di Elettra Stamboulis
Nel rumore confuso che accompagna qualsiasi notizia riguardi Israele, spesso, le informazioni diventano pezzetti sparsi di un puzzle da miliardi di pezzi. È sempre tutto così impreciso e sofferto che rimaniamo come immobilizzati. Le notizie su Israele ci condannano spesso in un senso perenne di indecisione, insofferenza e, forse, anche di fatalistica accettazione. Così una questione che tiene impegnati i media e l’opinione pubblica israeliani a intervalli regolari, non ha mai ricevuto la giusta attenzione sulla stampa italiana.
L’ultimo episodio della lunga saga dei bambini di ebrei mediorientali sottratti da ebrei di origini europee si è consumato qualche mese fa, quando si è parlato nuovamente di togliere il segreto di stato dai file relativi per fare chiarezza una volta per tutte sulla questione. E The Realist, ovvero Asaf Hanuka, il radiografo sociale che pubblica ogni settimana su The Calcalist (un quotidiano finanziario tipo Sole24ore), non poteva non commentare questa notizia. Anche perché anche lui è un ebreo di origini mediorientali (vedi ad esempio la storia Essere un buon ebreo pubblicata in K.O. a Tel Aviv), consapevole della cesura che separa la visione della propria storia identitaria e la divisione interna agli stessi cittadini ebrei dello stato di Israele.
Hanuka è un autore molto seguito in rete. La sua pagina Facebook, in particolare, ha oltre 325.000 followers. Tuttavia la reazione alla tavola in cui ha recentemente sintetizzato questa vicenda è stata eccezionale. Quasi 200 commenti, molti veramente accesi, e quasi 4000 condivisioni, per non dire dei like. La tavola, peraltro, è semplicissima. Una cornice divisa in due che racconta le due storie parallele: chi ha ricevuto in adozione segreta questi bambini, e chi invece si è sentito dire che era morto. Lo sguardo dell’infermiera, in entrambe i casi, è invece quasi diabolico. Ricorda la vera infermiera, e serial killer, da qualche tempo sul banco degli imputati in una cupa vicenda di cronaca nera italiana.
In merito ad Hanuka, la parola “antisemita” è quella forse più ripetuta nei commenti. Che è un’offesa molto facile per chi non è cittadino ebreo israeliano, ma suona farsesca in questo caso. Eppure… Ho perciò voluto fargli qualche domanda. Anche perché nel futuro prossimo di Asaf “The Realist” Hanuka c’è un progetto di cui tutti dovremo parlare: è lui il disegnatore del primo fumetto di Roberto Saviano, previsto per Bao Publishing entro il 2017.
Ecco la nostra conversazione.
Come è nato il tuo interesse in questa storia, quello dei bambini ebrei mediorientali sottratti ai genitori e adottati da ebrei europei?
Diciamo che fa parte del mio lavoro: ogni settimana ho una pagina sul quotidiano economico israeliano Calcalist (una sorta di Sole24ore, NdR). Questa vicenda torna ad intervalli regolari ad appassionare il dibattito pubblico del mio paese e, oltre al fatto che in un certo senso coinvolge la mia esperienza di ebreo mediorientale, allo stesso tempo costituisce un elemento cardine della questione identitaria israeliana. Io ho il dovere di rendere efficace, semplice e sintetico un concetto, cosa che ho tentato di fare con questa pagina, sulla quale per fortuna ho sempre la massima libertà di espressione.
Certo le reazioni non sono mancate…
In effetti questa è una storia che divide. Innanzitutto non ci sono prove certe, ogni volta che c’è un’indagine succede qualcosa di inaspettato. Come in questo caso, in cui si aveva accesso ai file dell’epoca, e questi erano misteriosamente smarriti. È vero che al momento non ci sono prove, ma ci sono ancora le testimonianze delle persone coinvolte, che non avrebbero nessun interesse a mentire. Mentre ci sarebbe un interesse nazionale nel capire perché abbiamo costruito un paese in cui l’unica identità possibile è quella europea.
