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Berliac e la scena Gaijiin Manga dell’antologia Kuš! #25

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Sul finire dello scorso anno, è uscita per l’editore indie lettone Kuš! l’antologia Kuš! #25 dedicata al “gaijin manga”, che contiene interventi di autori contemporanei occidentali che fanno loro caratteristiche stilistiche tipiche del fumetto giapponese; tra questi, il “nostrano” Vincenzo Filosa, oltre a Berliac, Andrés Magán (Spagna), Aseyn (Francia), Ben Marcus (USA), Daylen Seu (USA), Dilraj Mann (UK), GG (Canada), Gloria Rivera (USA), Hetamoé (Portogallo), König Lü. Q. (Svizzera), Luis Yang (Spagna), Mickey Zacchilli (USA), Nou (USA), xuh (Polonia), con introduzione di Paul Gravett (da leggere anche sul suo sito).

Leggi anche: Lo scaffale di Berliac

A curare l’antologia è stato l’autore di origini argentine Berliac, che abbiamo intervistato per scoprire come è nato l’albo, ma soprattutto per ragionare attorno allo stato dell’arte del “manga occidentale”.

*English text

Berliac Kus

Com’è iniziata la tua collaborazione con Kuš?

Nel 2013 nella loro sezione mini-Kuš è stato pubblicato il mio albo intitolato “Inverso”, e sono stato in residenza artistica a Riga. Da allora, ho continuato a pubblicare storie brevi con regolarità.

Ritieni ci sia una sorta di corrente di “manga occidentale” contemporaneo?

Da un punto di vista professionale, per niente. Ci vogliono più libri di questo genere, prima di poter parlare di corrente. Da un punto di vista più “indie”, questa corrente esiste nella comunità otaku da sempre. Partecipando a fiere del fumetto in Occidente si trovano sempre un sacco di manga occidentali! Non sono ironico dicendo così, sarebbe prevenuto pensare che questi non si possano considerare manga occidentali. Questi autori sono molto organizzati e hanno un forte senso di comunità (specialmente su Internet, su siti come Deviantart), il che è una cosa che manca nel giro del fumetto alternativo, più individualista.

Se tu ti riferisci al mondo del fumetto non professionale, di artisti che lavorano al di fuori delle comunità otaku, non vedo un movimento coeso, ma c’è di sicuro una tendenza estetica, che potrei definire “Neo-giapponismo” (nella quale includo non solo il fumetto, ma anche la moda e la musica, con correnti come il Vaporwave), che va ben oltre un uso superficiale dell’immaginario manga e in generale della cultura giapponese.

La differenza principale tra il manga Otaku e Neo-giapponismo è che, mentre il manga Otaku di solito punta alla completa eliminazione di ogni traccia di elementi occidentali (in pratica l’obiettivo è quello di “passare” come giapponese, non solo nel loro lavoro, che a volte si legge da destra a sinistra, ma anche nella scelta degli pseudonimi, o addirittura nell’aspetto fisici), il Neo-giapponismo incorpora elementi manga o giapponesi in generale in un modo che non è mirato alla fusione o allo sradicamento di elementi occidentali, bensì entrambi coesistono in armonia, senza dover lasciar perdere le proprie rispettive identità. Questo funziona bene in paesi occidentali con valori multiculturali. Io sono politicamente incline a un terzo approccio e, a mio parere, i partecipanti di š! #25 ne sono validi esempi.

Berliac Kus gaijin
Berliac

Come hai scelto gli autori?

In opposto tra loro, ho scelto otaku che vedono il manga giapponese come un ideale di purezza artistica (una roba proprio di destra), e artisti multi-culturalisti che in modo conveniente fanno “libero scambio” con i manga proprio come Warhol con i barattoli di zuppa Campbell. Volevo autori che esemplificassero ciò che negli studi culturali è chiamato transculturalismo, cioè, nel nostro caso, le persone il cui lavoro non può e non deve essere considerato più un non-manga, ma anche un non “vero” manga, in senso otaku.

I Gaijin (“straniero”) Mangaka (come ad esempio gli artisti di š! #25) non sono tali per il paese in cui sono nati, ma in un senso più ampio, filosofico e artistico: essi non si sentono del tutto a casa nel loro lavoro, quindi sono sempre in fase di transizione, sempre in bilico su una linea sottile di “questo/quello” e “questo/allo stesso tempo quello”.

Che tipo di indicazioni hai dato agli autori, se ce ne sono state?

Fate quel che vi pare.

Come e quando hai scoperto il Gekiga? All’inizio, il tuo stile era piuttosto distante dal manga.

Ho scoperto il Gekiga come lettore, con l’edizione spagnola di Elegia in rosso, nel 2008. Poi venne Yoshihiro Tatsumi. Ho iniziato a fare fumetti professionalmente nel 2009. Credo che il mio lavoro sia stato sempre molto influenzato da Yoshihiro Tatsumi, in gran parte per le sue soluzioni (le ellissi, l’atmosferico contro la trama) e per le tematiche. Ma nel mio stile grafico iniziale l’influenza è stata assolutamente “repressa”, come mi piace dire.

I miei disegni erano ciò che la cultura fumettistica piuttosto patriarcale del mio paese ha sempre salutato sia come virili che “nazionali”: con alti contrasti, grandi masse di nero, rugosità (i due autori più importanti della storia del fumetto argentino sono Alberto Breccia e José Muñoz); in contrasto col manga dallo stile straniero, delicato, a linea fine e dalle forti superfici bianche.

