HomeRecensioniNovitàThe Wicked + The Divine vol. 1: sotto il vestito niente

The Wicked + The Divine vol. 1: sotto il vestito niente

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L’idea alla base di The Wicked + The Divine non sembra nulla di particolarmente originale, a uno sguardo superficiale. Il pitch recita: «Ogni novant’anni dodici dèi si incarnano in altrettanti ragazzi». Insomma, più o meno lo stesso concetto su cui si basano numerose opere letterarie (tra le quali anche American Gods di Neil Gaiman) e persino un paio di religioni. La parte interessante arriva nel seguito di quel pitch: nel caso della serie di Kieron Gillen e Jamie McKelvie, le divinità si fanno non solo carne, ma anche piercing, abiti di lusso, tatuaggi e accessori alla moda.

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Nel mondo di oggi, gli dèi – provenienti da pantheon diversi tra loro – diventano ovviamente celebrità, e come tali vengono adorate o odiate fino all’eccesso, rendendosi vere e proprie icone pop giovanili. Con una durata di vita, però, limitata a soli due anni. Due anni in cui dare tutto di se stessi, bruciare la propria esistenza senza alcuna remora, come vere star. Nel presente, ricreato con un gusto fortemente british dagli autori, Lucifero è quindi una ragazzina diciottenne con il culto di David Bowie e l’aria parecchio queer, Baphomet una sorta di guru darkettone della cultura underground, Baal ha l’aria del rapper alla Kanye West. Ogni personaggio, in pratica, rappresenta un diverso genere musicale.

Il legame tra la storia e la musica è molto forte, tanto che nel 2014, quando la serie esordì negli Stati Uniti, i suoi due autori furono intervistati da Pitchfork, uno dei più autorevoli portali americani dedicati alla musica. In quell’occasione, parlando di parallelismi tra supereroi e musicisti, Gillen affermò (creando una tagline perfetta): «David Bowie mi ha salvato la vita. David Bowie ha salvato più vite di Batman!».

The Wicked + The Divine sembra quindi proporsi innanzitutto come uno spaccato della cultura contemporanea, in cui tutto è vissuto con fortissima intensità e tutto è estremamente effimero – ed emblematica da questo punto di vista è la durata della vita di questi dèi, quasi quanto l’arco del successo di un musicista X al giorno d’oggi –, ma senza alcun moralismo sottinteso o senza assertazioni velate di carattere religioso.

Lo sguardo con cui viene visto questo mondo è infatti affascinato, attraverso gli occhi della giovane Laura Wilson, che si avvicina a Lucifero con l’intento di diventare anche lei una divinità. Certo, man mano che passano le pagine, la ragazza arriva a scoprire anche gli aspetti negativi della questione, ma tutto sembra così entusiasmante e incredibile da far passare le conseguenze in secondo piano.

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La storia non concede moralismi, nonostante la prospettiva parziale da cui viene raccontata. Il compito degli autori non è quello di giudicare o di valutare, magari facendo scadere la storia in qualche sofisticato ma banale insegnamento spirituale. The Wicked + The Divine non è una favola, ma piuttosto un reportage sulla mondanità, quasi come una puntata di Lucignolo (ma con più gusto artistico). In realtà, è proprio qui che i conti iniziano a non tornare.

In un’intervista concessa alla versione italiana di Wired in occasione dell’uscita nel nostro Paese del primo volume della serie, Gillen ha raccontato dove e quando è nata The Wicked + The Divine: «L’idea per WicDiv mi venne una settimana dopo che a mio padre fu diagnosticato il cancro allo stadio terminale che lo avrebbe ucciso proprio quell’anno. Fu la mia risposta al dolore. Il punto di WicDiv è proprio che abbiamo a disposizione un periodo limitato di tempo, che siano due, dieci o settant’anni. Abbiamo tutti una scadenza. Perché qualcuno dovrebbe scegliere di passare la propria breve vita da artista, allora? WicDiv è la risposta drammatizzata a questa domanda». Il problema è che la profondità degli intenti, in questo primo volume, si avverte appena, coperta da tonnellate di trucco ed effetti speciali. Il disagio è marginale, il senso di morte aleggiante non incute timore, la patinatura non sembra un pretesto ma l’elemento centrale.

La vacuità dell’ambiente raccontato dagli autori si riflette sulla qualità della storia. Gillen e McKelvie si dimostrano una coppia affiatata (in precedenza avevano già lavorato insieme su Phonogram per la stessa Image e su Young Avengers per Marvel Comics) e tecnicamente molto dotata. La piacevole sintesi narrativa e i dialoghi accattivanti si integrano in modo ideale con uno stile di disegno non particolarmente virtuoso ma che restituisce bene la vuota esteriorità delle situazioni. Ma, andando a scavare un po’ più a fondo, sotto tutta questa bella manifattura, il primo volume manca di sostanza.

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I personaggi sono brillanti, ma anche icone di post-modernità senza ancora alcun carattere particolare. Il punto di vista offerto – quello della giovane Laura Wilson – non riesce a essere così autorevole e personale da creare empatia di nessun tipo. In aggiunta a questo, la trama semplicemente non c’è. Il tutto sembra infatti un lungo incipit (anche se ben confezionato) per quello che verrà nelle prossime storie. Fattore che potrebbe anche rivelarsi un punto di forza, come affermava il nostro Evil Monkey quando – dopo aver letto il primo albetto appena uscito negli Stati Uniti, quindi un quinto di questo volume – azzardava un paragone tra la Image attuale e il mondo della serialità televisiva statunitense:

Esauritasi la spinta propulsiva dei concept geniali (misteriose isole deserte, narrazione in tempo reale, famiglie mafiose anti-Padrino,…) siamo arrivati al punto in cui occorrono almeno 2/3 stagioni per entrare realmente in contatto con il nucleo di interesse della produzione. Sia ben chiaro, tranne nei casi più aderenti alle regole “di genere”, è sempre stato così (si veda la scrittura di The Wire). Ma ora pare diventata la prassi. L’ultimo grande fenomeno televisivo, Breaking Bad, richiedeva un bel grado di sopportazione per passare le prime stagioni (buone, ma certo non eclatanti) e arrivare poi a gustare gli ultimi, esplosivi archi narrativi. Che assumevano una potenza ancora maggiore proprio per via dell’empatia sviluppatosi con il protagonista. Un meccanismo che richiede più attenzione nella gestione dei tempi lunghi della serialità, che non un classico lampo di genio.

Fatto sta che, almeno in questo caso, la voglia di continuare a leggere la serie, dopo la fine del volume, è molto poca.

The Wicked + The Divine vol. 1
di Kieron Gillen e Jamie McKelvie
Bao Publishing, 2017
176 pagine a colori, € 18,00

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