Non credi che questa focalizzazione della memoria sia una sorta di caratteristica peculiare del fumetto ebraico tout court, che attraversa in un certo senso le produzioni non solo israeliane, ma anche americane ed europee?
Il fumetto è per me un modo di presentare il tempo. È rappresentarlo, quindi lo vedo insito nel medium. La memoria è un processo attraverso il quale diciamo storie a noi stessi, costruiamo un insieme sensato di eventi parcellizzati. Ho letto che lavorare sulla propria memoria rende le persone più felici… Inoltre le immagini contribuiscono in modo sintomatico alla costruzione memoriale. Allo stesso tempo io cerco di rappresentare emozioni astratte, i pensieri e le loro relazioni in modo grafico. Le emozioni che sottostanno alla realtà, che è poi il soggetto principale di tutto il mio lavoro. E soprattutto sono concentrato da sempre sull’unico punto di vista che ci è dato, quello autobiografico. Perché è onesto.
Le tue storie spesso sono caratterizzate da questo tema della divisione in due, dei diversi punti di vista. Come nel caso di questa singola pagina.
Viviamo in un teatro codificato in cui la verità, a volte, viene rappresentata in un unico modo. Mostrare questa coppia bianca specchiata nella simmetria della pagina con questa coppia nera crea un’informazione diretta su un soggetto molto complesso. Io non sono un investigatore ovviamente, su questa vicenda si è andati dalla teoria del complotto – che qui è sempre amata – alla negazione. Tuttavia la questione del rapimento è una metafora del come siamo stati catapultati in un ambiente europeo, in un certo senso siamo stati rapiti.
Credi che il fatto di avere un fratello gemello omozigota, e che fa esattamente il tuo stesso mestiere, abbia influenzato questo modo di vedere il mondo? Un modo che comprende sempre il punto di vista anche dell’altro, ma che in fondo sei sempre “un po’ tu”…
Eh, non ci avevo mai pensato in questi termini… In effetti è vero. Sin da piccolo sono sempre stato concentrato sul trovare le più piccole differenze in mio fratello. Che so, mezzo centimetro di differenza di altezza, un leggero timbro nella voce diverso… Mi ha permesso di fare grande attenzione alle piccolissime sfumature del reale.
In effetti questo termine, “Realista”, è diventato il tuo alter ego. Come mai, invece, il tuo libro in italiano è stato intitolato K.O. a Tel Aviv e non come nella versione originale, The realist?
È stata una scelta dell’editor francese, che preferiva un titolo che rimandasse al luogo in cui io vivo e opero. Voleva un titolo che esplicitasse questo, non tanto l’aspetto di narrazione del reale. A me non dispiace affatto, per cui quando anche Bao ha optato per questa versione non ho avuto problemi. Io poi non credo nel realismo nel senso del termine come tradizionalmente inteso – che so, nella storia dell’arte – ma perché rimanda a questa onestà di fondo che ricerco. All’idea che non bisogna mentire. Ecco perché conservo gelosamente questa chiave autobiografica. Permette anche al lettore di rispecchiarsi più facilmente in quello che racconto.
Visto il momento, non possiamo non chiederti qualcosa della tua collaborazione con Saviano. Ci puoi raccontare qualcosa di come è nato? Perché Saviano ha deciso di contattare proprio te per il suo primo graphic novel?
In realtà faccio fatica a risponderti. Ho pensato che lo abbia ispirato il fatto che, se vedi come mi disegno e come sono fisicamente, in realtà ci assomigliamo molto. Entrambi corpulenti, con una testa strana e rasata. Forse si è immedesimato… è stata comunque anche per me una sorpresa. Ci siamo poi visti a Milano, ed è stato un bellissimo incontro: ci siamo scambiati molte idee e ho cominciato a disegnare queste storie meravigliose.
Come ti stai rapportando alla rappresentazione della realtà italiana? Immagino che sia piuttosto centrale…
Esatto. Sto vedendo molto cinema italiano e sto anche imparando l’italiano… Sono guidato molto bene da Roberto: ho già completato le prime due storie, e mi sembra che il risultato sia all’altezza delle sue aspettative. O almeno spero. Però non posso dire altro… ne parleremo magari dopo l’uscita!