Nel 2013, dopo aver terminato il mio libro Playground, che era una lettera d’addio agli Art-Comics, ho fatto finalmente “coming out”, cosa per cui sono stato criticato. La transizione (altro termine che ai miei avversari politici non piace che io usi) è andata in realtà abbastanza liscia, e tutti quei primi tentativi di manga si possono leggere nel mio libro Desolation.exe. A proposito di questo libro, il critico portoghese Pedro Moura ha detto: «È come se Berliac abbia indossato la pelle di un artista gekiga per capire che tipo di narrazioni ne sarebbero uscite fuori». In linea con l’espressione “uscire allo scoperto”, preferisco pensare che, invece di indossare la pelle, stavo semplicemente provando abiti di mia madre, con l’auto-legittimazione che questo comporta.

filosa vincenzo Berliac Kus
Vincenzo Filosa

Come ti spieghi l’attuale popolarità del Gekiga nella scene del fumetto occidentale?

Ora vengono pubblicati e prima no, semplice. Se si vuole scavare più a fondo, credo che gli editori finalmente abbiano capito che, dalla fine degli anni Settanta, gli adulti occidentali sono cresciuti con manga e anime, e avevamo solo bisogno di un approvazione culturale da parte di editori di tutto rispetto, per unirsi con il loro amore d’infanzia senza imbarazzi. Uniamo questo al fatto che gli editori provenienti da paesi liberali hanno bisogno dell’idea di graphic novel (fondamentalmente storie realistiche circa la sofferenza di persone provenienti da paesi lontani, di cui godere nella comodità dei nostri divani), dc ecco fatto: il Gekiga ci fornisce entrambi.

Qui si trova un altro motivo per cui mi piace chiamare il mio lavoro Gaijin-Gekiga: se Gekiga fu l’espressione giapponese per il fumetto drammatico su ansie collettive ai tempi dell’ipercapitalismo, allora posso senza dubbio dire che al centro del mio lavoro c’è la stessa cosa, solo che riguarda i miei tempi e i miei luoghi, naturalmente.

Ho l’impressione che non molti fumettisti noti parlino davvero di quello che sta succedendo qui e ora, da questa parte del mondo, su scala collettiva. Nei graphic novel, vedo solo lezioni noiose su conflitti stranieri o passati, visti da un punto di vista “obiettivo” o occidentale, oppure buone storie personali e, nei casi più riusciti, una combinazione delle due cose. Queste storie sono solo due modi diversi per darci delle pacche sulle spalle e dire a noi stessi quanto siamo fighi noi occidentali. Il Gekiga è stato un modo bello e nobile per accettare la realtà schiacciante della sconfitta del Dopoguerra.

I racconti occidentali di oggi, al contrario, insistono sul fatto che siamo dalla parte dei vincitori, anche quando la nostra realtà indica chiaramente il contrario (vedi Donald Trump). Non sto dicendo che ci sia una particolare dignità nell’essere un perdente, ma nel vedere la realtà per quello che è. Dramma senza esagerazioni. Questa è l’essenza del Gekiga.

Ora che sono passati alcuni mesi dall’uscita di š! #25, ti senti di affermare che l’antologia sia servita come collante per questa possibile scena di manga occidentale?

Legami tra artisti esistono sempre, ma forse non esplicitamente, in modo quasi nemmeno consapevole. Molti degli artisti coinvolti hanno scoperto il lavoro degli altri in quel numero di š!. Come ho già detto in un’altra intervista, non è compito o responsabilità dell’artista rendere quel legame evidente al pubblico, ma degli editori, degli artisti, dei galleristi e dei giornalisti. Come autore, non sono troppo preoccupato. Come co-editore di š! #25, mi auguro di aver fatto la mia parte per questa causa.

GG Berliac Kus
GG

Ci saranno altri libri come questo?

È buffo che tu me ne parli, perché proprio pochi giorni fa ho ricevuto una e-mail di rifiuto da un famoso editore europeo per il mio libro Sadbøi, sulla base del fatto che loro non pubblicano manga, ma graphic novel. Quindi, a quanto pare, nel 2017 siamo ancora lontani da fare comprendere a quelli nella posizione di prendere decisioni culturali importanti (lasciami sottolineare che essere un editore sta proprio in quello), che questo tipo di distinzioni sono intrinsecamente assurde. Forse il loro era un modo gentile per dire che il mio libro gli faceva schifo.

In realtà sono in grado di affrontare un rifiuto, meglio di quanto lo sia ad accettare il fatto che il resto dei miei colleghi di š! #25, tutti artisti eccezionali, possano essere rifiutati in base a come sono grandi gli occhi dei loro personaggi o come i loro capelli sono a punta. Se un editore dalla mente aperta sta leggendo questa intervista e vorrebbe collaborare su un progetto di alta qualità sul Gaijin Manga di qualsiasi tipo, non esitate a contattarmi e cercherò di fare la mia parte. Dopotutto, il Kuš Gaijin Mangaka è quasi esaurito, dato che sta vendendo tre volte più in fretta rispetto agli altri Kuš! non manga. Se non vi fidate del nostro stile, fidatevi dei numeri. Kuš non può e non deve essere l’unico a soddisfare le esigenze dei lettori quando si tratta di Gaijin manga!

Quali sono i tuoi attuali progetti personali?

Recentemente ho finito il mio libro Sadbøi, e ora sto cercando di pubblicarlo nel maggior numero di paesi possibile. Lo stesso vale per la mia raccolta di racconti Desolation.exe, che uscirà negli Stati Uniti nel settembre di quest’anno. Per quanto riguarda i nuovi fumetti, è iniziato il mio comedy manga settimanale sul cibo, Asian Store Junkies, serializzato su Vice Magazine.

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