HomeFocus7 fumetti di Alan Moore che (quasi certamente) non avete letto

7 fumetti di Alan Moore che (quasi certamente) non avete letto

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Nonostante sia uno dei fumettisti più noti e tradotti al mondo, Alan Moore ha alle spalle una produzione più grande di quanto non sembri. Al di là di capisaldi come WatchmenV for VendettaFrom Hell, infatti, ci sono innumerevoli storie (più o meno) brevi apparse, nel corso degli anni, nelle più diverse riviste e antologie sia britanniche che americane. Molte di quelle storie sono a tutt’oggi inedite in Italia, poco (o per nulla) ristampate, e quindi di non facile reperibilità. Alcune fra di esse, inoltre, sono davvero poco note: se non siete dei fans hardcore, difficilmente vi diranno qualcosa Maxwell o Pictopia, per dire.

E allora è il momento di dare un occhio. Complice la recente uscita negli USA di una raccolta, Brighter Than You Think (curata da Marc Sobel), che ha rispolverato una decina di esse, siamo andati a rileggerne un bel po’ – una ventina abbondante – e ne abbiamo scelte sette. Un pugno di short stories dimenticate o “invisibili” ma che, per i motivi più vari, meritano considerazione e che coprono praticamente tutto l’arco di carriera dell’autore.

Maxwell the Magic Cat (1979-1986)

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Tra i primi lavori di Moore ci fu una striscia da lui scritta e disegnata, sotto lo pseudonimo di Jill de Ray, per il quotidiano Northants Post. Durata sette anni, aveva toni surreali e un linguaggio sofisticato e permise all’autore di dedicarsi al suo spirito satirico, tra politica e costume. La striscia qui sopra, per esempio, satireggiava sulla Guerra delle Falkland, allora in corso tra Gran Bretagna e Argentina. L’autore accettò di realizzare la striscia principalmente per potersi garantire un reddito in un periodo non proprio felice, per lui e la sua famiglia. Oggi, a quasi 40 anni di distanza, rimane un lavoro memorabile soprattutto perché rappresenta uno dei pochi e più ‘noti’ casi di fumetti disegnati dallo stesso Moore.

A proposito delle proprie capacità grafiche, durante un’intervista del 2008 alla BBC, Moore si dimostrò piuttosto realista: «Dire che disegnavo Maxwell the Magic Cat è, probabilmente, essere fin troppo gentili nei confronti delle mie capacità di scrittura. Mi resi conto di non essere né bravo né veloce abbastanza per avere successo come disegnatore di fumetti».

Grit! (1983)

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Nel 1983, Moore lavorava per Marvel UK, e sul primo numero della rivista Daredevils apparve un suo saggio sul Devil di Frank Miller, ciclo di storie pubblicato in Gran Bretagna proprio sulla stessa testata. L’articolo di Moore – intitolato “The Importance of Being Frank” – elogiava l’opera di Miller, con riflessioni tipo: «Nel giro di pochi albi, la scrittura di Miller è diventata sicura quanto i suoi disegni e, mentre il suo senso di sicurezza aumentava, noi osservavamo mezzi narrativi grafici sempre più arditi insinuarsi tra le pagine di Daredevil

Nel n. 8 di Daredevils, invece, Moore decise di parodiare Miller, attraverso una storia a fumetti di 4 pagine disegnata da Mike Collins, che replicava graficamente l’impostazione stilistica delle tavole di un qualsiasi albo di Daredevil dell’epoca, ma con testi meno hard boiled e più alla Mad. Il titolo della storia, Grit, faceva riferimento all’espressione “grim and gritty” (“truce e grintoso”) con cui veniva definita una nuova tendenza nei supereroi dell’epoca, sempre più ‘oscuri’ rispetto alle loro incarnazioni precedenti.

In Pictopia (1986)

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Composta di 13 pagine e pubblicata in origine sul secondo numero dell’antologia di Fantagraphics Anything Goes!, In Pictopia – disegnata da Don Simpson – è ambientata in una città futura, la Pictopia del titolo, popolata da personaggi dei fumetti e dei cartoni animati, analoghi di Mandrake o Braccio di Ferro, per fare due esempi.

La storia – cupa e pessimistica – appartiene allo stesso filone ‘decostruzionista’ praticato da Moore in quegli anni con MarvelmanWatchmen. Al contempo questo racconto mette in luce, sebbene con il distacco acidulo della satira, il profondo affetto dell’autore nei confronti del fumetto. Con In Pictopia, inoltre, Moore sembrava quasi voler esprimere il proprio timore per la deriva dark intrapresa dai supereroi, per certi versi innescata anche dallo stesso Watchmen. Gary Groth – tra le altre cose direttore del Comics Journal e fondatore di Fantagraphics – fece da supervisore all’antologia e definì la storia di Moore come «un lamento solenne e appassionato sul declino dei fumetti e una delle dichiarazioni più poetiche ed eloquenti mai lette».

