibalba), piuttosto un potere ancestrale che consente a ognuno di noi di cambiare il mondo tramite la volontà.
Qualcosa di molto vicino al pensiero magico delle società primitive, che dipingevano scene di caccia (tramite immagini sequenziali, nei primi esempi di protofumetto) non tanto per un’esigenza di rappresentazione estetica ma piuttosto con intento propiziatorio, per realizzare l’evento rappresentato. Questo tipo di magia creativa, popolare e non ortodossa si attaglia perfettamente al tipo di immaginario espresso da Morrison, alle sue sperimentazioni narrative, al suo uso spregiudicato dello spazio e del tempo, ai suoi quesiti metafisici («niente è reale») che si traducono in prodotto di consumo.
Seguiamo dunque l’ascesa letterale del nostro protagonista Senzanome con la sua chiave onirica verso il lato oscuro della Luna, dove una banda di espertoni in vari campi, guidati dal miliardario filantropo Paul Darius – che appare solo attraverso lo schermo di un drone – sta elaborando un piano per salvare il mondo dalla catastrofe. Naturalmente, Xibalba reca con sé i segni di una civiltà antichissima e portatrice di sventure, e il viaggio per salvare il nostro mondo diventerà ben presto una spaventosa discesa agli inferi.
Tutto qui? Ovviamente no, o sarebbe solo una delle tante storie di simil-supereroi che hanno segnato la recente fortuna della Image Comics, un altro prodotto ben equilibrato che mischia fantascienza e orrore, tecnologia e magia, o come dice uno degli astronauti della missione, «un incrocio tra Apollo 13 e L’esorcista». Il percorso del Senzanome è molto meno lineare di quanto sembri, e i riferimenti esoterici o postmoderni non bastano a spiegare l’idea di fondo dell’opera morrisoniana. All’interno dell’asteroide, che si rivela una gigantesca prigione di una guerra risalente alle origini dell’universo, la realtà d’un tratto si frantuma in mille direzioni, e passato e futuro si intrecciano senza apparente logica.
La realtà di Xibalba è un tesseratto ricorsivo di mille realtà convergenti, un ipercubo di cui ogni faccia porta con sé molteplici alternative potenziali. Le tavole di Burnham sviluppano con efficacia la compresenza psichedelica di più piani narrativi, di più campi di realtà, attraverso un uso accorto degli spazi e della struttura delle vignette, che cambiano forma e si combinano su più livelli per rappresentare l’inquietante non-linearità della narrazione. Il linguaggio del fumetto trova qui un’espressione potente, dal punto di vista dell’uso dello spazio in funzione narrativa (o ipernarrativa).
In questo groviglio di piani temporali e di realtà inafferrabili, riecheggia la domanda di un Dio crudele, il prigioniero psicopatico di una guerra eterna che sta per essere liberato dopo miliardi di anni: cosa significa essere umani? Per il Senzanome, è una fogna sovrappopolata alle prese con la sua estinzione. Per la dama velata, misteriosa nemesi che legge la storia del mondo tramite una versione assurda dei tarocchi, essere umani è comprendere l’orrore vano della nostra condizione di infelicità. L’idea morrisoniana di Dio non è affatto consolatoria e ricorda il Demiurgo degli Gnostici, un architetto impazzito che si cela nell’anima di ogni essere umano, pronto a risvegliarsi per riprendere la sua guerra senza fine.
La violenza dell’uomo altro non è che la voce riconosciuta di questo Dio folle, e il Matto dei tarocchi – l’astronauta Senzanome che precipita nel vuoto dello spazio eterno – non è che una pedina di questa grande follia, un Giuda destinato a fallire per compiere il suo Volere. Non a caso, la compagna d’azione del Senzanome si chiama Sofia, come la divinità positiva che salvò l’umanità dal malvagio Demiurgo.
Questo Dio visto come una sorta di virus impazzito richiama inoltre il concetto di iperoggetto, che si ricollega al recente filone della fantascienza “ecologista” teorizzata da Timothy Morton e resa popolare da romanzi di successo come la Trilogia dell’Area X di Jeff Vandermeer (ma anche nel fumetto abbiamo esempi interessanti, come Aâma di Fraderik Peeters o Soil di Atsushi Kaneko).
L’iperoggetto è un concetto potente e ampio, che include fenomeni diversi tra loro ma dotati di caratteristiche simili, dal surriscaldamento globale alle polveri sottili: è un oggetto non locale, viscoso, fuori e dentro di noi, invisibile e letale come una radiazione tossica, capace di modificare il nostro organismo e la nostra percezione del mondo. Un po’ come la magia, no? O come un fumetto di Grant Morrison.
Niente è come sembra, ci dice Morrison, ed il suo iperfumetto non smette di ricordarcelo. Come ogni esperienza ricca di complessità, Nameless richiede uno sforzo di comprensione. Ma di fronte a un panorama pop troppo spesso ridotto alla mera riproposizione degli stessi elementi, in combinazioni vagamente diverse, è importante trovare ancora episodi meno scontati, talvolta più faticosi, ma capaci di cambiare la nostra percezione del mondo e di evolvere la nostra competenza di lettori, per ambizione e per ricchezza di significati. Basta un po’ di concentrazione e di immaginazione, saper ridere di se stessi e imparare dai propri errori. È questa, la lezione della magia pop. Non sarà la verità, ma almeno è divertente.
Nameless
di Grant Morrison e Chris Burnham
saldaPress, 2017
192 pagine a colori, € 24,90