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Tumorama, l’incubo surreale di Cammello

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Chi è il Tumorboy di Pablo Cammello? Limitandosi ai primi episodi del volume, verrebbe da pensare a una sorta di Elephant Man giovanilista, prigioniero di un mondo fatto di droghe leggere, sociopatia, pigrizia e avvenimenti surreali. Una macchietta grottesca caratterizzata da una resa grafica nauseante e volutamente repulsiva. Per la gran parte del libro dedicatogli, ogni capitolo rappresenta un piccolo spaccato di vita dei protagonisti, spesso molto divertente ma forse troppo fine a se stesso. La Luna fatta di fumo, Hitler sotto il divano, i biscotti black metal. Tutte trovate in grado di strapparti un sorriso soddisfatto, ma non si va mai molto più in la di quello.

Se ci fermassimo qui, l’impressione sarebbe quella di un progetto quasi improvvisato, costruito sulla voglia di risultare sempre più bizzarro di volta in volta. Una lettura comunque non banale e sempre in grado di regalarti qualcosa di inaspettato, sebbene le potenzialità per qualcosa di più importante siano percepibili ma quasi del tutto inespresse.

tumorama

Poi, con il passare delle pagine, le cose cambiano e tutto comincia a prendere una piega molto più interessante. I personaggi si fanno ricorrenti, emergono mezze frasi che fanno intuire come ci sia qualcosa di oscuro nascosto tra quelle vignette così sbilenche, la trama orizzontale si insinua lentamente senza mai apparire esplicita. Chi è l’uomo con il buco nero in faccia? Perché si rivolge direttamente a Cammello – l’autore del volume – chiarendo in maniera perentoria di avere bisogno di Tumorboy? Cosa c’entra il Pentagono in tutta questa follia? Il dodicesimo episodio del volume rappresenta uno strappo importante rispetto a tutte le pagine precedenti, sia a livello di scrittura che di tratto. Il protagonista si risveglia in un Ikea divenuto l’ultimo baluardo dell’umanità, si accorge di essere una persona molto diversa rispetto a quello che pensava – un romanziere di successo, sposato con la bella Stella – e incontra una versione bestiale di se stesso. Un suo gemello dimenticato.

L’ironia si fa davvero amara – infatti non c’è più nulla da ridere – la trama si ingarbuglia e getta ulteriore benzina sul fuoco. Si ha l’impressione che quello a cui abbiamo assistito fino a ora fosse uno specchietto per le allodole. Una serie di distrazioni atte a evitare che arrivassimo dritti al punto. Tutta la leggerezza delle pagine precedenti pare essere fatta apposta per farci sottovalutare quello a cui stavamo andando incontro, incanalandoci e convincendoci che l’andazzo sarebbe stato lo stesso dalla prima all’ultima pagina del volume. Da questo punto di vista Cammello si dimostra fortemente influenzato dalla nuova serialità animata di matrice statunitense.

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Pensiamo a come Rick e Morty nasconda sotto la sua falsa struttura antologica una trama orizzontale enorme, iniziata a emergere con la richiesta d’aiuto di Rick nel primo finale di stagione e sviluppatasi poi fino al suo arresto alla conclusione della seconda. In mezzo una marea di indizi ci facevano intuire come qualcosa di molto grave doveva essere successo, sebbene gli strumenti per poterlo comprendere non fossero ancora nelle nostre mani.

Oppure pensiamo a Adventure Time e alla sottotrama del Lich, compresa la surreale conclusione dell’episodio omonimo (quella in cui si vedono Finn umanizzato e Jake il cane che fa il… cane). Anche in questo caso l’atmosfera è davvero difficile da sostenere, nonostante la serie sia partita con un target di riferimento molto giovane. In entrambi i casi occorrono un buon numero di puntate leggere per dare il giusto peso agli squarci di buio destinati ad aprirsi sempre più frequentemente. Tumorama pare voler fare proprie queste meccaniche narrative così affascinanti e applicarle a un mondo molto più familiare, rispetto ai tribunali galattici o alle lande post-atomiche dei due titoli appena citati. In qualsiasi caso il risultato non cambia, la sensazione di straniamento rimane costante.

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Perché da un contesto che doveva essere semplicemente divertente emerge qualcosa di così tremendo? Con la sola forza dirompente dell’ultimo capitolo, il fumetto di Cammello passa dallo sventolare la sua essenza di webcomic strano per il gusto di esserlo – prima di essere edita in versione cartacea, la serie è stata per due anni pubblicata direttamente online – a gettare le basi di una mitologia ben più ampia, affascinante e ricca di interesse. Da questo punto di vista la maturazione dell’autore è palese anche dal punto di vista del disegno. Se i primi episodi reinterpretano in chiave più graffiante un certo gusto cartoonesco tipico delle produzioni più contemporanee – da quelle già citate di Cartoon Network ai fumetti targati Koyama Press – il dodicesimo episodio segna un autentico scollinamento verso territori più personali.

Come la sceneggiatura, anche le tavole acquistano profondità, si caricano di nero e si fanno più spigolose. Senza mai rinunciare all’indole pop si fa avanti l’influenza di autori più claustrofobici e cerebrali come Akab, decisamente lontani dallo spirito con cui si era partiti, arrivando a qualcosa di unico. La spaccatura con il resto del volume è enorme e le potenzialità del personaggio – come quelle del suo autore stesso – sono finalmente esplicite. Aspettiamo con ansia il prossimo volume per continuare l’esplorazione di questo incubo surreale.

Tumorama
di Pablo Cammello
Shockdom, 2017
176 pagine in b/n, € 12,00

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