Act of Faith… (1988)

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Disegnata da Stephen Bissette – con il quale Moore aveva appena collaborato su Swamp Thing – e da Michael Zulli, illustratore raffinatissimo ma dalla produzione limitata (che qualcuno ricorderà su Sandman e altri lavori con GaimanAct of Faith… apparve su Puma Blues, una rivista realizzata proprio da Zulli, insieme a Stephen Murphy, per vari editori indipendenti. La storia di Moore – che apparve sul numero 20 – è molto breve (solo 4 pagine) ma ben calata nei toni generali della serie, ambientata a cavallo tra il Ventesimo e il Ventunesimo secolo e incentrata su Gavia Immer, una sorta di agente forestale del governo.

La storia riprende dunque le atmosfere oniriche e un po’ New Age della serie, ed è uno dei primi tentativi dell’autore di usare il sesso come metafora (idea poi espansa al massimo in Lost Girls), mentre un narratore invisibile si dimostra eccitato nel seguire due mante che si accoppiano, esprimendo i rischi dell’innamoramento.

The Mirror of Love (1988)

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Disegnata da Stephen Bissette e Rick Veitch – entrambi già illustratori di Swamp ThingThe Mirror of Love è una storia di otto pagine che fu pubblicata su ARRGH – Artists Against Rampant Government Homophobia, un’antologia realizzata in forma di protesta contro una legge discriminatoria nei confronti degli omosessuali promulgata in Gran Bretagna dal governo conservatore di Margaret Thatcher (e poi revocata solo nel 2003). Tra gli altri autori presenti all’interno della rivista, spiccavano i nomi di Robert Crumb, Howard Cruse, Neil Gaiman, Dave Gibbons, i fratelli Hernandez, Frank Miller, Dave McKean, Bill Sienkiewicz, Dave Sim e Art Spiegelman. Una all-star del fumetto anglofono di quegli anni, insomma.

La storia di Moore era un po’ il piatto principale di ARRGH, un po’ per la lunghezza – la maggior parte delle altre consisteva di una sola pagina – un po’ per il tema. The Mirror of Love aveva infatti la pretesa di raccontare l’omosessualità nel corso della Storia, dalle primitive società matriarcali in poi, passando per la Bibbia, Saffo, William Shakespeare, Oscar Wilde e il diffondersi dell’AIDS. La narrazione si dispiegava come un poema epico narrato da due angeli ermafroditi, attraverso didascalie prolisse e copiose che però non appesantivano il racconto, grazie alla prosa musicale di Moore.

Questa storia nel corso degli anni sarebbe diventata prima uno spettacolo teatrale e poi (nel 2004) un libro di 128 pagine con il poema di Moore accompagnato dalle fotografie di José Villarrubia, mantenendo lo stesso titolo.

The Bowing Machine (1991)

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Alan Moore ha pubblicato anche su una delle più importanti riviste di fumetto americane degli anni Ottanta e Novanta, quella Raw ideata da Art Spiegelman e sua moglie Francoise Mouly. Il contributo di Moore apparve proprio sull’ultimo numero della rivista, il terzo della seconda serie, pubblicato nel 1991.

The Bowing Machine è un racconto di otto pagine, disegnato dal fumettista underground Mark Beyer, che si concentra sulla situazione economica internazionale dei primi anni Novanta e sull’arroganza colonialista degli Stati Uniti, raccontata attraverso lo sguardo di un uomo d’affari giapponese. Il tono è quello della satira, ma il senso di cinica alienazione che offre il connubio tra testi e disegni – grazie allo straniante e sgraziato stile di Beyer – è difficile da rintracciare in altre opere dello sceneggiatore britannico.

This Is Information (2002)

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In seguito all’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 a New York, Dark Horse Comics pubblicò due volumi intitolati 9/11: Artists Respond, contenenti numerosi interventi di autori di diverse zone del mondo. Anche Alan Moore vi contribuì, fornendo la storia di 6 pagine This Is Information (anche in questo caso la più lunga della raccolta), disegnata da Melinda Gebbie, sua compagna nella vita allora come oggi (e se non avete mai visto le foto del loro matrimonio nel 2007, vi consiglio di rimediare subito, a partire da quelle scattate da Neil Gaiman). All’epoca i due erano al lavoro sulle avventure della sexy (e dai contorni vintage) eroina Cobweb, per l’antologico Tomorrow Stories della linea America’s Best Comics (Wildstorm) e di lì a poco avrebbero pubblicato l’erotico Lost Girls.

This Is Information è invece una storia al tempo stesso emotiva e ragionata, che contiene nelle sue poche pagine diversi espedienti tecnici e narrativi caratteristici di Moore (a partire dalla evidente griglia a 9 vignette per pagina e dall’utilizzo della simbologia magica dei tarocchi), mentre paragona i terroristi di Al-Qaeda ai criminali dei fumetti (facili da scrivere «in modo imbarazzante») e racconta le più varie reazioni alla tragedia, condivisibili o meno, persino contrastanti tra loro. Pur lasciandosi in parte trascinare dall’ondata di emotività raccolta nelle pagine delle due antologie, la storia di Moore è di certo una delle più pragmatiche dell’insieme. E meno retorica.

Leggi anche: Perché Alan Moore ha smesso di fare fumetti?

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