Questo articolo fa parte dello speciale Settimana Hideaki Anno.
La prima parola che viene in mente quando si pensa al mecha design nelle opere animate di Hideaki Anno è ovviamente “organico”. Ed è sbagliato. Non perché non siano presenti costanti riferimenti alla plasticità dei materiali viventi anche nella rappresentazione di quelli artificiali, come accade soprattutto nella serie a cui Anno deve principalmente la sua fama, cioè Neon Genesis Evangelion. Ma perché c’è molto di più. Tra cui, per certo, anche la dimensione biologica di una parte del suo mecha design, e proprio per questo sarebbe riduttivo riportare tutto alla semplice materialità organica.
Invece, il termine che secondo chi sta scrivendo è più indicato per rappresentare uno dei più potenti e complessi percorsi artistici provenienti dal Giappone, anche se ci si limita a guardarlo al solo aspetto del mecha design, è “liquido”. Perché anche qui la costante fluidità delle idee e il metamorfismo dei suoi disegni tecnologici fanno del lavoro di Anno, anche solo per il mecha design, il banco di prova ideale di un modello di evoluzione continua. È quasi una forma di autorialità in sé, incapsulata all’interno di una carriera se non eccessivamente prolifica di certo straordinariamente variegata e determinante per il settore dell’animazione mondiale.
Fin dalle prime opere, che hanno portato all’attenzione dei grandi dell’anime e del manga nipponico il provinciale Hideaki Anno, nato nel 1960 a Ube nella prefettura di Yamaguchi (la punta più meridionale dell’isola di Honshu, la principale del Giappone), il giovanissimo autore instaura un duplice rapporto con il disegno. Da un lato c’è la caratterizzazione dei suoi personaggi, il lavoro sulle forme umane e le loro modalità di espressione. Dall’altra c’è l’attenzione alle architetture tecnologiche, alle forme meccaniche, soprattutto alla consistenza della materia, il gioco degli snodi, la flessibilità dei materiali. L’acciaio che si piega come carta nello spazio al momento del distacco tra due stadi di un razzo vettore, oppure il giunto che si articola come una radice d’albero e che si gonfia come un muscolo, rimanendo però del tutto artificiale, ineluttabilmente un manufatto.
Anno però non si è limitato a costruire una impressionante capacità figurativa, tale da attirare l’attenzione prima degli autori di Fortezza superdimensionale Macross (1982-1983) e poi di Hayao Miyazaki, che valutando i suoi disegni l’ha voluto nella realizzazione di alcune sequenze d’azione alla fine di Nausicaa nella valle del vento (1984). Il talento di Anno si è infatti manifestato anche nei film in presa diretta con personaggi in carne e ossa, nella sua attività di doppiatore e attore, nel suo lavoro come direttore dell’animazione (più che di direttore del disegni) oltre che come regista. Un uomo poliedrico dalla produzione densa, che sarebbe riduttivo limitare alla solo dimensione di Evangelion.
Tuttavia, l’aspetto più interessante e sorprendente di Anno, quello che a mio avviso fa meglio comprendere il suo rapporto con il mecha design, viene fuori dalle riflessioni che l’autore fa a riguardo delle tecniche di disegno e di ripresa da vivo: «tutto quello che mi interessa – ha spiegato in un’intervista del 2014 al Japan Times – è fare buoni film. Posso fare di tutto: il regista, l’animatore lo sceneggiatore o il produttore. Mi va bene uno qualunque di questi ruoli. Non mi interessa neanche essere necessariamente il regista.»
Soprattutto, però, Anno ha una visione industriale ed economica della sua attività e del settore nel quale lavora. Una visione che lo porta a distaccarsi dai suoi talenti personali nella tecnica del disegno piuttosto che nella direzione di settori tradizionali della realizzazione di un film o di un anime: «Penso – spiega nella stessa intervista – che in futuro (in Giappone) ci saranno sempre più film 3D in computer grafica e sempre meno anime disegnati a mano. Posso immaginarmi benissimo a lavorare con la computer grafica 3D, se questo è adatto a un particolare progetto. Il disegno a mano e la computer grafica 3D sono solo mezzi di espressione. Sono solo degli strumenti». Anno continua spiegando che il Giappone è l’unico paese dove si faccia (ancora) animazione disegnata a mano, che rimarrà ma che presto non sarà più un genere mainstream. Non è tanto questo l’importante quanto la rappresentazione che Anno da di sé nel considerare oramai i singoli mezzi di espressione come dei meri strumenti per una creatività che non è più, a sua volta, solo artistica ma anche professionale.
In questa chiave si può capire la liquidità e la costante metamorfosi del suo mecha design. Dentro questa interpretazione, all’improvviso, tutto si tiene: l’evoluzione dagli EVA di Evangelion e quella dei macchinari steampunk e ottocenteschi di Nadia – Il mistero della pietra azzurra (1990-1991), quella dai robot di Punta al Top! GunBuster (1988) e i lavori di animazione per Macross, per Nausicaä, per Una tomba per le lucciole (1988) (dove ha lavorato come animatore; ma la meccanica di pochi mezzi di trasporto nelle ambientazioni hanno un sapore riconducibile al suo gusto).
Le figure alte, deformate dei suoi adolescenti in Evangelion si allungano e si stirano in tute meccaniche che aderiscono, modellano e “vestono” i piloti degli EVA. Le macchine portentose del giovane inventore francese Jean e poi del capitano Nemo, per non parlare di quella dell’organizzazione di Neo Atlantide, sono deliziose e a tratti spaventose. Ma hanno un ruolo particolare quelle mostrate ne Le ali di Honneamise (1987), film animato prodotto da Gainax (fondata dallo stesso Anno) per il quale viene creato un intero universo con tecnologia anni Sessanta e un sapore delicato, quasi decadente, unito a un livello tecnico di animazione per l’epoca allo stato dell’arte. Tutto è pensato non per arricchire la leggenda di Anno, o per esaltarne determinati talenti tecnici, quanto per far crescere in modo completo l’opera: storia, animazione, disegno, character, mecha, colori.
Nel superare la dittatura dei formati e degli strumenti quel che forse Anno vuole farci sapere è che, come un monaco zen, non è la tecnica la cosa importante ma l’intenzione, la capacità di squarciare i veli della materia e cogliere l’essenza.
Ci sono anche altre considerazioni da fare, ovviamente. Come al solito per i lavori della Gainax e per altri (inclusi quelli alla corte di Miyazaki), i confini delle idee, delle scelte di regia e dei tratti animati sono sempre molto sfumati. Rivendicare per Anno un particolare aspetto dell’animazione o della progettazione meccanica di un determinato oggetto animato è un rischio. Per questo la centralità di Evangelion è doppiamente importante nell’interpretazione critica di Anno. Da un lato è il “suo” più importante lavoro, e dall’altro è quello dove manifesta in maniera più completa, esplicita e travolgente la sua estetica sia per i personaggi che per la progettazione dei meccanismi e degli oggetti, cioè il mecha design. Questa unicità, che poi a ben guardare è comunque plurale perché declinata su tre decenni di lavoro e di fisiologica evoluzione del tratto e dello spirito con il quale viene fermata un’idea, un movimento o una forma sulla carta, è però una unicità solo apparente. Si diluisce nel fluido scorrere dei contributi portati da Anno alla realizzazione di forme meccaniche, di automatismi e di “gigantismi” (come altro definire le creature meccaniche torreggianti e violentissime, oppure accuratamente pensate e progettate per muoversi con uno spaesato pilota umano) presenti nel resto della sua opera.
C’è tanto fatto da tanti, insomma. Ma come per tutti i grandi, il segno di Anno lascia un’impronta. Che resta riconoscibile, seppure nella sua costante mutevolezza.
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Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Ha un blog dal 2002: Il posto di Antonio. Il suo canale Telegram si chiama: Mostly, I Write.